éric Sadin: stiamo in guardia dalla tecnologia antiumana e dalla data-driven society
Éric Sadin, scrittore e filosofo, è una delle più importanti voci controcorrente sui temi dell'innovazione e della rivoluzione digitale, di cui ha una visione poco romantica e poco entusiasta. Hanno fatto molto discutere le sue opere, “La Silicolonizzazione del mondo. L’irresistibile espansione del liberismo digitale” (edito da Giulio Einaudi Editore nel 2017) e "Critica della ragione artificiale" (edito da Luiss University Press nel 2019). È intervenuto al convegno “The Frame: Human Innovation” organizzato da Kpmg e Corriere della Sera a novembre 2019 a Milano. «Da qualche anno parliamo solo di intelligenza artificiale. Ci entusiasmiamo dei suoi meriti e ci preoccupiamo delle eventuali conseguenze. In generale ne parliamo più al futuro che al presente. Senza renderci conto che già oggi queste funzionalità, varcata una certa soglia, possono privarci individualmente e collettivamente del nostro potere di libero arbitrio dando vita ad un anti umanesimo che prende corpo nei sistemi tecnici», ha spiegato nel suo speach.
[legacy-picture caption=”èric Sadin, scrittore e filosofo” image=”3f2918dc-ba4e-4cf2-9d72-d0347f015cb5″ align=”right”]Per Sadin infatti «quello che caratterizza l’intelligenza artificiale, al di là dei discorsi confusi che le girano intorno e delle sempiterne litanie sulla fine del lavoro, sui vantati progressi della medicina o sull’ottimizzazione ormai quasi totale del funzionamento delle aziende, è l’estensione di una “sistematica”, o scienza della classificazione e delle relazioni, destinata a essere applicata a tutti gli ambiti della vita umana».
L'enunciazione della verità
Questa scienza determina quella che il filosofo francese definisce «enunciazione automatizzata della verità» che «è così destinata a produrre “l’evento”, a far scattare un’azione, principalmente a scopi commerciali o utilitaristici, procedendo a una sorta di stimolazione artificiale e ininterrotta del reale».
Cosa significa? «Pensiamo all'applicazione Waze, quella che valuta in tempo reale lo stato del traffico e suggerisce di adottare itinerari alternativi più o meno ottimizzati. Questi sistemi non sono solo in grado di periziare la realtà, ma anche di enunciare verità: in questo caso quale strada sia meglio percorrere». Aggiunge Sadin: «Qual è il problema? Che l'esattezza è fattuale. Le parole dei genitori per i figli sono verità con cui ci si deve conformare. Le macchine fanno lo stesso. Le macchine ci dicono come agire. Ecco dove sta la svolta imperativa della tecnica».
Gli esempi non sono finiti: «Immaginate di avere uno specchio connesso al web. Non rifletterebbe solo l’immagine , ma raccoglierebbe anche i dati relativi al vostro volto e al vostro corpo, per suggerirvi i prodotti o i servizi ritenuti più appropriati in funzione dell’analisi avanzata, e più o meno affidabile, del vostro stato fisiologico e psicologico».
[legacy-picture caption=”” image=”602eda84-8d1c-47aa-a311-cd208795322e” align=”left”]La svolta ingiuntiva della tecnologia
In conclusione «viviamo la svolta ingiuntiva della tecnologia. È un fenomeno unico nella storia dell’umanità che vede le tecniche richiederci di agire in un modo o nell’altro. Questo non avviene in modo uniforme, ma su diversi livelli. Può cominciare come incentivo, per esempio con un’applicazione di coaching sportivo che suggerisce un tipo di integratore alimentare. Oppure avviene a livello prescrittivo, come in caso di valutazione della richiesta di un prestito bancario o nella gig economy che si avvale di robot digitali per selezionare i candidati». E mentre succede tutto questo noi «parliamo spesso della favola della complementarietà uomo – macchina. Ma più il livello delle competenze automatizzate sarà perfezionato, più la valutazione umana sarà emarginata. Fino a raggiungere livelli coercitivi, emblematici nel mondo del lavoro, che vede i sistemi ordinare alle persone i gesti da eseguire. Il libero esercizio della nostra facoltà di giudizio è di fatto sostituito da protocolli progettati per guidare le nostre azioni».
La data-driven society
La presenza preponderante del digitale si pone dunque come «un’istanza di orientamento dei comportamenti, destinata a offrire, attimo per attimo, i modelli di esistenza individuale e collettiva considerati i migliori applicabili, e ciò avviene quasi impercettibilmente, con fluidità, tanto da dare la sensazione di un nuovo ordine naturale delle cose», sottolinea Sadin. «Ecco perché il tecnoliberismo ha fatto delle tecnologie dell’aletheia il suo principale cavallo di battaglia», continua il filosofo, «in esse ha visto la realizzazione delle sue ambizioni egemoniche, grazie all’insorgere di una “mano invisibile automatizzata”, in un mondo retto dal regime della retroazione, del feedback: una “data-driven society”, dove ogni manifestazione del reale si trova a essere assoggettata ad algoritmi tesi sia a evitare qualunque interruzione del processo, sia a perseguire costantemente un profitto.
La società antiumana
Il risultato? Presto detto: «stiamo andando verso una mercificazione integrale della vita», spiega Sadin, «la velocità degli sviluppi, presentati come ineludibili, ci priva della capacità di pronunciarci in coscienza. Mentre i corifei dell’automazione del mondo sono molto intraprendenti, a dispetto delle conseguenze per la civiltà, noi semplici cittadini-consumatori siamo sempre più apatici». Una sola la via d'uscita per il filosofo. «Prima di tutto bisogna contraddire i tecno-discorsi e riportare testimonianze provenienti dalle realtà dove questi sistemi operano, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali. Dovremmo manifestare il nostro rifiuto rispetto a determinati dispositivi quando si ritiene che minino la nostra integrità e dignità. Contro l’assalto antiumanista, bisogna imporre un’equazione semplice ma intangibile: più si tenta di privarci del nostro potere di agire, più è necessario agire».