Il Belpaese nello Spazio
La Space Economy (SE) o Space-based Economy (in italiano Economia dello spazio o Economia spaziale) è il nome del comparto produttivo e finanziario orientato alla creazione e all’impiego di servizi e risorse nell’ambito dello spazio extra-atmosferico. Più precisamente, possiamo distinguere i segmenti upstream e downstream, ovvero da una parte la creazione di infrastrutture spaziali, satelliti, stazioni spaziali fino alle future basi collocate sulla Luna o su pianeti rocciosi del sistema solare; dall’altra lo sfruttamento dei benefici che conseguono dai dati raccolti nello Spazio e dalle risorse fisiche prelevate per essere trasformate e impiegate sulla Terra.
Dalla “Old” Space Economy alla New Space Economy
L’origine della Space Economy (SE) coincide con la cosiddetta “era spaziale” iniziata formalmente con il lancio del satellite sovietico Sputnik 1 il 4 ottobre 1957. Da quell’anno, fino al 1999, la SE ha ruotato principalmente attorno alle missioni d’esplorazione scientifica, alle stazioni spaziali e alla messa in orbita di satelliti scientifici e commerciali. L’indotto principale è stato (e continua ad essere, almeno nel breve termine) quello per cui molte delle tecnologie prodotte per l’impiego extra-atmosferico trovano rapidamente un utilizzo anche in comparti economici e attività pratiche più tradizionali. Dai primi anni 2000, con l’emergere di aziende private e startup come la Blue Origin di Jeff Bezos specializzata nella costruzione di lanciatori riutilizzabili e capsule spaziali, e l’ormai celeberrima SpaceX di Elon Musk, caratterizzate da profili aziendali orientati alle attività extra-atmosferiche indipendenti dagli enti spaziali degli stati a cui appartengono. Questa nuova fase prende il nome di New Space Economy ed estende i campi d’interesse della SE: dall’estrazione mineraria sugli asteroidi, per cui la Nasa stima a 700 quintilioni – miliardi di miliardi – di dollari il valore dei minerali presenti nella fascia tra Marte e Giove, al turismo spaziale, e all’inumazione spaziale a cui verosimilmente assisteremo nel medio-lungo termine.
Anche in questa fase un ruolo importante è comunque interpretato dagli enti spaziali statali, prima tra tutti la Nasa, ma anche da agenzie come l’Agenzia Nazionale Cinese per lo Spazio Cnsa, l’Agenzia Spaziale Giapponese Jaxa, l’Organizzazione Indiana per le Ricerche Spaziali e l’Agenzia Spaziale Europea Esa che comprende anche l’italiana Asi (Agenzia Spaziale Italiana), supportata da gruppi privati come Leonardo e Avio e da istituti di ricerca.
Space Economy in numeri
Dopo aver registrato un calo del 4% nel 2020 a causa della pandemia, nel 2021 il settore è arrivato a valere 370 miliardi di dollari (la navigazione satellitare e i sistemi di comunicazione satellitare continuano ad essere i maggiori contributori di crescita, rappresentando rispettivamente il 50% e il 41% del valore complessivo del mercato) e si stima proseguirà la sua corsa con una crescita del +74% entro il 2030, anno in cui dovrebbe raggiungere i 642 miliardi di dollari (Space Economy Report – Euroconsult).
Tale tendenza porterà, secondo il report, la Space Economy a toccare nel 2040 il valore di 1 trilione di dollari. L’intero comparto risulta ad oggi formato da 130 agenzie governative, 150 centri di ricerca e sviluppo e ben 10mila aziende. In questo contesto, ci torneremo, per lo spazio l’Europa ha stanziato 1,3 miliardi per lo sviluppo della costellazione di satelliti Iride (di Esa). Complessivamente, negli ultimi 10 anni sono stati investiti in 1.727 società operanti nel settore spaziale circa 264 miliardi di dollari. Il nostro Paese vanta una lunga tradizione nelle attività spaziali. Terza nazione ad avere mandato in orbita un satellite dopo URSS e USA, è tra i membri fondatori dell’Agenzia Spaziale Europea, di cui è oggi terzo Paese contributore, con 589,9 milioni di euro nel 2022, dopo Francia con 1.065,8 milioni e Germania con 968,6.
