Il cuneo fiscale italiano, spiegato bene
“Ridurre il cuneo fiscale”. “Abbassare il cuneo”. “Tagliare il cuneo”. Ma cos’è il cosiddetto cuneo fiscale che tanto riempie i discorsi e i programmi dei politici italiani? Detto sommariamente, è il costo del lavoro, ma in realtà si tratta di qualcosa di più complesso. E la sua riduzione, appunto, sembra per molti versi essenziale per rendere più competitive le imprese e dare maggior potere d’acquisto ai lavoratori.
Partiamo dalle definizioni. Il cuneo fiscale è la somma delle imposte (dirette, indirette o sotto forma di contributi previdenziali) che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i redditi dei lavoratori, dipendenti e autonomi. Detto in maniera ancora più semplice: è la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda che lo assume e quanto lo stesso dipendente incassa, al netto delle tasse, in busta paga.
In Italia questa differenza è molto alta. Secondo Taxing Wages, il rapporto annuale che mette a confronto le tasse a carico di imprese e lavoratori in 35 Paesi Ocse, l’Italia si piazza al terzo posto con il 47,9%, seguita a breve distanza dalla Francia (47,6%). Mentre peggio del nostro Paese fanno solo Belgio (52,7%) e Germania (49,5%). Ma mentre per Francia, Germania e Belgio il valore del cuneo fiscale è in diminuzione, per l’Italia è cresciuto: era al 45,9% nel 2005.
Secondo Taxing Wages, il rapporto annuale che mette a confronto le tasse a carico di imprese e lavoratori in 35 Paesi Ocse, l’Italia si piazza al terzo posto con il 47,9%
L’ultimo report di Istat “Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie”, pubblicato a dicembre 2018 e riferito al 2016, fa i conti in tasca agli italiani. Il costo del lavoro in Italia, spiega Istat, raggiunge il valore medio di 32.154 euro. La retribuzione netta che resta a disposizione del lavoratore rappresenta poco più della metà del totale del costo del lavoro (54,3% pari a 17.447 euro).
Il cuneo fiscale e contributivo è più elevato all’aumentare dell’età e del titolo di studio che consente di accedere a lavori più remunerativi. Raggiunge infatti il valore massimo del 54% del costo del lavoro per i dirigenti, mentre è al 44,5% per gli operai. Inoltre, è nettamente più elevato per chi ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato (46,6% contro i 41,7% di chi ha un contratto temporaneo) e un orario di lavoro a tempo pieno (46,3% rispetto a 38,8% di chi lavora meno di 30 ore settimanali). Si attesta al 46% per i cittadini italiani contro il 41,9% di chi non ha la cittadinanza italiana. A livello territoriale, il cuneo è più elevato nel Nord-ovest (46,8%) e al Centro (46,2%), e più basso (43,6%) al Sud e nelle Isole, dove i redditi sono mediamente inferiori. Esistono anche delle differenze di genere, legate al gender pay gap probabilmente: per le donne il cuneo è del 44% in media, per gli uomini del 46,8%.