Come cambierà il ruolo del Chief Human Resources Officer? The Adecco Group lancia la sua ultima ricerca
In che modo i leader possono aiutare i dipendenti a dare il meglio di sé sul lavoro, creando al contempo un contesto professionale più positivo? I Chief People Officer stanno assistendo a una trasformazione del proprio ruolo che implica tre grandi sfide: utilizzare i dati e la tecnologia mantenendo fondamentalmente un approccio umano; affrontare le emozioni e il benessere dei dipendenti sul lavoro; attrarre risorse qualificate provenienti da contesti differenti.
The Adecco Group ha collaborato con il Center for Leadership in the Future of Work dell’Università di Zurigo per esplorare come il mondo del lavoro, in costante evoluzione, stia modificando il ruolo del Chief People Officer, o CPO, un ruolo noto anche con il titolo di Chief Human Resources Officer.
Condotta nell’estate 2021, la ricerca ha raccolto le opinioni di 122 dirigenti delle risorse umane di 10 Paesi in tutto il mondo: Australia, Francia, Germania, Hong Kong, Giappone, Messico, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Insieme, sono responsabili di oltre 3 milioni di dipendenti in una vasta gamma di settori, dalla finanza al commercio al dettaglio, all’aerospaziale.
Ecco le tre evidenze principali:
- CPO, da manager tradizionali a data scientist e garanti della cultura
Abbiamo chiesto ai dirigenti di riflettere su come trascorrono il tempo ora e in che modo si aspettano di trascorrerlo in futuro. In generale, prevedono di dedicare meno tempo alle tradizionali attività di gestione dei team, alle funzioni principali delle risorse umane e alle procedure di conformità e regolamentazione.
Si aspettano, invece, di concentrarsi maggiormente su due attività: da un lato lavorare sull’analisi dei dati, dall’altro guidare il cambiamento organizzativo e la cultura aziendale. Per avere un’idea del range di tempo richiesto per queste due attività, è stato chiesto ad alcuni intervistati di immaginarsi tra cinque anni, ad altri di immaginarsi tra vent’anni. Se coloro che hanno analizzato il primo scenario hanno previsto che i dati assorbiranno la maggior parte del loro tempo, al contrario il secondo gruppo ha evidenziato una maggiore attenzione alla creatività e alle competenze umane.
Questi risultati indicano una possibile fonte di tensione per il futuro CPO. Le aziende potrebbero, infatti, dover valutare la presenza di due differenti ruoli: il primo incentrato su dati e tecnologia, il secondo specializzato nell’aspetto umano della cultura aziendale. Tuttavia, la divisione del ruolo potrebbe inficiare l’opportunità di utilizzare i dati per modellare le attività dei collaboratori in modo human-centered.
Se le aziende si aspettano che il ruolo esecutivo del CPO continui a combinare data science e tutela della cultura, potrebbero quindi dover identificare in quale di queste due aree i loro leader ritengano di dover migliorare le proprie competenze. Più un’organizzazione riuscirà ad assumere una prospettiva a lungo termine, più essa potrà prevedere uno sviluppo del ruolo di CPO in una direzione incentrata più sull’essere umano che su dati e tecnologia.
È stato chiesto ai dirigenti anche in quali aree si sentano più o meno a proprio agio con l’implementazione della tecnologia. In generale, si sono detti maggiormente disposti ad automatizzare le decisioni in aree come la comunicazione di posti vacanti, lo screening dei candidati, l’onboarding, le decisioni salariali e lo sviluppo delle competenze. Al contrario, la maggior parte degli intervistati non farebbe affidamento sulla tecnologia per attività come l’assunzione, la valutazione e la promozione delle risorse. L’importanza dell’interazione umana in tali aree è considerata cruciale.
- L’importanza delle emozioni dei dipendenti è ampiamente riconosciuta, ma non è ancora integrata nelle attività
Per decenni, le emozioni sono state perlopiù lasciate al di fuori del business. Oggi, lo scenario sta cambiando: i ricercatori, infatti, evidenziano un divario tra il modo in cui i dipendenti affermano che vorrebbero sentirsi riguardo al proprio lavoro (ad es. eccitati, apprezzati, soddisfatti, orgogliosi) e come si sentono effettivamente (ad es. annoiati, stressati, frustrati, stanchi). In questo contesto, i CPO sono ritenuti responsabili della salute mentale e del benessere emotivo dei dipendenti.
