Indipendenti e flessibili, ecco chi sono i nomadi digitali
Uno stile di vita sempre più diffuso. Cresce il fenomeno del nomadismo digitale, che l’epidemia da Coronavirus ha ulteriormente accelerato. Per questo, in occasione della presentazione del primo rapporto sul Nomadismo digitale in Italia lo scorso 13 luglio, è nata l’Associazione Italiana Nomadi Digitali che si pone come obiettivo quello di incentivare la cultura del lavoro da remoto, puntando a generare un impatto socioeconomico positivo sui nostri territori.
Permettere alle persone di lavorare da remoto da ovunque, significa promuovere la qualità della vita e permettere alle aziende di avere accesso ai migliori talenti ovunque essi si trovino
ha dichiarato Alberto Mattei, fondatore nel 2010 del sito nomadidigitali.it e Presidente dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali.
Chi sono i nomadi digitali
Secondo il rapporto, il nomade digitale ha un profilo definito. Si definiscono tali soprattutto quelli compresi nella fascia 30-49 anni (64 per cento), gli over 50 (27 per cento) e solo dopo gli under 30 (9 per cento). Indipendenza e flessibilità sembrano essere gli obiettivi di chi è già un nomade digitale e anche di chi vorrebbe diventarlo visto che, tra gli intervistati, a fronte di un 23 per cento di coloro che si dichiarano nomadi digitali c’è addirittura un 64 per cento di persone che sogna di esserlo.
Una tendenza accentuata dalla pandemia, che ha portato molti lavoratori a riconsiderare le proprie priorità e a scegliere uno stile di vita diverso da quello delle generazioni precedenti. A tentare molti è soprattutto la capacità di coniugare lo smartworking con il lavoro in presenza: nel 71 per cento di coloro che dichiarano di lavorare da remoto poco meno della metà – 31 intervistati su 100 – sostiene di riuscire a coniugare l’attività in presenza con quella a distanza.
Altro dato interessante è la netta maggioranza delle donne tra i nomadi digitali, il 54 per cento contro il 46 degli uomini, che in questo modo riescono a bilanciare meglio la loro vita privata con quella professionale. Presente anche un alto tasso di istruzione: il 57 per cento ha almeno una laurea (di cui il 26 un master), mentre il 39 per cento è diplomato.
A definirsi nomadi digitali sono soprattutto i freelance e i liberi professionisti, che rappresentano il 41 per cento degli intervistati.
Ma non sono da meno anche i lavoratori dipendenti, circa 38 intervistati su 100, mentre una percentuale più ridotta è quella rappresentata dai disoccupati, appena il 13 per cento, e dagli imprenditori, soltanto l’8.
Un dato che mette in luce come i nomadi digitali non siano soltanto una “nicchia giovanile”, ma un movimento più ampio e diffuso che abbraccia tutti i settori e tutte le fasce d’età, come evidenziano anche le statistiche relative alla provenienza di questi nuovi nomadi digitali. Il rapporto mostra infatti come il 17 per cento occupi ruoli all’interno dell’information technology mentre il 26 per cento lavori all’interno di settori nei quali il numero dei nomadi digitali è in crescita, come architettura e ingegneria, contabilità e amministrazione, risorse umane ed e-commerce.
Le ragioni
Come evidenzia il rapporto, le motivazioni alla base di questa decisione sono molteplici. Secondo gli intervistati, la scelta di essere un nomade digitale è legata soprattutto alla possibilità di adattare il lavoro al proprio stile di vita; alla maggiore flessibilità nella gestione del tempo; alla possibilità di lavorare ovunque, di viaggiare e di spostarsi secondo i propri bisogni e al desiderio di sentirsi più valorizzati e realizzati a livello professionale.
Analizzando i risultati della ricerca, ciò che emerge è che se le fasce più giovani sono spinte al nomadismo per la possibilità di spostarsi e vivere ovunque, quelle più adulte invece lo fanno per altre ragioni: la ricerca di nuove opportunità lavorative e la crescita personale sono infatti tra le motivazioni principali degli intervistati nella fascia 50-59 anni e over 60. In un simile contesto il nostro Paese può svolgere un ruolo fondamentale, visto che oltre il 97 per cento degli intervistati dichiara di soggiornare soprattutto in Italia e nel resto d’Europa, mentre soltanto il 2 per cento al di fuori del Vecchio Continente.
Criticità e opportunità
Non mancano però anche i nodi irrisolti, come evidenziato dai partecipanti al questionario. «Districarsi tra leggi e decreti di natura fiscale è un lavoro certosino, molto difficoltoso per gli stessi addetti ai lavori. Quando inizi a lavorare da remoto spesso non sai a chi rivolgerti perché anche commercialisti o associazioni non sanno darti le giuste informazioni», ha evidenziato uno degli intervistati.
La burocrazia è certamente uno dei problemi principali, anche se non il solo: i partecipanti hanno sottolineato come ci siano anche altri problemi, come l’approccio dei manager delle imprese italiane ancora troppo basato sul controllo e l’obbligo di presenza fisica sul posto di lavoro. Non è un caso, infatti, che siano ancora quasi del tutto assenti in Italia le offerte di lavoro completamente da remoto.
A tutto questo si aggiunge anche l’incapacità della burocrazia di mantenersi aggiornata: leggi e normative contrattuali sono ancora troppo complesse e non adeguate alle esigenze di un contesto in continua evoluzione. I partecipanti al sondaggio hanno infine evidenziato come sia necessario ampliare i network professionali sia all’interno della community dei nomadi digitali, sia nell’ambito delle comunità in cui operano, aumentando le capacità di fare rete per sviluppare progetti comuni e l’offerta di formazione su strumenti e metodologie di lavoro da remoto.