L’Italia è inoltre uno dei nove Paesi dotati di un’agenzia spaziale con un budget di oltre 1 miliardo di dollari all’anno e viaggia tra il 6°/7° posto nel mondo per “investimenti spaziali” in relazione al PIL, anche grazie al PNRR. Il budget italiano impiegato sullo Spazio, infatti, poteva già contare su circa 1.835 milioni di euro di finanziamenti del piano pluriennale dell’Agenzia Spaziale Italiana (distribuiti come in figura) e 300 milioni di euro per la quota della partecipazione italiana al programma Artemis con la Nasa, rifinanziato nell’ultima Legge di Bilancio.
A questo budget nazionale si aggiungono poi i 2,3 miliardi del PNRR, di cui 1,5 miliardi dalla programmazione europea e 800 milioni da fondo complementare approvato dal Parlamento. Anche questi ultimi sono stati già integralmente assegnati ai diversi soggetti attuatori. Parliamo quindi di un totale di 4,6 miliardi di investimento italiano nel settore Spazio.
Piccole imprese iperspecializzate nella nuova corsa allo Spazio
Nel nostro Paese emerge, tra l’altro, una specializzazione nella manifattura spaziale, una filiera che conta 286 imprese, nate dopo gli anni 2000 e di piccole dimensioni (oltre la metà è sotto i 2 milioni di fatturato). Realtà piccole, ma iper-specializzate che vanno dalla progettazione software alla rielaborazione di dati satellitari passando per la produzione di componenti per i veicoli spaziali e per le telecomunicazioni via satellite.
L’Italia, sia nel pubblico sia nel privato, vuole quindi puntare sul settore spaziale come strumento efficace per la ripresa economica e lo sviluppo sostenibile, essendo uno dei pochi Paesi al mondo ad operare in tutte le aree delle attività spaziali e avendo intrapreso, negli ultimi anni, una strategia di investimenti che mira a rafforzare ulteriormente la propria capacità di innovare, sviluppare e implementare servizi e infrastrutture nel settore.
Sul fronte sempre più affollato delle costellazioni satellitari, l’Italia sta per conquistare una posizione di maggior rilievo in Europa (e non solo) grazie agli investimenti pubblici e privati messi in atto nel campo dei microsatelliti dedicati all’osservazione della Terra e ai servizi IoT (Internet of Things), l’Internet delle cose, alla cui base ci sono, infatti, gli oggetti intelligenti (i cosiddetti “smart objects”). E non stiamo parlando soltanto di computer, smartphone e tablet, ma soprattutto degli oggetti che ci circondano all’interno delle nostre case, al lavoro, nelle città, nella vita di tutti i giorni. L’IoT nasce proprio qui: dall’idea di portare nel mondo digitale gli oggetti della nostra esperienza quotidiana. Il passo avanti si manifesta nei primi due progetti appena finanziati, frutto delle possibilità maturate con gli investimenti attuali negli ultimi anni, grazie al vento della New Space Economy. Il PNRR ha dedicato una consistente fetta delle risorse proprio all’intento di sostenere e generare maggiori capacità produttive accrescendo competitività e presenza sul piano internazionale. I micorsatelliti tricolori, assieme al trasporto in orbita e ai servizi orbitali come la manutenzione dei satelliti, sono stati concepiti per l’osservazione della Terra alla quale sono riservati 1,3 miliardi, cioè oltre la metà della disponibilità complessiva legata allo Spazio. In una prima fase il Piano prevede 61 veicoli spaziali e l’Esa, insieme con Asi, ha assegnato il contratto iniziale di 68 milioni di euro per il primo lotto di 22 satelliti, suddiviso equamente alle due società scelte per l’impresa.
Ohb Italia di Milano (240 addetti, fatturato di 95 milioni e stabilimenti anche a Roma e Benevento) ne costruirà 12 con un’opzione per altrettanti con un valore complessivo di 62 milioni, Argotec di Torino (100 addetti, 12 milioni di fatturato) invece ne produrrà 10, più altri 30 per un totale intorno a cento milioni di euro. Ma questo è solo un primo passo. Ulteriori gruppi di satelliti con taglie diverse e prodotti da altre societá come Sitael, attendono di essere approvali rapidamente per dare forma alla costellazione. Tutto infatti deve essere completato entro il 2026 secondo le regole del PNRR.
