La Cop27 di novembre alla prova della crisi energetica
L’immagine con cui si arriverà alla conferenza sul clima di Sharm El Sheikh in Egitto, la Cop27, prevista tra il 6 e il 18 novembre 2022, sono delle lacrime. Quelle che sono cadute dagli occhi di Alok Sharma, il britannico presidente della Cop26 di Glasgow, che durante il discorso finale non era riuscito a trattenere l’emozione, e probabilmente anche l’amarezza, mentre si scusava per l’annacquato accordo prodotto dall’evento che guidava.
In quell’occasione, le oltre 200 delegazioni nazionali presenti alla conferenza avevano firmato un documento in cui si impegnavano a combattere il riscaldamento globale e a ridurre l’uso del carbone. È stata la prima volta che in questo contesto veniva codificato esplicitamente un piano per ridurre il ricorso al carbone. Tuttavia, molti Paesi occidentali hanno considerato non sufficiente questo accordo, perché speravano che si potesse già trovare un accordo più ampio sulle modalità con cui contenere entro i 1,5 gradi centigradi l’aumento della temperatura globale.
La sfida del carbone
Anche se con un patto parziale, il merito della Cop26 è quello di avere tenuto vivo il dibattito sul contenimento della temperatura globale che riprenderà quindi a Sharm El Sheikh, dove si parlerà soprattutto di carbone.
Il carbone è infatti un materiale fondamentale perché è tutt’oggi la principale fonte di energia elettrica (nel 2020 il 35,2 per cento di questa energia proveniva dal carbone) ma allo stesso tempo è la principale causa delle emissioni di CO2 (nel 2021 più del 40 per cento della crescita delle emissioni di CO2 è stata causata dal carbone).
Il Paese che produce più emissioni di CO2 è la Cina, che copre circa la metà delle emissioni globali. Anche l’India è tra le nazioni più inquinanti e quindi non sorprende che proprio questi due Stati abbiano spinto per un alleggerimento dell’accordo alla Cop26: le due delegazioni hanno chiesto e ottenuto la modifica di una sola parola, ma estremamente importante. Nel testo si è passati da phase out a phase down, affinché l’uso di carbone non venisse eliminato, ma ridotto. Proprio questo è uno dei motivi per cui, da molti, l’accordo finale è stato giudicato “annacquato”.
Dalla Cop26 in poi, ci sono state però importanti decisioni a favore della sostenibilità climatica, anche se non a livello di comunità internazionale generale. Tra queste, vi sono lo stop al finanziamento delle centrali a carbone e la proposta della Commissione Europea di eliminare entro il 2035 la vendita di automobili con motori termici (che dovrà ora essere discussa, ed eventualmente approvata, dal Consiglio europeo).
Ma con la crisi energetica in corso, anche nell’ottica di ridurre la dipendenza dal gas russo, molti Paesi – inclusa l’Italia – hanno aumentato in modo temporaneo la produzione di energia elettrica dalle centrali a carbone. Nel nostro Paese, sei impianti – dal Veneto alla Sardegna – potranno operare a pieno regime, fino a che non saranno attivi i rigassificatori galleggianti e non saranno ultimati i rifornimenti da altri Stati come l’Algeria.
La Germania, invece, dopo aver riattivato una centrale a carbone, ha scelto di rinviare la chiusura di tre centrali nucleari nonostante ne fosse già stata decisa la dismissione dal precedente governo di Angela Merkel.
Gli obiettivi di decarbonizzazione fissati al 2030 rimangono, ma in ottica di una indipendenza energetica, nel mix delle fonti, il carbone fa di nuovo capolino.
Verso l’appuntamento di novembre
Tra gli obiettivi della Cop27, c’è quello “di passare dagli impegni all’implementazione delle tempistiche e delle modalità per contrastare il cambiamento climatico” come stabilito a Parigi e ribadito a Glasgow, e di gestire in modo globale l’adaptation, cioè l’adattamento alle conseguenze di un ambiente più caldo. Si discuterà inoltre del loss and damage, un meccanismo di compensazione dai Paesi più inquinanti verso quelli maggiormente danneggiati.
Le conseguenze del conflitto in Ucraina, come dicevamo, sono però fattori che potrebbero profondamente ritardare e cambiare le strategie di contrasto al cambiamento climatico, e quindi la Cop27.
Le scelte di Italia e Germania, proprio come quelle di India e Cina, sono dimostrazioni di come gli impegni climatici vengano spesso modificati per fare fronte a esigenze più immediate. Con una guerra che coinvolge la Russia, uno tra i principali produttori mondiali di beni energetici, il rischio per la Cop27 è quello di passare in secondo piano a causa delle incertezze belliche e geopolitiche.
Ma non sono mancate neanche le polemiche da parte di alcune organizzazioni di attivisti sulla scelta del luogo. Diversi rappresentanti delle organizzazioni ambientaliste si sono chiesti come sia possibile svolgere liberamente una riflessione sul clima, e quindi sul futuro del pianeta, se ospiti di un Paese come l’Egitto in cui vi è un sistema politico autoritario. Tuttavia, ci sono anche altre organizzazioni – come Amnesty International – che interpretano questa conferenza come un’occasione per l’Egitto di aprire più spazi democratici per la popolazione locale.