Elogio della bicicletta, il rilancio viaggia su due ruote


È una rivoluzione gentile quella intrapresa negli ultimi giorni dagli italiani, di nuovo in strada dopo il lockdown. Pur calando le restrizioni, il distanziamento sociale è ancora presente nelle nostre vite e sta ridisegnando tanto gli spazi quanto la mobilità, scatenando un vero e proprio “rinascimento della bicicletta”. Così, le più grandi città italiane hanno ridotto i veicoli e incoraggiato i ciclisti: un’impresa se paragonata a pochi mesi fa, eppure anche con tessuti urbani complessi i Comuni l’hanno accolta spontaneamente. È una tendenza innescata anche dal decreto Rilancio che, grazie a bonus bici e incentivi sulla micromobilità (fino ad un massimo di 500 euro a copertura del 60% dell’acquisto di bici, monopattini, monoruota, hoverboard e segway normali o elettrici), ha convinto le persone a dedicarsi a un’alternativa sostenibile. Così, da un periodo difficile, il Paese riscopre il piacere di girare in città, di farlo con la mobilità dolce, a causa di un contesto storico che ha molte coincidenze con il passato.

“L’ERUZIONE DELLA BICICLETTA”
Pochi sanno per esempio che la bicicletta fu inventata durante un disastro naturale, una crisi globale come quella che viviamo oggi. Fu il vulcano Tambora, in Indonesia, a segnarne la nascita nel 1815. Gli effetti dell’eruzione si protrassero per oltre tre mesi e incisero sul surriscaldamento globale di circa tre gradi, influenzando il clima dell’emisfero Nord, provocando carestie e distruzione dei raccolti, malattie come il colera, fenomeni migratori di massa che toccarono soprattutto l’America e l’Europa del Nord. Fu un certo Karl von Drais, barone di Karlsruhe i Germania, a vedere l’opportunità nella crisi, inventando nel 1817 la Laufmaschine, antenata della bicicletta.

È interessante notare come la bicicletta simboleggi anche oggi la ripresa, offrendo un’alternativa ecologica, salutare, pratica ed economica al mondo. Lo sa bene la Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta), attiva da anni nel campo delle politiche per la sicurezza attiva. “Quando vediamo delle persone in bici dovremmo ringraziarle, perché preservano il benessere della collettività: – sostiene Alessandro Tursi, presidente Fiab – scegliere la bici vuol dire cambiare la mobilità urbana, con una riduzione significativa delle auto e dell’inquinamento atmosferico. Così si contribuisce alla diminuzione di incidenti stradali, perché si presta più attenzione alla guida e si tende a non abusare della velocità. Ma è soprattutto un regalo alla nostra salute, perché permette di mantenere il distanziamento sociale e allenare il sistema immunitario, parola dell’Oms”.

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L’effort del Governo sulle piste ciclabili è perciò un investimento di cui beneficerà non solo chi pedala, ma tutta la comunità. “Si pensi che la maggior parte del traffico e delle code si forma per gli spostamenti brevi, – spiega Paolo Ruffino, esperto di mobilità urbana e consulente di bikenomics ad Amsterdam – i dati e le rilevazioni ufficiali di Istat e Isfort dimostrano che la maggior parte degli spostamenti urbani avviene per distanze entro i tre chilometri, circa 15 minuti di bicicletta”. Distanze brevissime che fino a poco fa gli italiani preferivano percorrere in auto. “Consideriamo inoltre – prosegue Ruffino – che oltre il 30% degli spostamenti urbani casa-lavoro e casa-studio avviene per distanze entro un solo chilometro”.
Anche solo il 30% di traffico veicolare in meno avvantaggerebbe chi ha necessità di spostarsi in macchina su grandi distanze, con code ridotte e meno stress per chi è al volante, senza contare i vantaggi di percorrenza per i mezzi pubblici.

