Perché la Cina deve fare i conti con la disoccupazione giovanile
Un cinese su cinque tra i 16 e i 24 anni non lavora. Mentre il tasso di disoccupazione generale in Cina viaggia intorno al 5,2% ed è rimasto stabile negli ultimi mesi, quello giovanile a giugno è risultato quattro volte maggiore, raggiungendo un nuovo record: 21,3%. Cifra che potrebbe essere più elevata poiché questa percentuale prende in considerazione solo le città, escludendo gran parte del Paese.
Un segnale negativo per un Paese in cui l’economia va tutt’altro che bene. Dopo i dati negativi su import (-12,4%) ed export (-14,5%), l’indice dei prezzi al consumo ha registrato un -0,3%, segnando dunque un periodo di deflazione.
Dopo il rimbalzo del primo trimestre in seguito alla fine delle restrizioni sul Covid, la Cina sta attraversando un periodo di calo dei prezzi a causa dell’indebolimento della domanda dei consumatori e delle imprese. Il crollo del mercato immobiliare e la riduzione della spesa dei consumatori stanno pesando sulla ripresa dell’economia, riducendo dunque anche le occasioni lavorative per i più giovani.
Analizzando i report dell’Istituto nazionale di statistica della Cina, in realtà, si nota che il dato relativo ai giovani disoccupati ha un andamento ciclico: raggiunge il picco a luglio e il minimo a dicembre. All’inizio dell’estate i ragazzi cinesi terminano gli studi universitari e cominciano a cercare un impiego. Quest’estate si sono laureati 11,58 milioni di persone, che faticano a trovare un lavoro. Inoltre la curva di coloro che hanno tra i 16 e i 24 anni e non lavorano continua a crescere: un anno fa aveva raggiunto il proprio picco al 19,9% e, nel 2021, al 16,2%.
Le cause del fenomeno e le prospettive future
Secondo uno studio di Goldman Sachs, le cause di questo fenomeno sono molteplici. Innanzitutto esiste un mismatch tra le posizioni lavorative per le quali i giovani cinesi hanno studiato e quelle che offre effettivamente il mercato. I giovani “altamente istruiti” sono in costante aumento, ma non ci sono lavori per tutti. Ciò si verifica soprattutto in alcuni settori. Per esempio, il numero di laureati in scienze dell’educazione e nelle discipline sportive nel 2021 è cresciuto del 20% rispetto a tre anni prima. Ma la domanda di assunzioni in questi campi è diminuita. E il risultato è stato lo stesso nei settori tech e immobiliare, anche a causa delle restrizioni del governo che hanno interessato questi settori. Nel primo semestre del 2022 molte grandi società tech sono arrivate a licenziare il 20% dei dipendenti in alcune sezioni.
Non bisogna poi dimenticare l’impatto della pandemia e, in particolare, della politica zero Covid in vigore a lungo in Cina mentre il resto del mondo ripartiva. Durante questo periodo, la crisi ha colpito soprattutto l’industria dei servizi, che tende ad assumere più giovani. Mentre l’output gap (ossia la differenza tra ciò che un’economia produce e ciò che è in grado di produrre) in questo settore si è ristretto nel primo trimestre di quest’anno, il relativo aumento della domanda di lavoratori non sembra sufficiente a compensare un’imminente flusso di laureati.
E da gennaio 2023 la ripresa successiva alla fine delle restrizioni non ha prodotto i risultati sperati nemmeno per quanto riguarda il PIL, che nel secondo trimestre ha raggiunto il +6,3% (numero distante dall’atteso +7,1%), con l’export crollato, nel mese di luglio, del 14,5% rispetto all’anno scorso (peggio rispetto all’ipotizzato -12,5%).
Davanti a questo scenario, il governo cinese ha in serbo diverse mosse. Anche perché i giovani sono importanti per l’economia di Pechino: spendono molto per la cultura, la formazione, gli affitti, i trasporti e le comunicazioni. L’esecutivo sta promuovendo una campagna di assunzioni per i laureati nel settore pubblico. Questi ultimi sono diventati il primo obiettivo durante le selezioni del mondo militare e le aziende pubbliche hanno promesso un milione di tirocini nei prossimi due anni.