Il turismo è cambiato: oggi vincono i luoghi instagrammabili
Sun, sex, sea e sand: fino a cinquanta’anni fa a muovere il turista erano le quattro esse di sole, sesso, mare e sabbia. Oppure l’eterno desiderio di ignoto che accomuna milioni di persone. Poi, lentamente, si è fatto spazio un turismo culturale (con l’obbligo di visitare musei, chiese, città d’arte). Oggi l’avvento dei social network ha modificato ancora i nostri comportamenti e le motivazioni che ci spingono a viaggiare. «Destinazioni già rinomate o completamente ignote diventano mete ambite, che inducono una massa di aspiranti influencer ad adottare stessi atteggiamenti e comportamenti perché e purché risultino instagrammabili».
«Nel turismo sta accadendo che invece di scegliere i luoghi per la loro storia e cultura, li si sceglie per la loro “instagrammabilità», osserva Nicola Tanzini, imprenditore, viaggiatore, fotografo umanista e founder di inTarget. «Questo è già accaduto in altri settori, dalla moda alla cosmesi, e soprattutto nella ristorazione: basta pensare a come l’impiattamento, nei ristoranti, debba essere “instagrammabile” per aver l’opportunità di essere fotografato e condiviso sui social e soffermarsi a pensare a quanto questo aspetto condizioni lo chef».
Per mettere in luce la relazione tra la figura contemporanea dell’influencer e le recenti trasformazioni che interessano l’esperienza turistica, Tanzini ha messo a punto il progetto I Wanna Be An Influencer che è anche il titolo del suo libro (per Skira edizioni) che ha l’intento di fotografare, con l’aiuto di esperti del settore come Alice Avallone, Vincenzo Nocifora e Benedetta Donato, le trasformazioni che influenzano il comportamento dei nuovi turisti, dalla scelta delle mete tradizionali alla creazione di destinazioni inedite.
«Soprattutto oggi, quando tutti noi viviamo in un modo sempre più frenetico, il turismo “mordi e fuggi” è diventato un’opzione per molti e, di conseguenza, informarsi sui social e ascoltare l’opinione di una persona che ha già vissuto quella determinata esperienza, è un metodo veloce per darci la percezione di avere alte garanzie di successo. Che ci si rivolga a un influencer per ottenere opinioni e informazioni relative a determinate mete turistiche o li si segua semplicemente sui social, la fotografia spesso diventa il mezzo attraverso il quale si dettano le nuove tendenze ed è lo strumento utilizzato dai follower per eguagliarne la popolarità».
Per realizzare il progetto I Wanna Be An Influencer, il fotografo ha iniziato a scorrere il feed di Instagram con un altro occhio e ha scoperto il mondo delle communities dove influencer e aspiranti tali si documentano sulle location in cui poter scattare foto negli orari e nei momenti in cui c’è meno folla in cerca dello scatto perfetto. «L’elemento più dirompente rispetto al passato, però, è il vero valore che il viaggiatore moderno attribuisce a questi luoghi: non si tratta più di mete turistiche scelte per il forte interesse artistico o storico, ma di location cosiddette “instagrammabili”, rischiando di perdere il senso del viaggio e del luogo in sé che da meta culturale o naturalistica diventa il mero sfondo di una cartolina, in funzione “acchiappa – like”».
I turisti del web immortalati da Tanzini frequentano garage, aree portuali e depositi anonimi, ma senza rinunciare alle destinazioni internazionali più tradizionali di sempre, posando davanti al Colosseo, alla Fontana della Barcaccia di Piazza di Spagna (Roma) o alla celebre torre pendente di Pisa.
Lo stesso luogo, immutato, si ripete per gruppi di pagine consecutive, restituendoci una prova tangibile del conformismo, quasi ossessivo, con cui i pellegrini della realtà parallela replicano un’immagine standardizzata.
Le pose si somigliano, le inquadrature si ripetono. Il processo si conclude con la pubblicazione sulla piattaforma social, nella speranzosa attesa di una buona dose di consenso e popolarità.
Tanzini l’ha compreso meglio quando si è ritrovato di fronte a luoghi che non sempre hanno a che fare con panorami da cartolina, come nei quartieri degradati di Hong Kong per esempio, luoghi che per la loro forza scenografica sono diventati centri di attrazione e dove si fa la fila per potersi fare i propri scatti. «Sembra che i nuovi viaggiatori tengano di più ai like e alle condivisioni di un’immagine che alla presenza del luogo stesso, sia che si parli di monumenti, patrimonio dell’umanità o luoghi degradati. La torre di Pisa e i condomini di Hong Kong hanno quindi la stessa finalità: sono il set fotografico di quel momento. Luoghi che diventano scopo del viaggio, con il solo obiettivo di poter dimostrare di esserci stati anche se solo per pochi istanti e giusto il tempo di mettersi in posa e scattare. Questa è la cosa che più di ogni altra mi ha colpito».
