Ecologica, ibrida e connessa: la casa del futuro ha bisogno di nuovi professionisti
Coma sarà la casa del futuro? E di quali professionisti avremo bisogno per progettarla, costruirla, arredarla? Il report “Economia della bellezza. Le possibili figure professionali del futuro”, realizzato da Banca Ifis con il dipartimento di design del Politecnico di Milano, ha dedicato una parte dello studio proprio all’evoluzione futura del “sistema casa” italiano, tra i settori centrali del “bello” made in Italy.
Attraverso il lavoro di cinque gruppi di studenti del Poli.Design, si è immaginato così il futuro lavorativo del settore casa e le competenze di cui ci sarà bisogno da qui al 2030 in uno scenario economico del futuro «con il purpose al centro». Il risultato sono tre scenari per il futuro delle nostre abitazioni: Sensitive House, Transf(home) e Il cassetto delle meraviglie.
Una casa eco-tecnologica
Il primo scenario, Sensitive House, pone al centro l’idea della casa del futuro paragonandola alla struttura di un albero. Rami, foglie, radici: tutto è strettamente interconnesso. Perché la prima caratteristica dei luoghi in cui vivremo da qui al 2030 è che non saranno semplici abitazioni ma sistemi complessi fatti di stanze «senzienti». Attraverso la presenza di sensori e Internet delle cose da un lato, ed elementi naturali a basso impatto ambientale dall’altro, gli spazi saranno dotati di un nuovo equilibrio «eco-tecnologico».
Le stanze delle nostre case si popoleranno di sensori in grado di integrarsi nell’ambiente senza essere invasivi. E la tecnologia nello stesso tempo amplificherà i benefici della maggiore vicinanza agli elementi naturali.
Si cercherà quindi un contatto maggiore con il verde e anche luce, materiali d’arredo e tessuti avranno un richiamo alla natura. Un esempio di architettura che sfrutta i benefici della luce naturale, è “El Camarin”, un piccolo appartamento nell’angolo di un edificio Buenos Aires, con una vetrata curva che garantisce la privacy degli abitanti ma offre anche il massimo apporto di luce.
Ma nello stesso tempo si vivrà in un ambiente ad alta alta presenza tecnologica, capace di monitorare la salute degli abitanti, spiegano dal Polimi. Un esempio di questo tipo di tecnologie sono le lampadine smart che monitorano la frequenza cardiaca, la temperatura corporea e la qualità del sonno, in grado di rilevare una caduta chiamando i soccorsi.
Ma per realizzare strutture complesse di questo tipo servirà una combinazione di vecchie e nuove competenze, con professionisti provenienti da diverse discipline. Non solo natural interior designer o consulenti botanici, ma anche professionalità che sappiano gestire i dispositivi smart e analizzare i dati raccolti, come ingegneri informatici e data protection officer.
Stanze intelligenti
Le abitazioni del 2030 saranno anche Transf(home) domotizzate. Niente a che vedere però con gli assistenti vocali che conosciamo già oggi. Nelle case intelligenti di domani, saranno i dispositivi stessi ad agire in modo autonomo dopo aver appreso, grazie al machine learning, le preferenze e le routine degli abitanti.
In un solo ecosistema domotico, sarà possibile gestire illuminazione, climatizzazione ed efficienza energetica. I sensori apprendono i movimenti degli abitanti, rilevano umidità e temperatura e saranno in grado di trovare soluzioni adatte al momento, senza premere alcun pulsante. Il sistema regolerà la temperatura più adatta. Le luci si accenderanno al passaggio in corridoio.
La casa diventerà una “macchina per abitare” – espressione dall’architetto Le Corbusier. Ovvero un sistema intelligente, adattabile ai bisogni delle persone.
Per progettare questi ambienti servirà una contaminazione di competenze differenti. Sia profili tecnici, come il transformation designer, sia figure capaci di progettare le interazioni tra dispositivi e utenti come il wellbeing designer. Ma servirà anche chi si occuperà della protezione dei dati di cui la macchina per abitare si nutre.
Appartamenti ibridi
La casa del 2030 sarà anche lo spazio dello smart working, dove vivranno insieme lavoro e vita privata. Ma il lavoro da remoto, con l’avvento del metaverso, diventerà anche meta-working, per cui la casa fisica avrà anche un “gemello” virtuale per vivere esperienze condivise e immersive con i colleghi nonostante la distanza.
Ci saranno quindi ambienti domestici in grado di ospitare il “meta ufficio”, una sorta di ufficio a realtà aumentata, che permette di restare a casa senza rinunciare però all’interazione.
La complessità di questo nuovo sistema casa richiede una progettazione da parte di figure diverse in grado di gestire insieme spazi reali e virtuali, e figure esperte del metaverso, ma anche professionalità in grado di occuparsi del benessere psico-fisico degli abitanti-lavoratori.
Occorreranno progettisti dello spazio ibrido e riconfiguratori di interni. Serviranno behavioural designer e psicologi del phygital, che studieranno le interazioni fisico-virtuali. Designer, ingegneri, economi, psicologi e sociologi avranno quindi bisogno di una formazione aggiuntiva, perché siano in grado di gestire la complessità di un mondo domestico phygital.
Come spiega Francesco Zurlo, preside della scuola del design del Polimi, «ciò che emerge dai risultati è che il modello formativo con cui ci si confronta oggi non sarà più funzionale in futuro. Oggi ci si confronta con problemi sempre più complessi». E la definizione di questi problemi richiede «un dialogo tra discipline e non più solo saperi verticalizzati».