I microsatelliti appena avviati producono immagini multispettrali ad alta risoluzione, volano su un orbita bassa intorno ai 500 chilometri e soprattutto possono rivedere l’area interessata con grande frequenza, nel giro di qualche ora.
Uno dei vantaggi offerti dalla costellazione dei microsatelliti – che si chiamerà Iride – è essenziale per la Protezione Civile perché sono in grado di cogliere i cambiamenti del territorio in modo da consentire oculate pianificazioni per contrastare il dissesto geologico, tutelare le coste, monitorare le infrastrutture critiche come i ponti. Questa costellazione di microsatelliti avrà anche il centro di controllo in Italia che sarà a Torino per i satelliti Argotech e in una delle tre sedi di Ohb Italia da definire per gli altri. «Negli ultimi anni abbiamo investito tre milioni di euro per lo sviluppo delle microtenologie spaziali – nota Roberto Aceti, Amministratore Delegato di Ohb Italia. Insieme si è coltivata una visione produttiva che oggi trova risposta nella fabbricazione dei satelliti di Iride».
«La possibilità di creare una costellazione deriva dalle innovazioni sviluppate per costruire i due microsatelliti che hanno raggiunto di recente l’asteroide Dimorphos e la Luna – nota David Avino, fondatore e AD di Argotec – Entrambi erano il frutto di un investimento di 13 milioni che ha permesso alla società di ampliare gli obiettivi produttivi. I nuovi satelliti, tra l’altro, aumenteranno la loro capacita in orbita con l’aggiornamento degli algoritmi che invieremo a bordo nel corso della loro vita tecnica di cinque anni». La speranza è che tante risorse pubbliche facilitino la creazione di un’infrastruttura nazionale permanente che, integrata con quelle internazionali, assicuri la continuità nella raccolta di dati utili sia allo sviluppo di servizi commerciali sia nuove iniziative produttive.
In parallelo a Iride, però, è entrata in scena anche l’iniziativa privata. Proprio nel 2023 inizierà ad essere portato in orbita il primo gruppo di nove picosat (ovvero piccoli satelliti) che formeranno un’altra costellazione. I picosat sono dei microsatelliti di dieci centimetri per tre, pesanti appena 400 grammi e dedicati alla fornitura di servizi IoT. L’iniziativa è della Apogeo space, società bresciana fondata nel 2013 dall’ingegnere Guido Parissenti con il fisico Primo Attiná e fornitrice di Esa, Asi e vari enti di ricerca. «Il piano è di avere una rete intorno alla Terra a 550 chilometri di altezza di cento picosat entro il 2027 – spiega Parissenti – ma già con il primo gruppo potrà essere avviato il servizio entro l’anno. Oltre alle risorse interne, nei mesi scorsi abbiamo ottenuto un finanziamento di cinque milioni di euro dal fondo italiano Primo Space Fund che ci garantirà la realizzazione del sistema».
La tecnologia è tutta italiana maturata con due lanci sperimentali effettuati negli ultimi due anni (2021-22). I dati sono raccolti in ogni punto del globo, memorizzati e scaricati al sorvolo della zona interessata. Per questo è attiva una serie di stazioni terrestri diffuse nei diversi continenti. Per il lancio a grappolo di nove nuovi satelliti Apogeo Space ha siglato un accordo con D-Orbit, la società italiana fornitrice di un sistema di distribuzione in orbita installato sul vettore (ovvero il razzo) di lancio, che colloca i microveicoli nella posizione orbitale voluta. Il primo lancio sarà effettuato a metà maggio insieme ad un lancio di un razzo della Space-X di Elon Musk, ma in seguito sarà valutato anche il ricorso al razzo italiano Vega-C.
Dallo Spazio alla Terra, un mondo di nuove attività e servizi a livello nazionale dovrebbe presto nascere. Questo è l’obiettivo.