Leader in campo e nella vita, gli sportivi che diventano ispirazione per tutti
«Dobbiamo essere migliori. Dobbiamo amare di più. Odiare di meno. Dobbiamo ascoltare di più, e parlare di meno. Dobbiamo sapere che è responsabilità di ognuno di noi rendere questo mondo un posto migliore». A pronunciare queste parole, lo scorso 11 luglio dal palco appositamente allestito a New York, è stata Megan Rapinoe, 34 anni, l’attaccante della nazionale americana di calcio con i capelli color lavanda. Un discorso chiaro e diretto che, durante la celebrazione della vittoria dell’ultimo Mondiale disputato in Francia (a cui la giocatrice ha contribuito con 6 gol), è riuscito a travalicare i contorni sportivi per parlare a tutti. Una qualità da vera leader. Al di là della fascetta da capitana che si porta al braccio.
In questo senso, la storia dello sport ci ha consegnato diverse personalità che attorno a sé hanno saputo coagulare un consenso che andasse oltre i limiti della propria disciplina. Basti pensare a mostri sacri come Muhammad Ali, Tommie Smith e John Carlos, Socrates, Niki Lauda e molti altri. Oppure a eroi contemporanei come Colin Kaepernick, giocatore di football americano che qualche stagione fa ha dato il via al fenomeno dell’inginocchiamento durante l’inno per protestare contro le discriminazioni e le violenze nei confronti dei neri negli Stati Uniti: «Non starò in piedi per dimostrare il mio orgoglio per la bandiera di un Paese che opprime i neri e le minoranze etniche. Per me è più importante del football, e sarebbe egoista guardare dall’altra parte. Ci sono cadaveri per le strade, e persone che la fanno franca», ha affermato in un’intervista. Prese di posizione che da un lato dividono, con i contrari che puntano il dito contro la confusione fra il piano sportivo e quello sociale e politico; dall’altro contribuiscono a coagulare il consenso, a cementarlo oltre le prestazioni sul campo da gioco.
La storia dello sport ci ha consegnato diverse personalità che attorno a sé hanno saputo coagulare un consenso che andasse oltre i limiti della propria disciplina
Un fenomeno che, nel 2019, si è tinto di rosa. Non solo Rapinoe, anche Sara Gama, capitana delle azzurre del calcio si è spesa per un riconoscimento più grande dello sport. «Il razzismo è uno dei virus dell’intolleranza», aveva detto durante un’intervista prima dell’avventura mondiale. Manifestazione in cui, alla prima partita (vinta) contro l’Australia, le aveva riservato una pioggia di insulti social che mettevano in dubbio l’italianità di una donna nata a Trieste e divenuta volto di una bambola Mattel, segno della lotta agli stereotipi contro il genere femminile. Più recente, invece, l’exploit di Federica Pellegrini che ha vinto la medaglia d’oro nei 200 stile libero ai Mondiali di nuoto in Corea del Sud. Un risultato che, in attesa di Tokyo 2020, rappresenta il culmine di una carriera in cui “La Divina” ha saputo far valere la propria determinazione. Giovane sorpresa alle Olimpiadi di Atene 2004, Pellegrini è stata portabandiera in Brasile e ha contribuito a rompere il monopolio del pallone e a battere i pregiudizi su sport e femminilità: «Lo sport ad alto livello non ostacola assolutamente la femminilità. Certo non si può andare all'allenamento con i tacchi alti, ma fuori dalla vasca si riesce a dare libero sfogo alla nostra parte femminile».
Fra i leader in campo e fuori degli ultimi tempi c’è anche Roger Federer. Ammirato da tutti per il suo stile, il tennista svizzero è stato protagonista assieme al rivale Novak Djokovic dell’ultima finale di Wimbledon, vinta dal serbo. Una sconfitta che non ha minato la determinazione di Federer: «Spero di avere dato ad altri la possibilità di credere che a 37 anni non è tutto finito», ha commentato alla fine del match. Un incoraggiamento a sé e ai suoi tifosi che in Federer vedono un modello di comportamento umano e professionale unico nel suo genere. Lo stesso che si può dire di Daniele De Rossi: bandiera della Roma, capitano dopo l’era Totti e ora capace di mettersi tutto alle spalle e buttarsi in una nuova avventura in Argentina, nella compagine del Boca Juniors. Leader riconosciuto e forse un po’ tradito che, prima di farsi travolgere dai rimorsi e dai rammarichi, si è rimesso in marcia verso il Sud America. Come un vero leader.