Società Benefit e B-corp: quanto il profitto fa bene (non solo al portafoglio)
B come business o come benefit. Doppia B come buon business. Ma anche come B-corp e società Benefit. Due facce della stessa medaglia. Con un obiettivo condiviso: agli imprenditori di «realizzare il proprio sogno: realizzare il profitto, certo, ma vincolando questa generazione all’impatto sociale» per dirla con le parole del senatore Mauro Del Barba, promotore del disegno di legge dal titolo “Disposizioni per la diffusione di societa che perseguono il duplice scopo di lucro e di beneficio comune” poi confluito nei commi dal 376 al 382 della legge di Stabilità del 2016, che ha istituito in Italia, le società Benefit. Il diritto societario detta agli amministratori l’obbligo di mettere in primo piano il profitto. La legislazione sulle Società Benefit invece modifica lo scopo di una società, dando agli imprenditori la libertà di prendere in considerazione le persone e l’ambiente oltre al profitto.
Le società benefit
Oggi sono 104 le SB iscritte nel registro ufficiale italiano. Una cifra per difetto, considerato che l’elenco non conteggia aziende che non abbiano ancora comunicato al il loro status di Società Benefit o aziende che abbiano scelto di non indicare espressamente il loro status di Società Benefit nella loro denominazione. Ad oggi si possono stimare quindi in circa 150 le SB tricolori. «Un numero un po' superiore alle attese della fase iniziale. In questi primi mesi abbiamo assistito alla fase eroica o dei pionieri con protagosnisti quegli imprenditori che si sono subito riconosciuti nella forma giuridica e non ci han pensato su due volte». «Ora», prosegue Del Barba, «siamo alla fase di approfondimento sistemico: gli interessati sono investitori, gruppi finanziari, holding multinazionali e così via che stanno compiendo le valutazioni del caso». Quale sarà invece il trend del futuro? «Continuerà la crescita lineare degli SB-nativi, sarà poi fondamentale l’evoluzione che si sta compiendo nel mondo del business tradizionale: dal manifatturiero alla finanza: anche sulla base del trend internazionale prima o poi potrebbe esserci effetto tipping-point». Ovvero il punto di non ritorno. «Perché», conclude Del Barba, «il traguardo finale è quello di creare un mercato in cui l’anomalia non è essere una società che genera benefici sociali, ma non esserlo».
Le B-corp
E le B-corp? Sono il lato B di questo processo di evoluzione del modo di concepirsi come impresa. In questo caso la qualifica non si assume tramite modifica statutaria, ma tramite un processo di certificazione privata gestito da B-Lab. Per ottenere la bollinatura (attualmente nel mondo sono 2.204 le b-corporations distribuite in oltre 50 Paesi e spalmate su 130 settori industriali, 28 rappresentati anche in Italia) occorre raggiungere almeno 80 punti su 200 nel processo di analisi degli impatti ambientali e sociali dell’azienda. «Più di 600 aziende italiane hanno affrontato il percorso di misurazione dell’impatto ambientale e sociale, e 61 di queste hanno ottenuto la certificazione (nel mondo il rapporto è di 2mila su 60mila)», spiega Paolo Di Cesare, cofondatore di Nativa (la prima B Corp italiana e country partner di B Lab). «Il tasso di registrazione allo strumento di valutazione dell’impatto è in forte crescita, la nostra previsione è che arriveremo all’iscrizione di 1.000 aziende entro il 2017: il doppio degli ultimi due anni. Ma il raggiungimento della soglia minima di 80 punti e l’ottenimento conseguente della certificazione B Corp resta un obiettivo molto sfidante a dimostrazione che la maggior parte delle imprese è nata su presupposti diversi e fa fatica a cambiare. Ma siamo certi che il processo sia ineluttabile e nei prossimi anni saremo davanti ad una rivoluzione del modo di fare impresa». Del resto dal punto di vista reputazionale passare l’esame ha un certo peso. Ancora Di Cesare: «Significa accreditarsi a livello mondiale come avanguardia nel proprio settore».
[legacy-picture caption=”” image=”5d81ea47-01d3-43af-9391-1ef34093fd23″ align=””] [legacy-picture caption=”” image=”cd32463c-bac1-420b-b0d5-8001c3afadb1″ align=””]Qualche esempio? Parola a Lorna Davis ceo DanoneWave e Chief Manifesto Catalyst sempre di Danone. La domanda è d’obbligo: che bisogno c’era di aderire al movimento delle B-corp per una multinazionale da 22 miliardi di fatturato, quotata alla borsa di Parigi, che opera in 80 Paesi con 150 business units e 14mila dipendenti? Questa la sua risposta: «Ci siamo sempre considerati un purpose business: la sostenibilità dell’azienda non si ferma ai cancelli degli stabilimenti. Nel 2001 abbiamo lanciato il nostro impact assessment e nel 2003 abbiamo lanciato il nostro manifesto, che si ispira alla missione di migliorare la salute a più persone possibili attraverso il cibo ("Bringing health through food to as many people as possible”). Per questo motivo abbiamo stretto una partnership con il movimento delle B Corp».
[legacy-picture caption=”” image=”e3569223-d6e7-439b-b554-67c1883f16a1″ align=””] [legacy-picture caption=”” image=”622ffb5a-b4ac-4d35-a1d5-e663fe38e989″ align=””]Olio Carli, Alessi e le altre
E in Italia? La prima B-corp produttiva a sede in Liguria sotto il marchio dell’olio Carli. Il ceo è Claudia Carli: «Ci siamo certificati B Corp nel 2014, la prima azienda manifatturiera in Italia, ma ci siamo sempre sentiti un po' B Corp: siamo sul mercato mediterraneo da oltre un secolo e abbiamo imparato l’importanza della qualità, il rispetto per le persone (dipendenti e clienti) e la comunità in cui operiamo, infatti abbiamo un rigido controllo su tutti i nostri fornitori che conosciamo personalmente. Tutti valori coerenti con il movimento delle B Corp, per questo abbiamo deciso di certificarci». Dalla prima azienda all’ultima certificata, dal food al design: Alessi è un altro marchio pregiato del Made in Italy di qualità che dallo scorso giugno può rispondere presente all’appello delle B Corp. «Diventare una B Corp significa tradurre in una certificazione formale e riconoscibile quello che da sempre per noi è il senso del “fare impresa”: perseguire attraverso il bene dell’azienda anche quello della società, grazie alla costante ricerca di un equilibrio tra persone, prodotto e profitto», così il vicepresidente Michele Alessi spiega la scelta di entrare nel mondo Benefit. Al di là dell’esperienza del progetto Buon Lavoro, che nel 2013 aveva visto l’azienda donare alla comunità oltre 10mila ore di lavoro dei propri dipendenti come alternativa alla cassa integrazione, sono molte le iniziative speciali che la Alessi realizza a favore dei dipendenti e del territorio. Il principale impatto, tuttavia, è figlio dell’attività ordinaria, in pieno spirito B Corp. «Mi dà particolare soddisfazione il fatto che, per la prima volta, sia stato valorizzato e misurato a fondo anche l’impatto culturale che una produzione industriale può avere sulla comunità dei propri clienti:», conclude il presidente Alberto Alessi, «il 20% del fatturato dell’azienda è realizzato grazie a prodotti esposti nei musei di tutto il mondo. Oltre 350mila opere d’arte che entrano in casa delle persone ogni anno».