La ricerca di The Adecco Group ha rilevato che i CPO riconoscono l’importanza di affrontare le emozioni dei propri dipendenti, e considerano cruciali i vantaggi che questo riconoscimento porta nella produttività e nelle prestazioni, seguite da creatività e innovazione.
Tuttavia, non risulta ancora chiaro quale sia, per i leader, il modo migliore per approcciare le emozioni sul lavoro. È stato chiesto ai CPO quali azioni sono soliti compiere in questo contesto. “Misurare e ricevere regolarmente feedback” è stata la risposta più comune. Tuttavia questo è un dato che rappresenta solo il 30% delle aziende.
A seguire, le risposte più comuni sono state “Ritenere i manager responsabili di come si sentono i dipendenti”; “Modellare gli spazi degli uffici pensando alle emozioni”; “Creare programmi incentrati sul benessere”. Esempi di attività meno comuni, ma interessanti, prevedono la nomina di alcuni “campioni della salute mentale” formati per favorire il benessere. Nessuno degli intervistati ha affermato che la propria azienda si occupa di formare i dipendenti sulle capacità emotive, nonostante molti studi ne attestino i benefici.
Questi risultati mostrano quanto margine ci sia ancora per migliorare il benessere emotivo dei dipendenti. Il modo in cui essi si sentono nel contesto lavorativo deve innanzitutto essere misurato, per consentire alle emozioni di essere incorporate nei processi organizzativi: dall’assunzione alla formazione, al tipo di lavoro che viene chiesto di svolgere. Questa nozione di “intelligenza emotiva organizzativa” può guidare le aziende a diventare più incentrate sull’essere umano e più accoglienti nei confronti dei lavoratori che hanno subito interruzioni di carriera.
- La reintegrazione nel mondo del lavoro può aiutare a migliorare la diversità, sebbene i benefici siano ancora sottovalutati
I CPO sono sempre più alla ricerca di strategie per reclutare lavoratori di talento provenienti da diverse realtà. È stata chiesta loro un’opinione su questa soluzione concreta: reintegrare coloro che appartengono a diversi gruppi sociali e hanno interrotto la propria carriera. Tale questione è particolarmente rilevante dopo che la pandemia ha spinto in modo sproporzionato le donne a lasciare il lavoro per prendersi cura dei familiari e dei bambini durante la chiusura delle scuole.
La reintegrazione offre ai professionisti un percorso di ritorno al lavoro dopo un’interruzione di carriera, attraverso un mix di tirocini retribuiti, percorsi di formazione e aggiornamento, networking, coaching e tutoraggio. Sebbene finora sia stata sperimentata perlopiù su donne altamente qualificate nei servizi finanziari e professionali che si sono prese una pausa per concentrarsi sulla famiglia, questa strategia potrebbe avvantaggiare numerosi settori.
È stato chiesto ai CPO che implementano questo tipo di strategia a quali categorie di lavoratori si rivolgono: il 69% prevede programmi per aiutare a re-integrare le madri che ritornano dopo un periodo dedicato ai propri figli; il 57% prevede programmi di re-inserimento per i padri; il 40% per i dipendenti che rientrano dopo un congedo necessario per prendersi cura degli anziani a proprio carico. Solo il 13% ha menzionato qualsiasi altro gruppo, come i lavoratori di ritorno da un lungo congedo per malattia, servizio militare o anno sabbatico.
In generale, i dirigenti concordano sul fatto che i programmi di reintegrazione portino un beneficio all’intera società e non solo alla propria organizzazione o ai lavoratori coinvolti. Tuttavia, i dati dimostrano che è più comune che coloro che hanno avuto esperienze personali di tali programmi – e in particolare le donne – li offrano. Ciò suggerisce che potrebbe essere necessario sensibilizzare maggiormente sull’importanza di queste iniziative e, soprattutto, sui benefici che esse possono portare al business.
Un’importante opportunità per ridisegnare il mondo del lavoro
La pandemia ha creato sia l’opportunità che l’urgenza di ridisegnare il mondo del lavoro, mettendo la persona al centro. Ogni organizzazione deve riflettere su come stia cambiando il ruolo del Chief People Officer, quali azioni concrete si possano intraprendere per supportare al meglio il benessere dei dipendenti e come creare una cultura aziendale che promuova una maggiore diversità e inclusione. I leader nella gestione delle risorse umane possono aprire la strada a un futuro di lavoro sempre più empatico, inclusivo, diversificato, flessibile, adattabile, basato sulle evidenze e, soprattutto, incentrato sulle persone.
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