Elena Ugolini: Alternanza scuola – lavoro, la chiave è coinvolgere genitori e imprese
Dal 2015, anno in cui è entrata in funzione, l’alternanza scuola-lavoro dovrebbe essere il ponte che mancava fra il mondo della formazione e quello delle professioni. Un primo passo per gli oltre 900 mila studenti delle scuole superiori che nell’anno scolastico 2016/17 hanno preso parte a uno dei progetti avviati dal 95% degli istituti scolastici con più di 200 realtà imprenditoriali, no-profit e simili. Segnali incoraggianti, al primo anno di sperimentazione anche se «manca ancora una vera e propria progettazione strutturale e condivisa fra aziende e istituti scolastici», afferma Elena Ugolini, preside del liceo "Malpighi" di Bologna e già sottosegretaria all’istruzione durante il governo Monti.
Modello da rivedere, quindi?
Tutt’altro. Dove l’alternanza funziona, il consiglio di classe e gli enti lavorano all’unisono per assicurare la maggior ricaduta positiva sui ragazzi. L’obiettivo è quello di farne maturare le competenze che già possiedono e acquisirne di nuove, trasversali, utili tanto a scuola come sul luogo di lavoro come la puntualità, il lavoro di gruppo, l’iniziativa individuale.
Stando al quanto emerge da sondaggi e ricerche non tutti i ragazzi hanno apprezzato. Alcuni di loro lamentano l'assenza di una retribuzione, altri mansioni che poco c'entrano con il loro percorso di studi…
Se in un luogo di lavoro viene ospitato un ragazzo vuol dire assumersi un grosso impegno, ossia: assumersi la responsabilità di un percorso educativo. Gli adulti che lo fanno mettono in campo risorse e tempo. I casi in cui le cose vanno male sono uno su mille. Ma per questi basta agire in modo puntuale senza criminalizzare tutto il mondo del lavoro in un momento economico come questo. Per questo, a tutte le 150 realtà coinvolte dal mio liceo io mi son sentita di inviare una lettera di ringraziamento.
Già nel 2004 lei era fra le promotrici di un progetto come «Bologna rifà scuola» che puntava ad avvicinare istruzione e imprenditorialità. Cosa le resta di quella esperienza?
Un manifesto che diceva: “Educare è responsabilità di tutti”. Compresi i professionisti e gli imprenditori. La chiave per conquistarli è stata l’idea di condivisione: nel rapporto con le nuove generazioni si impara sempre qualcosa di nuovo. D’altronde, come si dice dalle mie parti, se uno mangia sempre minestra in bianco non sa quanto siano buoni i tortellini in brodo.
Se in un luogo di lavoro viene ospitato un ragazzo vuol dire assumersi un grosso impegno, ossia: assumersi la responsabilità di un percorso educativo. I casi in cui le cose vanno male sono uno su mille.
Che giudizio dà, quindi, sulla Buona Scuola?
Ci sono aspetti positivi e alcuni negativi. In primo luogo, si è rimesso al centro l’importanza della selezione del personale docente e non. Poi si è gettato un ponte durevole fra mondo della scuola e quelli dell’università e del lavoro. Infine, si è data la possibilità di una detrazione fiscale per chi investe sulla scuola. Insomma, le nostre scuole dovrebbero essere di gran lunga più belle delle case dove abitiamo.
I lati negativi?
L’applicazione della riforma a tutte le persone che rientravano nelle graduatorie senza tener conto delle effettive esigenze degli istituti.
La sua scuola è fra quelle che si sono proposte per sperimentare il liceo breve, in quattro anni…
Esattamente. E se verrà approvato dal consiglio d’istituto sarà uno strumento importante per i nostri studenti che escono troppo tardi dalla scuola e dall’università rispetto ai colleghi europei. L’importante sarà bilanciare le tempistiche ridotte e la qualità senza perdere quel senso critico che l’istruzione italiana è sempre riuscita a insegnare ai ragazzi ed è molto apprezzato all’estero e nei contesti lavorativi. Ora dobbiamo aggiungerci un maggiore grado di efficienza.