Ecomusei: nuovi protagonisti del turismo slow
Dagli anni ‘60 in poi il turismo si è trasformato sempre di più in un fenomeno di massa. Fino ad arrivare a quello che è stato definito overtourism, un modo di viaggiare irresponsabile che distrugge e cannibalizza i luoghi in cui si concentra, senza rispetto per il loro ambiente, le loro tradizioni e la loro storia. Questo significa che, per vivere in maniera sostenibile, dovremmo rinunciare alle tanto sospirate ferie? Certo che no. Esistono – e, per fortuna, si stanno diffondendo sempre di più – dei tipi di turismo che non cannibalizzano le destinazioni ma che, al contrario, ne valorizzano le particolarità. Si tratta di modalità di fruizione dei luoghi lente e diffuse in cui la comunità locale, lungi dall’essere allontanata, scalzata o snaturata – come succede in molte delle località turistiche più gettonate – viene coinvolta nel processo di accoglienza e di attrattività della zona.
Un ruolo chiave in questo senso può essere giocato dagli ecomusei, nati come espressione di un patrimonio culturale e locale topico, ma diventati sempre più aperti ai visitatori. Di queste istituzioni ne sono state mappate 264 sul territorio nazionale, due terzi delle quali concentrate in Nord Italia. «L’ecomuseo risponde bene alle esigenze del turista odierno», dice Moreno Zago, sociologo dell’ambiente e del territorio e professore all’Università di Trieste, «dove contano sempre più la ricerca di specificità e autenticità, lo sviluppo di un coinvolgimento empatico e polisensoriale, una mobilità e un’osservazione “lenta”, il consumo di prodotti tipici, l’incontaminazione ambientale, la promozione di pratiche eco-sostenibili, le certificazioni ambientali, la mobilità con mezzi a basso impatto. L’attenzione agli aspetti green si traduce poi in una crescita della competitività di una destinazione che si lega così indissolubilmente alla sostenibilità»
Una comunità partecipata
L’ecomuseo è l’esempio di una comunità partecipata, luogo di relazione tra istituzioni e cittadini; «In quanto promozione di un’identità locale – fatta di memorie, di esperienze, di saperi, valori e visioni future – questa deve essere condivisa dai residenti “storici” e da quelli nuovi e provenienti da altri contesti culturali», continua il professore. «È considerato un laboratorio in perenne attività nel quale gli attori pubblici e privati, individuali e collettivi riflettono su cosa vogliono essere e come essere rappresentati ma, soprattutto, hanno la consapevolezza di essere cittadini attivi, responsabili della conoscenza, protezione e trasformazione del paesaggio». Un esempio di partecipazione è la creazione di una mappa di comunità, che va oltre la rappresentazione geografica del territorio, ma integra elementi che riflettono la vita sociale, culturale ed economica di una comunità.
Un’esperienza virtuosa è quella dell’ecomuseo delle Acque del gemonese, realtà friulana situata a poco più di una ventina di chilometri da Udine: si tratta, secondo Zago, di un esempio di come un territorio possa utilizzare le proprie risorse naturali e culturali in modo sostenibile, educativo e valorizzante, enfatizzando il legame tra la comunità, il suo ambiente e la risorsa vitale dell’acqua. La zona, infatti, è ricca d ambienti umidi e opere idrauliche. «Le attività vanno dalla conservazione ambientale a quelle di educazione e sensibilizzazione, dalla ricerca e documentazione al recupero delle tradizioni, dalla proposta di itinerari naturalistici alla promozione di un turismo sostenibile, con uno sguardo e una progettazione anche transfrontaliera», afferma il sociologo. «Nello specifico, hanno recuperato un pane tradizionale a rischio di estinzione – come il pan di sorc, oggi Presidio Slow Food –, organizzato il festival “Sguardi sui territori”, una rassegna itinerante di proiezioni e dibattiti, avviato un progetto con le scuole “Adotta un attrezzo” per riscoprire il patrimonio e i saperi della civiltà rurale del Novecento, e il progetto “Latte mleko milk”, per far conoscere e sostenere il sistema della caseificazione comunitaria, organizzato i corsi sui muri in pietra a secco e molto altro»..
Anche quando le modalità di turismo sono sostenibili, tuttavia, non si può considerare scongiurato il pericolo dell’overtourism o dei comportamenti inappropriati da parte dei visitatori: c’è sempre bisogno di un monitoraggio costante, che consenta di prevenire ed evitare i possibili rischi.«Il turismo è un’attività con degli impatti economici, sociali e ambientali rilevanti e nulla uccide il turismo più del turismo stesso», conclude Zago. «Quindi, da un lato, il turismo può essere un valido alleato per la protezione e la conservazione del patrimonio materiale e immateriale di un territorio, e in questo, l’ecomuseo è sia coinvolto direttamente perché interessato alla tutela del patrimonio (molte realtà ecomuseali sorgono all’interno di parchi e riserve naturali) e sia beneficiario perché una presenza turistica moderata e ben gestita può apportare quei finanziamenti necessari alla tutela ma anche, più in generale, allo sviluppo economico, a creare opportunità occupazionali, a evitare lo spopolamento, a trattenere e/o a richiamare i giovani. Ma, dall’altro lato, tutto il processo di domanda e offerta turistica va gestito con attenzione nel senso, cioè, che il turista va accompagnato nei suoi momenti di visita e di apprendimento rispettando i suoi tempi ma anche i tempi e gli spazi della comunità visitata e l’operatore turistico deve impegnarsi a non proporre un’offerta standardizzata e banale ma, piuttosto, rispettosa delle specificità locali».
Foto in apertura veduta dell’area del gemonese, di Johann Jaritz da Wikicommons