Economia dei dati: un tesoretto per l’Italia post Covid


Che i dati fossero importanti lo sapevamo già prima. Ma dopo la pandemia, dovrebbe esser chiaro per tutti. Non solo ci aiutano a comprendere meglio situazioni in rapida evoluzione, ma anche a prevenirle e ad agire di conseguenza. Il problema è che, ad oggi, queste potenzialità non vengono sfruttate ancora a sufficienza (se non dalle Big Tech). Soprattutto in Italia. E con il calo degli investimenti legato alla crisi Covid, il gap rischia di allargarsi.

Secondo uno studio presentato da Ernst & Young, nel nostro Paese l’economia dei dati potrebbe generare un valore vicino al 2,8% del Pil nazionale, pari a circa 50 miliardi di euro. Ma bisogna saperli valorizzare perché, se in Europa si generano fino a 1 Zettabyte (zetta deriva dal termine greco sept e sta a indicare la settima potenza di 1.000) all’anno, il nostro Paese contribuisce per il 20% ma ne sfrutta solo il 10%.

Non una sorpresa, se si pensa che l’Italia – secondo l’indice Desi (Digital Economy and Society Index) – occupa la 25esima posizione su 28 all’interno dell’Unione europea in termini di investimenti, progetti, conoscenza e penetrazione digitale. Certo, il lockdown di marzo e il massiccio passaggio allo smart working hanno sicuramente dato avvio a un processo di recupero che, tuttavia, presenta luci e ombre. E che ha bisogno di un processo di maturazione per poter penetrare concretamente il tessuto economico.

Se in Europa si generano fino a 1 Zettabyte all’anno, il nostro Paese contribuisce per il 20% ma ne sfrutta solo il 10%.

L’obiettivo a lungo termine, suggerito anche per il Recovery Plan, è quello di omogeneizzare la diffusione dell’economia dei dati, allargandola a quanti più soggetti possibile. Secondo l’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano, la crisi generata dal Covid-19 ha allargato infatti il divario fra le aziende mature, capaci di accelerare la propria strategia data driven, e quelle più tradizionali che hanno interrotto gli investimenti di fronte alla crisi di liquidità innescata dalla serrata di molti settori.

Il risultato è un rallentamento della crescita del mercato Analytics che, nel 2020, in Italia raggiunge 1,815 miliardi di euro, mostrando un +6% rispetto allo scorso anno, dopo il +23% registrato nel 2018 e il +26% nel 2019. Tuttavia, nonostante questa decelerazione, il 96% delle grandi imprese prosegue a compiere attività per migliorare la raccolta e valorizzazione dei dati e il 42% si è mosso, in termini di sperimentazioni e competenze, in ambito Advanced Analytics.

Tra le piccole e medie imprese, invece, il 62% ha in corso qualche attività di analisi dati, di cui il 38% avanzate. Una su due ha compiuto degli investimenti in quest’ambito nell’ultimo anno, ma si tratta di cifre molto limitate ancora a supporto di un approccio a silos nella gestione dei dati.

Si assiste a un ampliamento del gap tra le aziende mature nella gestione e analisi dei dati e quelle in ritardo.

Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano

«Nel 2020, nell’emergenza sanitaria, il tema della valorizzazione dei dati è avvertito dalle aziende italiane come di fondamentale rilevanza. Ma la crescita del mercato rallenta rispetto al passato, perché molte organizzazioni hanno ripensato i piani di investimento», ha spiegato Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell’Osservatorio PoliMi. «In realtà, si assiste a un ampliamento del gap tra le aziende mature nella gestione e analisi dei dati e quelle in ritardo. In un contesto di grande incertezza, infatti, quelle mature hanno mostrato maggiore capacità di fornire risposte ai nuovi interrogativi, aumentando le risorse di Data Science, ripensando modelli predittivi e di ottimizzazione. Quelle con un approccio tradizionale, limitato a classiche attività di Business Intelligence, hanno interrotto o posticipato gli investimenti, con conseguenze determinanti sulla loro capacità di competere in un mercato sempre più data-driven oriented».

La pandemia «ha portato a ripensare alcune attività di analisi dei dati, ponendo maggior attenzione all’efficienza, alla presenza di competenze interne e alla governance dei dati e della Data Science», ha aggiunto il collega Alessandro Piva, responsabile della ricerca. «Il Covid è stato uno stress test: mentre le aziende più immature hanno visto una riduzione dell’interesse al tema, quelle orientate all’approccio data driven hanno saputo reinventarsi. Le altre tendenze che emergono dalla ricerca sono l’applicazione del machine Learning nell’intero ciclo di vita dei dati, l’industrializzazione degli Advanced Analytics e una maggiore maturità organizzativa»,

Per quanto riguarda le pmi, vera e propria struttura portante dell’economia italiana, l’emergenza sanitaria ha ridotto risorse e competenze ma non ne ha interrotto il percorso di avvicinamento ai Big Data Analytics avviato nel 2019. Nel 2020, una pmi su due ha investito in ambito analisi dei dati o prevede di farlo entro la fine dell’anno e l’8% ha dovuto bloccare investimenti già programmati a seguito dell’emergenza. Fra le medie imprese, ha investito il 61% e solo l’1% ha fermato gli investimenti. Secondo il 22% delle piccole e medie imprese, il Covid ha avuto risvolti positivi per la valorizzazione dei dati perché è aumentata la consapevolezza di quanto sia rilevante (18%) e ha portato le risorse interne a dedicare più tempo a gestione e analisi dei dati (4%).

Di |2024-07-15T10:06:13+01:00Dicembre 4th, 2020|Innovazione, MF|0 Commenti