Le Comunità Energetiche al centro della transizione ecologica
Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) sono uno strumento su cui l’Unione Europea punta per dare una spinta alla transizione ecologica. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza destina risorse per 2,2 miliardi di euro a queste comunità. E ora, dall’Italia, è arrivato anche il decreto che attende solo il disco verde da parte di Bruxelles.
Secondo il Ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, nel nostro Paese potranno nascere tra le 15mila e le 20mila comunità energetiche grazie agli incentivi previsti dal nuovo provvedimento che prevede sia incentivi per chi si associa con una premialità per l’autoconsumo, sia stanziamenti a fondo perduto dal PNRR fino al 40% dei costi degli impianti ubicati nei comuni fino a 5mila abitanti.
D’ora in poi, aziende e privati potranno digitare il proprio indirizzo di residenza sul sito del distributore locale e scoprire qual è la loro cabina primaria a cui allacciarsi, e quindi insieme a chi possono consociarsi per dar vita a una CER.
Matteo Zulianello, esperto della società Ricerca Sistema Energetico (RSE) del gruppo GSE e uno dei soci fondatori di “è nostra”, il primo fornitore in Italia di elettricità sostenibile, ci guida alla scoperta di queste comunità. Tra quelle che già esistono e quelle che potranno nascere.
Partiamo dalle definizioni. Cosa sono le Comunità Energetiche Rinnovabili?
Le CER sono prima di tutto un soggetto giuridico. A prescindere se a promuoverle siano la Pubblica Amministrazione, un’impresa o un singolo cittadino, queste comunità acquisiscono una propria soggettività giuridica e hanno uno statuto, regolamenti e meccanismi di funzionamento propri. Le CER operano nel mercato dell’energia occupandosi della produzione e del consumo di questa da fonti rinnovabili. Gli impianti realizzati sono al servizio della comunità e l’energia condivisa, prodotta e consumata nello stesso arco orario in un dato spazio, può ricevere un incentivo.
Tutti noi dobbiamo diventare soggetti attivi. Abilitare anche delle configurazioni collettive e comunitarie facilita la realizzazione di investimenti.
Oltre all’autoconsumo, potranno occuparsi anche di altro?
In futuro le Comunità Energetiche potranno fornire servizi per la flessibilità del sistema, prendere in gestione una parte della rete di distribuzione e configurarsi come venditori di elettricità. Sono state introdotte perché gli attori industriali che hanno operato fino a oggi continuano a essere fondamentali, ma non sono più sufficienti da soli per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione posti a livello nazionale ed europeo. Tutti noi dobbiamo diventare soggetti attivi. Abilitare anche delle configurazioni collettive e comunitarie facilita la realizzazione di investimenti.
Dove sono già attive?
Le comunità sono sparse in tutta Italia, ma in piccole realtà: circa una cinquantina hanno ultimato il processo di accreditamento sul sito del GSE. Le prime CER si sono costituite a Magliano Alpi, paese di 2mila abitanti in provincia di Cuneo. In questo caso ci sono un’utenza del comune e una decina di famiglie. A Milano al momento non ci sono CER. All’estero sono più diffuse in Germania, Belgio e Danimarca. Le due direttive di riferimento danno definizioni di comunità energetiche che impongono a ciascuno Stato membro di introdurle all’interno della propria legislazione. L’Italia aveva recepito la direttiva in maniera parziale. Soprattutto aveva posto due vincoli. Il primo riguardo alla potenza, massimo 200 kW per ciascun impianto, e il secondo relativo al perimetro, al di sotto della cabina secondaria, anche meno dell’ultimo miglio. Le sperimentazioni riguardavano fino a 50 famiglie per CER.
Poi come si è evoluta la normativa?
Da dicembre 2021 le due direttive sono state recepite nel loro complesso. Di conseguenza hanno fatto compiere un salto di scala enorme alle comunità. Sia per quanto riguarda la potenza, fino a 1 MW, sia il perimetro, il limite ora è la “cabina primaria”, che in linea di massima raggiunge almeno 10mila utenze. Il decreto prevede un criterio di prossimità tra la produzione e il consumo di energia. L’Italia ha adottato un riferimento elettrico per stabilire la distanza. Di diverso avviso la Spagna, che riconosce la prossimità in 500 metri di distanza dall’impianto. Al momento, nel nostro Paese non ci sono ancora comunità sotto la cabina primaria. Alcune verranno costituite appena uscirà il decreto. È probabile che le prime vedranno la luce a settembre.
Il decreto è atteso da quasi un anno ed è l’ultimo tassello che manca per rendere strutturate le comunità energetiche.
Che effetti possono produrre gli incentivi previsti dal nuovo decreto?
Il decreto è atteso da quasi un anno ed è l’ultimo tassello che manca per rendere strutturate le comunità energetiche. Sembra che saranno incentivi differenziati per tre taglie di impianti: fino a 200 kW, poi tra 200 kW e 600 kW e infine da 600 kW a 1 MW. Si continuerà a premiare l’energia condivisa e l’incentivo sarà collegato all’andamento del prezzo dell’energia. Collegare l’incentivo all’andamento del prezzo dell’energia oggi è diventata una priorità.
Qual è lo scopo dell’incentivo?
Questo strumento serve per colmare il gap per stare sul mercato. Il nuovo incentivo serve per scollegare le due cose. Se il costo dell’energia supera i 180 euro al MWh, dell’incentivo resta una parte più bassa. Se si abbassa il prezzo dell’energia, aumenta il contributo. Lo scopo è mantenere il ritorno dell’investimento tra i sette e i dieci anni. Altro aspetto importante è che il decreto spiega come viene combinata la parte a fondo perduto del PNRR con gli incentivi sull’energia condivisa. Si può avere fino a un massimo del 40% del fondo perduto sull’investimento complessivo. Ma se si accede al fondo perduto si avrà un contributo ridotto. In sintesi: grazie al decreto, ci saranno più CER perché è previsto un incentivo adeguato a sostenere il mercato e ad avere un’economia di scala maggiore grazie al perimetro della cabina primaria.
Cosa potrebbero rappresentare le CER?
Le CER contribuiranno all’aumento di energia rinnovabile, ma non ci permetteranno da sole di abbandonare il ricorso al fossile. Sembra che il decreto preveda 5 GW di nuova potenza (5mila impianti da 1 MW) che potranno accedere direttamente agli incentivi. Al 2030 l’obiettivo è far crescere il fotovoltaico di 31 GW partendo dai 20 attuali. Quei 5 GW previsti per le CER saranno in prevalenza di fotovoltaico perché, dal punto di vista tecnico e autorizzativo, è più facile realizzare tali impianti rispetto a quelli eolici, idroelettrici o a biomasse.
Il consumo di energia rinnovabile nel 2020 era al 20,4% dei consumi finali lordi e l’obiettivo per il 2030 passerà dal 30% al 37%. Il traguardo al 2050 resta la decarbonizzazione.