«Tra i progetti digitali più interessati dedicati al mondo del viaggio – osserva Alice Avallone, data humanist, etnografa digitale per le aziende e insegnante di Digital Storytelling alla Scuola Holden – c’è l’app peer-to-peer “Step: Your World”, lanciata nel 2021, che ridefinisce il potere di una raccomandazione social. I contenuti visivi generati dai viaggiatori trovano qui struttura grazie a una rete di scambio di raccomandazioni, come fosse un ibrido tra Instagram e Tripadvisor. Dietro ai contenuti, c’è un nutrito numero di travel influencer, o meglio ancora, di “curatori culturali” come vengono definiti, ciascuno con la propria “expertise” verticale, dal vintage alla street art».
Quale insegnamento trarre da queste pratiche?
Comprendere queste dinamiche diventa importante per tutti quegli enti che si occupano di promozione turistica che devono ripensare non solo la propria strategia di comunicazione, ma anche immaginare, e promuovere, “punti panoramici” con un’altra ottica. «Oggi locali, edifici e persino quartieri possono adattare i propri spazi alle esigenze della “smartphone generation”: i colori, il design, sono tutti requisiti da tenere in considerazione per rendere i luoghi e gli oggetti funzionali al mondo dei social network».
E se da un lato questo fenomeno ha reso le località turistiche vere e proprie vetrine, permettendo a tutti coloro che possiedono un’attività di farsi conoscere da una più ampia fetta di mercato, dall’altro, osserva l’esperto, «l’evoluzione dei mezzi di comunicazione e l’avvento di nuove figure hanno portato a una trasformazione visibile anche sui nostri comportamenti: si perde l’interesse per i luoghi per lasciare spazio ad una mera rappresentazione online di noi stessi».
Se da un lato le piattaforme come Instagram possono essere un volano per nuove mete attirando visitatori da ogni parte del mondo, dall’altro contribuiscono a una trasformazione nel modo in cui molti viaggiano. «Questi “nuovi turisti” non solo si muovono con un telefono a portata di mano, ma anche con cavalletti, ring light e luci, ricreando veri e propri set fotografici per ottenere lo scatto perfetto da veri influencer».
Nel testo introduttivo di Benedetta Donato, la curatrice del volume sottolinea come il più delle volte il turista contemporaneo sia del tutto disinteressato a conoscere davvero il luogo, la sua cultura, le radici su cui poggia la sua identità. Ciò che conta è che il luogo sia riconoscibile dallo sguardo collettivo di Instagram.
Esiste anche un altro turismo: quello sociale
C’è però l’altra faccia della medaglia. Nella costellazione di proposte turistiche si stanno affacciando con un discreto successo anche cooperative, associazioni, imprese sociali o società benefit che stanno realizzando progetti e iniziative innovative che valorizzano i temi del sociale, come migranti, disabili, aree interne, impresa sociale, sviluppo territoriale e così via. Si tratta di un turismo non solo carico di valori ma anche capace di generare valore, per le persone, per le comunità, per le economie.
«Decidere di viaggiare in questi luoghi», osserva Francesco Vietti, docente di antropologia culturale all’Università degli Studi di Torino, «significa contribuire alla sostenibilità di progetti di inclusione sociale, partecipare agli sforzi delle comunità locali di curare il proprio territorio, e molto spesso portarsi a casa come “souvenir” un modo nuovo di vedere la realtà che ci circonda». Facciamo l’esempio di Camini, un piccolo villaggio collinare situato nella zona della Locride, sulla costa Jonica della Calabria. «Qui – osserva l’antropologo – grazie ai progetti per migranti e rifugiati realizzati dalla cooperativa sociale Jungi Mundu a partire dal 2011, appena dopo l’arrivo dei primi giovani dalla Costa d’Avorio, sono sorti alcuni progetti sostenuti da persone locali e volontari internazionali. Queste iniziative hanno dato nuova vita al villaggio che è tornato ad essere comunità vivace e attrattiva per i turisti, i quali possono partecipare a laboratori e iniziative legate alla panificazione, l’artigianato, la raccolta delle olive insieme alle famiglie che vi risiedono e ai giovani migranti provenienti da Paesi molto lontani».
Rispetto ad altri tipi di “turismi”, in queste forme che partono dal sociale, i locali sono ingaggiati come parte attiva e si fanno portavoce nel processo di valorizzazione del proprio patrimonio e della propria identità. «E questo limita le frizioni che spesso si generano tra abitanti e locali nelle località maggiormente toccate dall’overturism e dall’inevitabile superficialità che ha portato nel mondo dei viaggi l’omologazione turistica di mete e intenti».
«Il turismo come esperienza di contesto è uno dei campi più interessanti dove si è assistito a una saldatura tra innovazione sociale e tecnologica che ha alimentato business model redditizi», osserva il sociologo Flaviano Zandonai, Open Innovation Manager presso il Consorzio nazionale Cgm. «Certo in gran parte se ne sono fin qui avvantaggiate le piattaforme capitalistiche, penso ad esempio al canale “experience” di Airbnb, ma la partita per modelli alternativi non è persa, anzi».