Gli acquisti? Si fanno da Mr. Entertainment
È successo a tutti di spegnere la luce prima di dormire per poi ritrovarsi a scrollare il feed dei social sotto le coperte. Oppure di guardare una puntata dopo l’altra dell’ultima serie uscita in streaming, «tanto durano solo 40 minuti». E magari di fare un acquisto impulsivo dopo aver cercato online la marca indossata dal protagonista.
Siamo sempre più abituati ad essere intrattenuti e sempre meno consapevoli di come spendiamo il nostro tempo e denaro.
Anna Zinola, docente di Metodi di Ricerca all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
«L’entertainment è diventato, negli ultimi anni, una strategia sempre più diffusa per attirare e coinvolgere i consumatori. Serie, podcast, videogiochi sono solo alcuni degli strumenti utilizzati dai brand per raccontare la propria storia… e spingere a comperare i propri prodotti», spiega Anna Zinola, docente di Metodi di Ricerca all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
«Accade così che Louis Vuitton crei un videogioco per celebrare il proprio fondatore o che McDonald’s realizzi un podcast per spiegare in chiave ironica che fine ha fatto la salsa Szechuan. Tutto nel tentativo di divertirci e indurci ad acquistare, quasi senza che ce ne accorgiamo, qualcosa che non sapevamo di desiderare».
Il risultato? «Siamo sempre più abituati ad essere intrattenuti e sempre meno consapevoli di come spendiamo il nostro tempo e denaro».
Attraverso numeri, casi aziendali e un pizzico di aneddoti personali il libro di Anna Zinola, La dittatura dell’entertainment. Perché dobbiamo sempre divertirci (Egea), mostra come siamo arrivati ad aspettarci dell’intrattenimento sempre, anche quando ci informiamo e siamo chiamati a farci un’opinione. Lo mostra senza moralismi, ma nella convinzione che un approccio diverso sia, talvolta, necessario.
«L’idea che sottende il libro, e che cerco di dimostrare, è che, negli ultimi anni, ci siamo abituati a essere intrattenuti, divertiti», chiarisce. «Che si tratti di social media, podcast, serie tv o gaming poco importa. L’importante è essere sempre occupati da un qualche contenuto divertente. In questo senso affermo che viviamo in una dittatura dell’entertainment: una dittatura, che ovviamente non è davvero tale. Una dittatura che ci siamo, in qualche misura, autocreati».
Funziona? Secondo Zinola, sì. «È un approccio che funziona in varie categorie, ma è particolarmente evidente nella moda e nel beauty. E questo perché sono settori che hanno bisogno di storytelling e che si prestano allo storytelling. Il “lessico” di un’automobile o di uno yogurt, infatti, è ben diverso da quello di un abito o di un rossetto. Inoltre si tratta di ambiti aperti alla sperimentazione, all’innovazione».
Gli esempi sono numerosi: si va dal connubio fra fashion e gaming, sviluppato, tra gli altri, da Balenciaga, alle partnership tra moda e serie televisive. «Prendiamo la serie Emily in Paris: i capi e gli accessori indossati da Lily Collins sul set – come la borsa Jelly “Snapshot” di Marc Jacobs o la borsa “Nicole” di Kate Spade – hanno registrato un boom di vendite. Ma ci sono anche Stranger Things, che ha supportato il revival degli anni ’80, e La Casa di Carta che ha ispirato innumerevoli capsule collection dedicate ai fan della serie».
Il risultato? «Siamo sempre più abituati ad essere intrattenuti e sempre meno consapevoli di come spendiamo il nostro tempo (e denaro)», osserva ancora la docente. «Ci capita così di passare ore a scorrere il feed di Instagram o a guardare i video di Tik Tok oppure di acquistare un vestito, che mai indosseremo, dopo averlo visto addosso alla protagonista della serie del momento».
…Non si tratta di eliminare l’entertainment dalle nostre vite quotidiane bensì di prendere coscienza del ruolo, e degli effetti, che ha sulle nostre scelte.
Anna Zinola
La domanda che l’esperta pone ai lettori è questa: «Siamo ancora capaci di annoiarci, di affrontare un tempo vuoto – anche limitato – oppure abbiamo il bisogno, l’urgenza di riempirlo, a prescindere dal valore di ciò con cui lo riempiamo?».
Per concludere, dice, «dal mio punto di vista non si tratta di eliminare l’entertainment dalle nostre vite quotidiane bensì di prendere coscienza del ruolo, e degli effetti, che ha sulle nostre scelte. Si tratta, insomma, di fruirne e non di esserne fruiti».