L’ITALIA SU DUE RUOTE
L’entusiasmo di ciclisti e neofiti della bicicletta può sembrare affrettato, considerate le condizioni in cui versano le piste ciclabili e le strade delle principali città italiane. Il programma di interventi realizzati da Nord a Sud lascia però ben sperare. “L’Italia ha città con piante di matrice medioevale, è necessario intervenire per far convivere le utenze deboli fra chi va a piedi e chi in bicicletta”, chi viaggia sulla strada tutti i giorni, come Francesca Luzzana, autrice di Come fare la manutenzione della bicicletta ha una sensibilità in più e non gli sfugge che in pochi giorni l’acquisto di ebike su Google è schizzato del 140%. Tutti siamo già in sella o lo saremo presto. A Milano il piano “Strade aperte” prevede 35 km di ciclabili e permetterebbe un collegamento alle altre ciclabili con un’ammagliatura; sono in programma poi altri interventi, come la messa in sicurezza degli incroci. Molti di questi sono già ampiamente percorsi dai milanesi. “In questi giorni tanti cittadini hanno tampinato i negozi di biciclette, le hanno rispolverate dalle cantine, tirate giù dai solai – racconta Marco Mazzei, responsabile comunicazione di AssoBICI Milano – un negozio a Milano so che ha tenuto chiuso nel fine settimana per completare tutti gli ordini”. Anche Bologna e Firenze si stanno attrezzando per le due ruote, connettendo la città con l’hinterland bolognese o predisponendo un tragitto ciclabile, come per Firenze, con 12 chilometri più altri 10 di emergenza. Ma il piano di investimenti di Roma è forse il più ambizioso. “Roma parte già in ritardo sulle città del Centro Nord e sul resto d’Europa – afferma Alessandro Tursi di Fiab – la città raccoglie il doppio degli abitanti di Milano ma ha un territorio sconfinato: il piano prevede 150 km di corsie per l’emergenza entro l’anno più 12 km da ciclabili già programmate, con velocità ridotta”. E non finisce qui, perché quando il Comune parla delle piste ciclabili della Capitale intende le “transitorie”, tragitti che rimarranno per essere attrezzati meglio. O, almeno, si spera.

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PEDALARE PER EVOLVERE
Anche le aziende stanno lanciando un segnale positivo, di apertura verso la bicicletta e la sostenibilità urbana. La Fiab ha il merito di creare consapevolezza su tutti i benefit che il mondo del lavoro ne trarrebbe. “Ci eravamo rivolti alla task force del Governo già a metà aprile, il coinvolgimento di tanti sindaci e media verso la mobilità sostenibile è stato ottimo”. A maggio l’associazione ha diffuso l’iniziativa “Casa-lavoro: Prima la bici!” e un decalogo per le aziende, l’obiettivo è rendere i luoghi di lavoro bike-friendly e incentivare il bike-to-work tra i lavoratori.
Un esempio? Si parte da interventi minimi, come locali dedicati a uso spogliatoio, armadietti, stenditoi e docce. Per parcheggiare la bici, l’azienda può rispondere con l’installazione di rastrelliere adeguate, fornire una tettoia protettiva, oppure predisporre un locale chiuso dove riporre le biciclette, attrezzato per piccole riparazioni. È una conversione necessaria, dai risvolti drastrici se non accettata. “Se non si facesse nulla e i pendolari passassero tutti all’auto privata, basterebbe un aumento del 20 – 30% di traffico auto a paralizzare le città, con costi sociali pari a 14 miliardi (0.7% del PIL italiano) di euro– spiega Ruffino.

BIKE-APPUNTI DAL MONDO
È importante allora cambiare le marce alla mobilità italiana e prendere esempio da città europee che prediligono la bicicletta da tempo. “La priorità è abbattere il numero di auto ogni 100 abitanti – dice Mazzei – In Italia siamo oltre le 60 auto; città come Barcellona, Berlino, Parigi si fermano alle 33-34 per 100 abitanti”. I presupposti ci sono tutti e il modello olandese, contrariamente a quanto si pensi, lo conferma storicamente. “Negli anni successivi alla guerra gli olandesi abbracciarono il modello americano e il desiderio di spostarsi in auto. Fu la crisi petrolifera, bloccando il Paese, a far realizzare agli olandesi che un sistema orientato all’uso massivo dell’auto non è resiliente”. Noi da un certo punto di vista siamo come l’Olanda negli anni ‘70 e il Coronavirus è la nostra crisi petrolifera. Una crisi che vuol dire resilienza.

Di |2024-07-15T10:05:58+01:00Giugno 5th, 2020|Innovazione, Lifestyle, MF|0 Commenti
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