Shrinkflation: l’inflazione che c’è ma non si vede
Prezzo identico, ma confezioni più leggere. Nelle ultime settimane potrebbe essere passato inosservato, ma facendo la spesa con uno sguardo vigile si potrebbe notare che le confezioni di alcuni cibi sono diventate più leggere. Identico l’aspetto del packaging e la sua grandezza, ma all’interno il contenuto è minore e il prezzo rimane invariato.
Questo fenomeno si chiama shrinkflation e deriva dalla fusione del verbo “shrink”, restringere, e dalla parola “inflation”, inflazione. Indica quel fenomeno per cui le confezioni di alcuni beni di largo consumo, tipicamente cibi e bevande, vengono vendute con una piccola quantità in meno di merce mentre il prezzo non viene modificato. A volte la diminuzione del prodotto si nota soltanto leggendo l’indicazione del peso netto della merce o aprendo la confezione, dunque spesso dopo aver acquistato il prodotto.
Per combattere l’inflazione galoppante e non dare al consumatore una sensazione di erosione del potere d’acquisto tale da scoraggiare i consumi, alcune aziende starebbero reagendo con questa nuova strategia. L’esempio classico è il pacchetto di patatine: chi fa la spesa trova lo stesso prezzo di sempre e lo stesso pacchetto, ma a cambiare è il numero di patatine all’interno, cinque o dieci in meno.
Il fenomeno, la cui definizione si attribuisce all’economista americana Philippa Malmgren (che fu anche Special Assistant del presidente degli Stati Uniti, George W. Bush), si verifica in particolari condizioni di mercato. Come quella attuale, appunto.
Le ragioni per cui si verifica sono sostanzialmente due, secondo Claudio Chiacchierini, professore ordinario all’Università Bicocca di Milano, dove insegna economia e gestione d’impresa. «Le aziende possono decidere di ridurre il contenuto che vendono, senza modificare il prezzo, per stimolare un maggiore consumo e quindi far crescere il fatturato. In alternativa, lo possono fare per contrastare l’aumento del costo delle materie prime: poiché le aziende non vogliono apparire come quelle che per prime aumentano i prezzi, ricorrono a questa soluzione», spiega Chiacchierini. «Anche se può sembrare un tentativo di aggirare il consumatore, l’obiettivo è quello di non colpirlo con un aumento di prezzo che lo infastidirebbe maggiormente. Nelle ultime settimane è certamente questo secondo motivo a spingere le imprese a comportarsi così».
Anche se può sembrare un tentativo di aggirare il consumatore, l’obiettivo è quello di non colpirlo con un aumento di prezzo.
I costi di produzione sono aumentati ulteriormente dopo l’avvio della guerra in Ucraina. Gli incrementi maggiori sono stati in campo energetico, ma le difficoltà di approvvigionamento hanno causato un’impennata anche nel settore agroalimentare. I prezzi sono aumentati sia per le materie prime sia per le merci necessarie alla lavorazione e preparazione del cibo, come l’olio, la soia e i fertilizzanti. Il Fao Food Index Price, un indice che misura il costo dei beni alimentari a livello mondiale, ha toccato a marzo 159,3 punti, in aumento del 12,6 per cento rispetto al valore di febbraio.
Gli esempi più conosciuti di restringimento della merce coinvolgono prodotti di aziende particolarmente note. La Coca-Cola qualche anno fa decise di passare dalla bottiglia di 2 litri a quella di 1,75, mentre la famosa stecca di cioccolato del Toblerone nel 2016 venne prodotta con maggiore spazio vuoto tra un triangolo e l’altro, in modo da poter vendere un bene di peso inferiore senza modificare il prezzo.
Secondo Chiacchierini, tra le tecniche per far accettare ai consumatori la shrinkflation o camuffarla c’è la pubblicità volta a presentare la diminuzione del formato come un’innovazione vantaggiosa. Coca-Cola, ad esempio, fece una famosa pubblicità con Hulk e Ant-man per presentare il suo formato mini, da 0,22 litri.
«Uscendo dagli esempi che riguardano aziende molto note, anche il motivo per cui le bottiglie di vino sono da 0,75 litri, e non da litro, rientra in questo discorso», dice il professore. «L’idea alla base è che farle da meno di un litro avrebbe aumentato il consumo e quindi le vendite».
Comportamenti del genere si verificano quando i mercati non sono efficienti, cioè quando non vi è un elevato grado di concorrenza e le aziende sono libere di poter imporre il prezzo.
Anche il mercato della telefonia italiano offre un esempio simile, seppure il modo in cui agirono le società di telecomunicazione portò l’antitrust a intervenire. Nel 2016, infatti, gli operatori telefonici Fastweb, Tim, Vodafone e Wind-Tre iniziarono ad addebitare ai propri clienti le bollette ogni 28 giorni invece che ogni 30. In questo modo il totale delle mensilità salì da 12 a 13 permettendo un aumento del fatturato alle società. L’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, intervenne chiedendo che le società tornassero alla fatturazione mensile.
«Comportamenti del genere, come anche quelli che spingono le imprese a ridurre il contenuto di merce nelle confezioni, si verificano quando i mercati non sono efficienti, cioè quando non vi è un elevato grado di concorrenza e le aziende sono libere di poter imporre il prezzo», spiega Claudio Chiacchierini. «La concorrenza è l’unica vera protezione per i consumatori. Ma quando viene meno essi ne escono sempre danneggiati».
La diminuzione del peso nelle confezioni rappresenta casi troppi specifici e marginali per spingere l’antitrust a intervenire. Ciò che i consumatori possono fare è prestare maggiore attenzione quando fanno la spesa ed eventualmente cambiare fornitore se il fenomeno persiste. È anche vero però che si tratta di soluzioni dalla dimensione temporale ridotta: in caso di prolungato aumento dei costi di produzione, le società saranno costrette ad aumentare i prezzi.