Guerra, inflazione, siccità: così aumentano i costi a tavola e al ristorante


Conflitto in Ucraina, siccità, incertezza sui mercati, rallentamenti nelle catene di approvvigionamento, carenza di materie prime, inflazione. Le conseguenze di queste crisi combinate, che si sommano e si legano l’una all’altra, le leggiamo nei rincari che interessano voli aerei e alberghi, stabilimenti balneari e cinema, musei e teatri. Fino a ristoranti, bar e grande distribuzione alimentare, che hanno aumentato i loro prezzi di una quota che oscilla tra il 4,5% e il 5%.

Tutti i fattori scatenanti, per quanto lontani geograficamente, impattano sulle filiere fino a riversarsi nelle tasche dei consumatori.

Il conflitto in Ucraina è forse l’elemento più visibile e vivo nelle cronache dei giornali. Prendiamo ad esempio la questione grano: l’indice Fao (Fao Food Price Index) sui cereali è salito del 17,1% da febbraio a marzo a causa della guerra e del blocco dei cereali nei porti del Mar Nero. Solo nel mese di marzo, il grano tenero è rincarato del 20% proprio per la previsione del crollo della produzione ucraina nel 2023 e delle minori esportazioni anche dalla Russia. Stesso discorso anche per gli oli vegetali, rincarati del 23% nel primo mese di conflitto, frumento tenero e orzo. L’aumento di prezzo di molti mangimi impatta anche sulla filiera di latte e derivati (+2,6%) e delle carni (+4,8%), proprio perché causano un aumento dei costi degli allevamenti.

Ma è ancora solo una frazione di tutto ciò che impatta sui costi della ristorazione e della grande distribuzione. «Il grano ucraino e russo arriva in Italia solo in piccola parte, va per lo più in Medio Oriente e Nord Africa, quindi non ha molte ricadute immediate e dirette sul nostro Paese», spiega Fabio del Bravo, responsabile della Direzione servizi per lo sviluppo rurale di Ismea. «Il problema è che queste conseguenze si mescolano a tutti i problemi che già erano presenti dall’inizio della pandemia, se non prima».

L’aumento di prezzo di molti mangimi impatta anche sulla filiera di latte e derivati (+2,6%) e delle carni (+4,8%).

La condizione eccezionale di questa fase storica è la coincidenza di alterazioni in tutte le filiere di produzione: in questo modo i rincari si sommano l’un l’altro, moltiplicando il prezzo dei prodotti che arrivano sulla tavola dei consumatori e nei ristoranti.

Sono in aumento anche i costi di produzione per l’agricoltura, compresi quelli di materiali per l’imballaggio come plastiche, legno, alluminio, fino ai costi energetici.

Non solo. L’estremizzazione di alcune condizioni climatiche ha creato problemi negli stock di mais e soia, che a loro volta si sommano alla peste suina che l’anno scorso aveva portato all’abbattimento del 50% degli allevamenti suini cinesi. Il Canada è il più grande esportatore mondiale di grano duro, ma la siccità dello scorso anno ha comportato una riduzione del 70% della produzione che si riflette sulle lavorazioni di quest’anno.

A questi fattori di tensione, si è aggiunto un significativo incremento dei prezzi delle materie prime energetiche. Secondo un report Ismea, l’aumento dei prezzi internazionali delle materie prime energetiche e agricole ha comportato un generalizzato aggravio dei costi a carico delle aziende agricole italiane a partire dalla seconda metà del 2021 e nei primi mesi del 2022.

«Per l’aggregato delle colture vegetali – si legge nel documento di Ismea – dove pesano soprattutto i capitoli dei salari, prodotti energetici, fertilizzanti e sementi, i costi degli input produttivi sono cresciuti nel complesso del 5,7% nel 2021 e del 9,1% nei primi tre mesi del 2022, sulla scia della fiammata della bolletta energetica (+26,7% su base trimestrale e +50,6% rispetto al primo trimestre del 2021) e dei fertilizzanti (+9,3% su base trimestrale e +36,2% rispetto al primo trimestre del 2021). I rincari hanno investito tutti i settori, seppure con intensità differente a seconda della combinazione dei fattori produttivi, risultando più accentuati nel caso delle coltivazioni industriali, dei semi oleosi e delle colture cerealicole».

Le conseguenze ovviamente si vedono a tavola, al ristorante, nella grande distribuzione. Secondo il Codacons, che ha analizzato i dati Istat sull’inflazione evidenziando i settori e le voci che hanno registrato gli incrementi più sostanziosi rispetto allo scorso anno, la ristorazione ha avuto prezzi in crescita di valori non indifferenti: per una cena in pizzeria si spende in media il 5,1% in più, +4,5% al ristorante; gelaterie e pasticcerie hanno applicato aumenti del 4,3%, i bar del 4,2%.

«Si tratta dei rincari più alti degli ultimi 36 anni – ha affermato il presidente del Codacons Carlo Rienzi – e la situazione è destinata purtroppo a peggiorare, in considerazione dei nuovi aumenti registrati dai prezzi internazionali degli energetici e dai carburanti. Incrementi dei listini che colpiscono consumi primari delle famiglie come alimentari, trasporti, luce e gas, e che avranno conseguenze pesanti sul fronte del potere d’acquisto dei cittadini».

Difficile capire come si possa venir fuori da questa situazione, almeno nel breve periodo. Anche perché nel frattempo viene minata anche la fiducia delle aziende di tutti i settori colpiti. Un’indagine Ismea di aprile, ad esempio, rivela un tracollo repentino della fiducia per gli operatori della filiera agroalimentare, con grosse preoccupazioni per la situazione dei costi correnti che viene indicata dalla stragrande maggioranza degli intervistati come un elemento di forte difficoltà gestionale.

«Tra settembre e ottobre – dice Fabio del Bravo di Ismea – ci saranno input importanti su alcuni prodotti. Se le indicazioni saranno positive, ci saranno dei cambiamenti rilevanti, ma non è escluso che gli input possano essere peggiorativi: bisogna guardare soprattutto alla campagna cerealicola in Italia e all’estero, su frumento tenero e frumento duro, poi anche il mais e la soia in Nord e Sud America. Sulle variazioni delle mega-commodity avremo modo di capire com’è la situazione, se è migliorata o se è addirittura peggiorata. Dobbiamo prepararci all’idea che questi rincari possano durare ancora un bel po’».

Di |2024-07-15T10:06:57+01:00Giugno 3rd, 2022|Economia e Mercati, Lifestyle, MF|0 Commenti