Il made in Italy della responsabilità sociale d’impresa
La Corporate Social Responsibility, in italiano Responsabilità Sociale d’Impresa, è entrata formalmente nell’agenda dell’Unione Europea a partire dal Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000, dove è stata considerata come uno degli strumenti strategici per realizzare una società più competitiva e socialmente coesa e per modernizzare e rafforzare il modello sociale europeo. [legacy-picture caption=”Roberto Orsi, Direttore dell Osservatorio Socialis” image=”d549b34c-2fe3-4e8f-a91b-a85767f5ed5f” align=”left”]
Ma che cos’è praticamente la Csr? Chi sono gli stakeholder che ne beneficiano? E che benefici, a sua volta, ottiene l’impresa che investe fondi e risorse in azioni di responsabilità sociale?
«La Corporate Social Responsibility», dice Roberto Orsi, Direttore dell’Osservatorio Socialis, «è innanzitutto un comportamento che le imprese hanno intrapreso dal 2001. Anno che possiamo far coincidere ufficialmente con la nascita della Csr ovvero quando viene pubblicato il Libro Verde della Commissione Europea, dove la responsabilità sociale è definita come: “L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”».
L’Osservatorio Socialis, cantiere di promozione culturale della CSR, ha reso noto l’ottavo rapporto sull’impegno sociale delle aziende in Italia: Sono 1,412 i miliardi di euro investiti in progetti Csr nel nostro Paese nel 2017, il 25% in più rispetto all’anno precedente. Le imprese che oggi mostrano attenzione alla loro responsabilità sociale sono raddoppiate: dal 44% del 2001 all’85% del 2017. Più di 200mila euro (209mila per l’esattezza) la media di spesa/investimento nel 2017 per le imprese italiane: +18,7% rispetto al 2015, quando la cifra media per azienda era ferma a 176mila euro. La previsione di spesa 2018 per azienda arriva a 267mila euro (+27,8%).
Il rapporto è stato realizzato dall’Osservatorio Socialis in collaborazione con Baxter, FS Italiane, Prioritalia e Terna. L’indagine dell’osservatorio è stata condotta su un campione di 400 aziende, ognuna con più di 80 dipendenti.
«Negli ultimi anni il mondo è cambiato molto velocemente», continua Orsi. «E le aziende si sono adeguante trasformando il loro paradigma di base. Siamo infatti passati dalla logica “produci e vendi” a quella “ascolta e rispondi”. Le imprese oggi non possono non ascoltare le esigenze del “portatore di interesse”. I principali stakeholder sono i consumatori che compreranno i prodotti realizzati dalle aziende, quindi i clienti».
Gli investimenti in percorsi di responsabilità e sostenibilità sono ormai avvertiti come necessari, anche grazie alla spinta dei consumatori.
Misurare e comunicare non a caso è una delle richieste più esplicite degli stakeholder: riguarda la necessità di individuare un “riconoscimento ufficiale”, un “marchio” da poter esibire, per chi ha fatto della sostenibilità (ambientale, sociale, organizzativa aziendale) un carattere distintivo, una scelta definitiva. Ci vuole e ci sarà un “CSR Index” per stilare una classifica dei migliori nelle azioni di CSR. Un marchio di qualità, unico, nella consapevolezza che le “buone pratiche” della CSR sono assai diversificate nelle esperienze delle aziende.
«Gli investimenti in percorsi di responsabilità e sostenibilità sono ormai avvertiti come necessari, anche grazie alla spinta dei consumatori», ha spiegato Roberto Orsi, «e stanno mettendo radici nelle organizzazioni che vogliono stare sul mercato in maniera più efficace e duratura. Le regole? Formare il personale, essere coerenti, condividere a tutti i livelli, ascoltare gli stakeholder, comunicare, programmare e misurare».
La CSR è diventata un valore essenziale per le imprese. Coinvolgimento dei dipendenti, attenzione all’ambiente, lotta agli sprechi, ottimizzazione dei consumi energetici e ciclo dei rifiuti: sono i campi d’azione dove le aziende hanno dichiarato di impegnarsi di più.
Il 35% delle aziende ha dichiarato di voler contribuire allo sviluppo sostenibile; il 32% di essere responsabile verso le generazioni future; il 29% vuole migliorare i rapporti con le comunità locali. Meno importante l’obiettivo commerciale: “solo” il 21% si prefigge di “attrarre nuovi clienti” con azioni di CSR.
«Da notare», aggiunge Orsi, «che le iniziative di CSR restano per lo più sviluppate all’interno dell’azienda, ma crescono sensibilmente anche quelle rivolte al territorio di riferimento della sede operativa: sono infatti sempre meno le attività di CSR rivolte a Paesi esteri».
Coinvolgimento dei dipendenti, attenzione all’ambiente, lotta agli sprechi, ottimizzazione dei consumi energetici e ciclo dei rifiuti: sono questi i settori dove le aziende si impegnano di più.
Cresce quindi l’attenzione sia verso la sostenibilità ambientale sia verso la responsabilità sociale che, se si comprendono anche le attività per il benessere dei dipendenti, risulta la più diffusa delle due.