Apprendisti, il futuro (e l’orgoglio) del Made in Italy


Prendiamo Pietro Leeman, chef del Joia, il primo ristorante vegetariano in Europa ad ottenere una stella Michelin: ha iniziato come apprendista in un ristorante di Lugano. Oppure Pierluigi Bernasconi, fondatore e AD di MediaMarket, la catena che vende elettrodomestici con le insegne Media World: a 17 anni era apprendista in una piccola azienda di impianti di riscaldamento. Storie vecchie? Succede anche ai nostri giorni: Sandro Berni, manager e designer di Ask Cucina, a 14 anni è entrato in azienda con un contratto di apprendistato, se ne è andato per fare il venditore d’auto prima, l’Accademia di design poi, e successivamente è tornato in azienda diventandone il direttore. In Rolls-Royce questo è il percorso normale: il 20% dei senior manager di Rolls-Royce UK ha iniziato la carriera in azienda come apprendista. In Italia l’apprendistato – e in particolare l’apprendistato professionalizzante – è stato il contratto di lavoro che ha aperto le porte del mondo del lavoro a milioni di giovani. Ma, oggi, è ancora uno strumento attuale? Ecco i sette motivi per cui essere apprendista e assumere apprendisti è rilevante.

I vantaggi del contratto di apprendistato

È un contratto di lavoro a tempo indeterminato rivolto ai giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni (anche 17 anni se si è in possesso di una qualifica professionale), che prevede un periodo iniziale di formazione. Il contratto di apprendistato infatti è sempre accompagnato dal Piano Formativo Individuale: il lavoratore apprendista avrà un tutor e affiancherà all’esperienza lavorativa dei momenti di formazione che possono svolgersi sia all’interno dell’impresa sia all’esterno. Agli apprendisti sono riconosciute tutte le tutele (salariali, previdenziali, maternità, malattia, ecc) di cui godono gli altri lavoratori dipendenti e la loro retribuzione è stabilita dalla contrattazione collettiva, in base alla tipologia di contratto, alla qualifica da conseguire, al livello di inquadramento: in genere si parte dal 60% della retribuzione di lavoratori qualificati di pari livello sino ad arrivare alla medesima retribuzione. Il periodo di apprendistato ha una durata compresa tra i sei mesi e i 3 anni, si può arrivare a 5 anni per profili professionali particolari nell’ambito dell’artigianato. Una volta completato il percorso di formazione previsto e raggiunta la qualifica, c’è una finestra temporale (il cosiddetto periodo di recesso) in cui sia il datore di lavoro sia l’apprendista possono decidere di chiudere il rapporto: se non c’è un’esplicita disdetta, il rapporto di lavoro prosegue a tempo indeterminato.

Contratti di apprendistato: i numeri

Nel primo trimestre del 2017 sono stati attivati in Italia 69.726 contratti di apprendistato, nel 2016 complessivamente si è arrivati a quota 267.773. Ne esistono tre tipi: quello per conseguire la qualifica e il diploma professionale (destinato ai giovanissimi, è il fulcro del neonato Sistema Duale, che dopo un anno di sperimentazione si avvia alla stabilizzazione); quello professionalizzante, per i giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni, finalizzato ad apprendere un mestiere o a conseguire una qualifica professionale; quello di alta formazione e ricerca, per il conseguimento di titoli di studio universitari e dell'alta formazione oppure per svolgere il praticantato richiesto dagli ordini professionali. Il 97,5% dei contratti di apprendistato attivati nel primo trimestre del 2017 sono di apprendistato professionalizzante e l’anno scorso se ne sono contati 257.641, il 96% del totale. Le serie storiche, scorrendo il XV Rapporto di Monitoraggio Apprendistato dell’Isfol (annualità 2013/2014, l’ultimo disponibile), raccontano di un contratto che riguarda quasi equamente maschi e femmine (le lavoratrici apprendiste sono il 44%) e concentrato prevalentemente sulla fascia di età 18-24 anni (il 52% di contratti). Un terzo degli apprendisti lavora nel settore artigiano.

Nel primo trimestre del 2017 i contratti di apprendistato professionalizzante hanno segnato un +33%.

Maurizio Drezzadore, Ministero del Lavoro

Maurizio Drezzadore è consulente del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: «Nel primo trimestre del 2016 sono stati attivati 50.790 contratti di apprendistato professionalizzate, nel primo trimestre di quest’anno sono stati 17.235 in più, è una crescita del 33%, che dice del notevole apprezzamento dello strumento da parte delle imprese. Per il futuro immagino una crescita percentuale maggiore per gli altri due tipi di apprendistato che sono fortemente incentivati e già oggi per l’apprendistato di terzo livello abbiamo un +40% rispetto all’anno prima», afferma. Per capire il trend per l’apprendistato professionalizzante «bisogna attendere di capire quali scelte politiche verranno fatte in legge di stabilità sulla decontribuzione per i giovani: se la decontribuzione sarà dell’ordine di 3-4mila euro il contratto di apprendistato resterà vantaggioso, se si deciderà che per i contratti di primo inserimento l’agevolazione sarà piccola ma permanente – è un’ipotesi – il contratto di apprendistato avrebbe competitor significativi».

Il sapere artigiano cuore del Made in Italy

Il valore vero del contratto di apprendistato però non sta nella sua convenienza economica per l’azienda, ma nella sua dimensione formativa. Susanna Nicola coordina i corsi per apprendistato del CIOFS-FP di Casale Monferrato. Ogni anno un’ottantina di ragazzi svolgono qui una parte della formazione prevista dal contratto: ci sono apprendisti parrucchieri, idraulici, metalmeccanici. La parte di formazione professionalizzante avviene in azienda mentre l’ente di formazione, su mandato dell’azienda, affronta i moduli trasversali, come la sicurezza sul lavoro: «Quando parliamo ai ragazzi dei loro diritti e doveri come lavoratori e dei doveri che ha il datore di lavoro, si apre loro un mondo. Hanno 22-23 anni, spesso hanno un titolo di studio basso, l’elemento di formazione della persona è centrale», afferma.

