Eppur si muove: i Digital Innovation Hub sono la chiave di volta per il piano Impresa 4.0
Sono l’architrave del piano Impresa 4.0, lo snodo fondamentale per il suo successo e per la disseminazione delle nuove metodologie di produzione digitale al di fuori delle medie e grandi imprese ipertecnologiche, sui territori della piccola e micro manifattura. Compito improbo, insomma, quello che il Governo ha messo sulle spalle dei Digital Innovation Hub. Veri e propri nodi per la diffusione della tecnologia, il loro compito dovrebbe essere quello di fare da ponte tra il mondo delle imprese, della ricerca universitaria e quello della finanza.
L’elenco della spesa in teoria è ancora più corposo, in realtà, perché i Digital Innovation Hub dovrebbero attivare un ecosistema dell’innovazione territoriale – fatto di università, lavoratori di ricerca e sviuppo, parchi scientifici e tecnologici, incubatori, fab lab, investitori, enti locali – in grado di offrire a ogni impresa interessata tutte le competenze nell’analisi dei fabbisogni e nel supporto alla costruzione dei progetti di industria 4.0, nonché la porta d’accesso per finanziamenti pubblici e privati, nazionali ed europei. Dentro, insomma, c'è tutto quel che le imprese italiane, oggi, fanno fatica a fare.
Non solo, peraltro. Perché il progetto italiano si integra alla perfezione con la strategia che la Commissione Europea ha lanciato nell’aprile del 2016, adottando il piano “Digitising European Industry” per promuovere i processi di trasformazione digitale delle imprese. Una strategia anch’essa fondata sui Digital Innovation Hub sulla quale ha promosso un investimento di 500 milioni di euro attraverso il piano Horizon 2020, per mettere in rete a livello europeo tutti questi nodi, affinché le imprese possano non solo sperimentare le tecnologie digitali, ma anche disseminare conoscenza, creare progetti comuni e condividere best practice.
I Digital Innovation Hub dovrebbero attivare un ecosistema dell’innovazione territoriale.
A che punto siamo, però? I numeri ci dicono che mentre dei Competence Center non c’è ancora traccia (è in arrivo un bando per individuarli), sono stati per ora costituiti 12 Digital Innovation Hub sui 19 previsti. Il primo tra loro, perlomeno in ordine di tempo, si chiama Innexhub e coinvolge i territori di Brescia, Cremona e Mantova. La cosa bella e incoraggiante è che questo progetto supera le tradizionali barriere tra grande e piccola impresa, coinvolgendo in un’unica iniziativa sinergica Confindustria, Rete Imprese Italia. La seconda buona notizia è che mette in connessione il mondo delle imprese con quello delle università di Brescia, Cremona, Mantova e Milano, che affiancheranno le imprese supportandole nella simulazione, sperimentazione e collaudo delle tecnologie digitali all’interno di progetti di ricerca applicata, e gli altri poli tecnologici di eccellenza, da Isfor e Csmt.
Poche settimane fa è nato pure quello di Bergamo, che avrà sede al Parco scientifico tecnologico Kilometro Rosso e coinvolgerà fin da subito, oltre alla stessa Confindustria, realtà importanti come il Digital Innovation Hub Lombardia, Kilometro Rosso, UBI Banca e Università degli Studi di Bergamo. E pure Smile, a Sorbolo (Parma) che ha l’obiettivo di disseminare le imprese di competenze e progetti relativi all’internet delle cose ed ai sistemi cyber-fisici (come, ad esempio, quelli per il riconoscimento biometrico), nonché quelli relativi alla lean production.
Appuntamento tra un anno almeno, per capire cosa ne verrà fuori. Di sicuro, per ora, non è stata una falsa partenza. Abbastanza per sperare che questa volta, davvero, il nostro sistema imprenditoriale riuscirà a fare quel salto in avanti verso le nuove tecnologie che tante, troppe volte ha rimandato.