L’educazione alimentare a scuola contro i disturbi dell’alimentazione
Quella dei disturbi alimentari è un’epidemia nascosta. Così è stata definita dal Ministero della Salute nel report che analizza il numero dei casi di disturbi del comportamento alimentare (DCA). L’andamento è crescente: dal 2019 a oggi i numeri sono più che raddoppiati su tutto il territorio nazionale. I DCA, secondo i dati della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, colpiscono più di 55 milioni di persone a livello mondiale, oltre 3 milioni in Italia.
La diagnosi più frequente è l’anoressia nervosa. Ma tra i DCA rientrano anche bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata, pica, disturbo da ruminazione e disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo. Esistono poi altre patologie, come l’ortoressia nervosa che, al momento, non rientrano nei più tradizionali disturbi del comportamento alimentare. Può manifestarsi come attenzione estrema alla qualità degli alimenti o come desiderio di controllo collegato alla “purezza” della propria alimentazione tale da compromettere la qualità della vita.
«Vivevo il fatto di mangiare cibi con ansia, avevo paura dei carboidrati o di altri alimenti. Cercavo di preparare solo ricette light senza grassi né zuccheri, con il minor apporto calorico possibile», racconta Francesca Mittoni, influencer e autrice del libro “Non sono un peso” (Fabbri Editori).
Riconoscere l’ortoressia è difficile. «La linea che la divide da uno stile di vita salutare è sottile. Bisogna saper distinguere il momento in cui diventa un’ossessione. Io controllavo in maniera maniacale le etichette, rinunciavo a fare vita sociale per non saltare un allenamento».
Io controllavo in maniera maniacale le etichette, rinunciavo a fare vita sociale per non saltare un allenamento.
I rischi della diet culture
L’esordio dei DCA è sempre più precoce. A esserne colpita è principalmente la popolazione femminile, ma il numero dei maschi è in aumento. In Italia l’8-10% delle ragazze e lo 0,5-1% dei ragazzi soffre di anoressia o bulimia.
Vedere rappresentati ovunque corpi perfetti porta a una sensazione di inadeguatezza. È importante che ci siano rappresentazioni di corpi diversi.
I motivi sono molteplici. «Ogni persona sviluppa un disturbo alimentare per motivi diversi, però il clima in cui viviamo sicuramente incide. Vedere rappresentati ovunque corpi perfetti porta a una sensazione di inadeguatezza. È importante che ci siano rappresentazioni di corpi diversi», continua Mittoni.
Viviamo in quella che viene definita diet culture. «È un insieme di valori e idee che mette al centro come ideale la magrezza, che considera i corpi non magri da disprezzare. Dà un valore morale sia ai corpi, tale per cui una persona grassa viene vista come pigra, sia al cibo che viene diviso in buono e cattivo a seconda dell’apporto calorico», dice. Complici i social e le immagini delle modelle con corpi magrissimi, la diet culture rischia di imporre l’ideale della magrezza come l’unico contemplabile.
Il contesto incide in maniera importante sull’immagine che si ha di sé e del proprio fisico. «Certamente è fondamentale rivolgersi ai professionisti del settore, a me è stato utile anche smettere di seguire persone che promuovevano un modello di bellezza impossibile da raggiungere, a favore di chi veicolava un messaggio di accettazione. Anche se sembra sciocco, quello che vediamo di sfuggita sui social ha un’influenza importante su di noi», sostiene Francesca Mittoni.
Da qui la decisione dell’influencer di aprire un profilo Instagram e fare divulgazione. Al centro l’accettazione di sé e del proprio corpo, ma anche ricette e reel contro l’uso dei filtri che stravolgono i tratti del volto in nome di un unico ideale di bellezza.
La scuola come volano del cambiamento
Un modo univoco per far fronte ai disturbi del comportamento alimentare non esiste, ma un punto di partenza può essere l’ambiente scolastico. Nell’Unione Europea, l’educazione alimentare è obbligatoria per le scuole primarie o secondarie in diciannove Paesi. L’Italia però non fa parte della lista. Dal 2020 esiste il programma Scuola&Cibo promosso dal Ministero dell’Istruzione che ha il fine di garantire la sostenibilità e il benessere alimentare. Ma si tratta di un progetto a titolo volontario rivolto ai docenti.
Sembrerebbe nelle intenzioni del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara inserire nei programmi scolastici ore dedicate all’educazione alimentare. «È fondamentale proprio per prevenire rischi alla salute e per una crescita sana. Oltre tutto incide anche, indirettamente, sull’ambiente, quindi è green da tutti i punti di vista», ha dichiarato il Ministro. L’insegnamento dovrebbe rientrare nel pacchetto di educazione alla cittadinanza che si pone come fine quello di educare gli studenti a un’alimentazione sana. A questo dovrebbero affiancarsi le mense a chilometro zero, che offriranno ai ragazzi alimenti stagionali del territorio.
«Introdurre l’educazione alimentare a scuola sarebbe interessante e sicuramente utile per fornire a tutti le basi per un’alimentazione corretta e prendere consapevolezza del cibo e del proprio corpo», commenta Mittoni. «Però nelle scuole dovrebbero andare esperti che non facciano vivere il rapporto con il cibo in maniera negativa. L’alimentazione non deve creare ansia. Sono necessari specialisti che abbiano il giusto tatto per affrontare questi argomenti con i ragazzi. Molti sono competenti e sanno come parlare al paziente, altri sono immersi nella diet culture. Ma a quel punto l’educazione alimentare perde il suo scopo».