Brexit tre anni dopo: un bilancio tra dati economici e opinioni
Il 31 gennaio 2020 il Regno Unito ha abbandonato l’Unione Europea. A tre anni di distanza da quel momento storico, il senso di delusione e rimorso tra i britannici appare forte come mai prima: secondo una media tra diversi sondaggi, il 57 per cento dei votanti ora sosterrebbe il ritorno nell’Unione.
L’impopolarità della Brexit non è mai stata così alta, tanto che si è addirittura diffuso lo slogan “from Brexit to Bregret”, dove regret in inglese significa rimorso, pentimento.
Il cambiamento rilevato dai sondaggi è in realtà causato principalmente da fattori demografici, perché sono entrati nell’elettorato molti giovani che si sentono vicini all’Unione Europea, mentre ne sono uscite molte persone anziane che erano a favore della Brexit (i demografi lo chiamano effetto sostituzione). Ad ogni modo, sono innegabili e diffuse le grosse difficoltà economiche e politiche che il Regno Unito sta attraversando, proprio da quel 31 gennaio 2020.
Un’economia in crisi
Dall’uscita dall’UE, la mancanza di lavoratori e di beni di consumo è uno dei principali problemi del Regno Unito, che la pandemia ha acuito profondamente. Lasciare l’Unione Europea significa abbandonarne il mercato unico, nel quale le persone e le merci si possono muovere liberamente senza eccessivi impedimenti burocratici: uscirne comporta maggiori costi e rallentamenti. Così il Regno Unito si è scontrato con una carenza di manodopera in molti settori i cui effetti si sono diffusi estesamente.
Nel settore del trasporto, il Governo ha dovuto ricorrere all’esercito, affidando ai soldati il trasporto della benzina presso le varie stazioni di servizio perché molte rischiavano di non ricevere più rifornimenti a causa della mancanza di camionisti abilitati a trasferire materiale infiammabile come la benzina.
Nella grande distribuzione, Cranswick, la principale società produttrice di carne di maiale, ha scelto di assumere 400 macellai dalle Filippine per evitare di ridurre la produzione, spendendo 4 milioni di sterline (circa 4,5 milioni di euro) per via delle necessità burocratiche, dei visti, delle spese di viaggio e dei corsi di avviamento.
Scarsità di lavoratori c’è anche tra insegnanti, personale medico-sanitario e nella ristorazione.
Inflazione alle stelle
A questa situazione, si è aggiunta l’inflazione alle stelle, che a gennaio ha segnato una crescita del 10,1% su base annua.
Benché anche i Paesi che condividono l’euro abbiano vissuto un’inflazione così elevata, nel Regno Unito la situazione è peggiore poiché la Banca Centrale d’Inghilterra ha scelto di intervenire per attenuare l’aumento dei prezzi già a dicembre 2021, mentre la Banca Centrale Europea è intervenuta soltanto successivamente, a luglio 2022.
Una politica in difficoltà
Dal referendum di Brexit del 2016 a oggi si sono seguiti cinque diversi primi ministri britannici, tutti espressi dal Partito conservatore. Proprio questa frequente alternanza, assolutamente insolita per gli standard anglosassoni, è il simbolo della fragilità in cui è finito il Regno Unito.
In particolare, il Governo guidato da Liz Truss si è rivelato il più debole: presentatasi come leader determinata e risoluta, il suo incarico è durato meno di due mesi per via di riforme economiche e fiscali che prevedevano forti tagli delle tasse e aumenti della spesa pubblica, ma non includevano adeguate coperture dei costi.
Nonostante il processo di Brexit sia stato sempre gestito da un governo conservatore, anche il Partito laburista è in parte complice della precaria condizione attuale del Regno Unito non essendo stato capace dal referendum in poi di offrire un’alternativa valida agli elettori, avendo perso sia alle elezioni del 2017 sia del 2019.
La crisi tra Brexit e pandemia
Il distacco dall’Unione Europea si è casualmente sovrapposto con l’inizio della pandemia, evento che ha reso più complesso distinguere gli effetti diretti della Brexit da quelli legati alla crisi economica dovuta ai lockdown. Tuttavia, esistono alcuni studi economici che isolano le conseguenze dei due eventi.
Ad esempio, l’Economist riporta lo studio del think-tank Centre for Economic Performance, secondo cui la Brexit – da sola – ha causato un aumento del prezzo del cibo nel Regno Unito del 3% nel 2020 e nel 2021. Lo studio segnala che la percentuale potrebbe crescere ancora perché il governo britannico finora ha imposto i controlli doganali solo su una porzione di beni in ingresso, e non su ogni tipo di merce come dovrà fare entro la fine dell’anno.
Altri effetti negativi della Brexit sono evidenti. Andrew Bailey, governatore della Banca d’Inghilterra, ha avvisato il Parlamento che la Brexit avrebbe causato una flessione di lungo periodo della produttività leggermente superiore al 3%. Inoltre, l’Office for Budget Responsibility, l’organo di vigilanza fiscale, ha previsto che l’economia britannica si ridurrà del 4% rispetto a quanto sarebbe stato senza la Brexit, quantificando una perdita di circa 100 miliardi di sterline all’anno, in parte a causa del forte impatto negativo proprio sul commercio.
Cosa attendersi ora
I disagi economici diffusi tra la popolazione si sono manifestati in una serie di scioperi, cominciati a maggio dello scorso anno e non ancora terminati, per chiedere aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro.
Il futuro poco roseo che attende ora il Regno Unito è stato descritto in modo concreto poche settimane fa dal Fondo Monetario Internazionale, l’organizzazione sovranazionale che vigila sulla stabilità finanziaria delle nazioni, secondo cui il Regno Unito sarà l’unica economia avanzata che quest’anno entrerà in recessione, cioè subirà due trimestri consecutivi di contrazione del proprio sistema economico.
Si tratta solo di stime, ma la traiettoria che aspetta l’economia britannica non è positiva. Addirittura si è tornati a parlare della Gran Bretagna come di “sick man of Europe” (ovvero l’uomo malato dell’Europa), espressione con cui si indicava proprio il Regno Unito prima del 1973, cioè prima che entrasse nella Unione Europea.