Daniel Goleman, l’arte della leadership spiegata attraverso le emozioni
«I grandi leader ci fanno muovere. Accendono la nostra passione e ci ispirano a dare il meglio di noi. Quando cerchiamo di spiegare perché essi siano così efficaci, parliamo di strategia, visione o idee potenti. Ma la realtà è molto più basica: le grandi leadership lavorano attraverso le emozioni». Così si apre il libro Primal leadership – Unleashing the power of Emotional Intelligence di Daniel Goleman. Psicologo e giornalista scientifico, Goleman ha dedicato la sua attività di ricerca al legame fra emozioni e leadership sviluppando il concetto chiave di intelligenza emotiva (titolo dell’omonimo best seller del 1995), ossia la capacità di riconoscere le proprie emozioni, quelle degli altri e gestirle per interagire in modo costruttivo con chi ci sta intorno.
«L’abilità a gestire se stessi, essere consapevoli e sapersi regolare, è la base per imparare a gestire gli altri. I grandi leader sono tali perché, prima di tutto, sanno guidare se stessi», ha riassunto Goleman in una recente intervista per Forbes. Principi base da cui discende un modello che comprende quattro domini e 12 competenze. Più precisamente: Self Awarness, Self Management, Social Awarness e Relationship Menagement.
L’abilità a gestire se stessi, essere consapevoli e sapersi regolare, è la base per imparare a gestire gli altri. I grandi leader sono tali perché, prima di tutto, sanno guidare se stessi
Un mix di qualità che, al tempo dell’iper-specializzazione e della corsa all’acquisizione di sempre nuove competenze (nella speranza che servano a costruire il cv vincente), può fare la differenza. Soprattutto a livello manageriale, dove le decisioni da prendere diventano sempre più importanti per il futuro del business e non possono essere lasciate in balia delle emozioni. D’altronde, come ricorda spesso Goleman, «i leader talentuosi emergono là dove cuore e testa, emozioni e pensiero, si incontrano». In che modo, però, è possibile allenare l’intelligenza emotiva? Il primo passo è quello di sviluppare la propria forza interna, quello sguardo lucido su noi stessi che evolve e si schiarisce mentre impariamo, cresciamo e sperimentiamo nuove strade rendendoci più adattabili, trasparenti e positivi verso l’esterno. In secondo luogo, bisogna adoperarsi per costruire un cultura della compassione. Non nel senso di pietà verso qualcuno, ma di riconoscimento delle emozioni altrui. Un dettaglio che vale doppio se si lavora in team, fidandosi l’uno dell’altro. Terzo, potenziare le relazioni attraverso una comunicazione aperta e continuativa che non si fermi di fronte alla differenza nei livelli di responsabilità all’interno di un’impresa. Una caratteristica che va a braccetto con la disponibilità a una formazione continua, magari attraverso l’esempio. Infine, bisogna saper affiancare l’analisi quantitativa a quella qualitativa, soprattutto nel valutare le prestazioni della persona che ci sta di fronte al fine di dargli il giusto merito e veicolare la fiducia che si ripone nelle sue capacità.
L’arte della leadership consiste nel portare e mantenere le persone nella fascia più alta dei livelli di performance, e questo succede quando le persone sono nel miglior stato di benessere personale
Insomma, l’arte della leadership basata sull’intelligenza emozionale si concretizza nel centrare gli obiettivi attraverso la qualità del lavoro degli altri. «L’arte della leadership – precisa Goleman – consiste nel portare e mantenere le persone nella fascia più alta dei livelli di performance, e questo succede quando le persone sono nel miglior stato di benessere personale. È uno stato ottimale che si chiama Flow, in cui la persona stessa rimane stupita dei risultati che ottiene, e definito attraverso ricerche sui professionisti più diversi, dalle ballerine ai giocatori di scacchi, dai top manager ai militari».
Ma come creare una situazione del genere? «Un modo è stabilire chiare regole e obiettivi, ma lasciare una certa flessibilità sul modo di raggiungerli. Un altro è il feedback immediato. La terza è mettere alla prova e far crescere le competenze, e cercare di far coincidere quello che le persone sanno fare con i compiti loro assegnati».