«Artigianato e apprendistato fanno rima, da sempre. Con un artigiano italiano può parlare di fisco, ambiente, sostenibilità, ma se gli parla di apprendistato di sicuro gli si accendono gli occhi, nel bene o nel male: sa esattamente di cosa stiamo parlando, per l’artigianato italiano è una questione identitaria», sottolinea convinto Stefano Di Niola, responsabile del Dipartimento Relazioni Sindacali di CNA-Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa. Un terzo degli apprendistati professionalizzanti si fa nell’artigianato. «Il nostro export, il made in Italy, non è fatto da prodotti in serie ma da prodotti fatti a mano, per cui è necessario che qualcuno tramandi una professionalità da una generazione all’altra: questo è il valore dell’apprendistato. Un oggetto, se non è fatto in serie, avrà sempre bisogno di una persona che lo realizzi, non di un robot e per questo l’apprendistato non può sparire, nemmeno in epoca di industria 4.0», afferma.

Il nostro export è fatto di prodotti artigianali, dove la professionalità si tramanda da generazioni.

Stefano Di Niola, CNA

Di Niola è un tipo concreto e lancia una provocazione e una proposta: «Assumere un apprendista e metterlo alla catena di montaggio riduce l’aspetto qualitativo dell’apprendistato. Usciamo dagli infingimenti, l’apprendistato fatto in un’azienda con pochissimi dipendenti, che fa una lavorazione specifica, dove il lavoratore anziano si mette al fianco del giovane per insegnargli come si fa quel tipo di lavorazione, è un’altra cosa. Mettiamo un incentivo per le assunzioni di giovani lavoratori, legato all’età del lavoratore e si preveda, per l’artigianato, la decontribuzione totale per i tre anni di apprendistato. Non sarebbe particolarmente costoso, per alcuni anni c’è stata una norma che prevedeva lo sgravio contributivo del 100% per gli apprendisti delle microimprese».

Apprendista in staff leasing, doppia chance di successo

Da qualche anno, con il D.Lgs. 167/2011 (TUA), anche le agenzie per il lavoro hanno iniziato a poter stipulare contratti di apprendistato. Adecco dal 2012 ad oggi ha avviato oltre 1.300 contratti di questo tipo, quasi la metà nel metalmeccanico, un quarto nel commercio, una parte nel chimico farmaceutico, con aziende clienti grandi e piccole: alcuni lavoratori hanno già concluso il loro percorso di apprendisti, altri lo sono ancora. Presto inizieranno a farlo anche per l'apprendistato di primo e di terzo livello, una novità. «Sull’apprendistato professionalizzante abbiamo un vincolo di legge, derivante dal decreto 81/2015: l’agenzia deve confermare almeno il 20% delle risorse al termine del periodo di apprendistato. Siamo al 98%», dichiara Carmela Gallo, referente Adecco per l'apprendistato in staff leasing. Nel 60% dei casi è il cliente ad assumere il lavoratore, nel restante 40% dei casi il lavoratore viene confermato da Adecco e continua a lavorare dal medesimo cliente presso cui si è formato: «solo alcuni apprendisti sono stati confermati da noi ma sono passati su un altro cliente, si tratta di unità residuali e mai per insoddisfazione rispetto alla professionalità acquisita dal lavoratore. In ogni caso quella della conferma da parte dell’agenzia è una doppia chance per il lavoratore», spiega Gallo.

La legge impone alle agenzie del lavoro che almeno il 20% delle risorse siano confermate. Noi siamo al 98%.

Carmela Gallo, The Adecco Group

Un dato nazionale sulle conferme al termine dell’apprendistato non esiste, ma spulciando i dati del Rapporto Isfol, che negli anni 2011-2013 parla di circa 230mila apprendistati attivati all’anno e di 70mila neo-trasferiti nel 2013, si potrebbe affermare che la media nazionale si ferma molto prima, grossomodo intorno al 30%. «Credo che il nostro dato si spieghi con il lavoro di accompagnamento che facciamo con i clienti. È necessario individuare i progetti corretti affinché i ragazzi coinvolti nell’apprendistato crescano davvero e investire molto nel piano formativo, che è interamente organizzato da noi: in questo modo si creano delle figure professionali spendibili e valide, non abbiamo mai visto l’apprendistato solo come contratto “più economico” bensì come “contratto principe” per i più giovani, per creare nuove professionalità». E per l’azienda, che vantaggi ci sono? «Oggettivamente è il contratto che costa meno, senza togliere nulla ai diritti dei lavoratori. Ma l’apprendistato significa soprattutto la possibilità di formare il lavoratore in casa, con una formazione “tailor made”, su quella macchina o su quel software specifico, fatta interamente in azienda. E anche di progettare e accompagnare il ricambio generazionale».

Riassumendo: è un contratto a tempo indeterminato, con tutti i diritti dei lavoratori e consente di raggiungere una qualifica professionale. Se è in staff leasing, c'è la doppia possibilità di essere confermato dall'azienda o dal cliente. Per l'azienda è economicamente conveniente, garantisce una formazione tailor made, consente di accompagnare il ricambio generazionale e, in sintesi, è la chiave per portare avanti il made in Italy. Ecco le sette ragioni per cui è giunto il momento di congedare l'italico snobismo verso l'apprendistato.

Di |2024-07-15T10:04:41+01:00Settembre 20th, 2017|Formazione, MF|0 Commenti