Il food ha fame di nuove professioni
Due ettari di campi e stalle con più di 200 animali e 2000 cultivar, 40 fabbriche contadine e 40 ristoranti. Sono questi in estrema sintesi i numeri di Fico Eataly World, il più grande parco agroalimentare del mondo, che sorge a Bologna. Fondato da Oscar Farinetti, è una sorta di definizione vivente della filiera del cibo in Italia: «Fabbrica italiana contadina, Eataly World è in primo luogo un parco scientifico», spiega il capo comunicazione Simona Milvo, «e la Fondazione che è stata costituita è una grande fattoria didattica, con i suoi otto ettari di superficie che equivalgono circa alla dimensione media delle aziende agricole italiane. Il nuovo parco è un concentrato anche di scienza che sarà mixata con una parte ludica. Parte integrante di un’educazione alimentare che dovrebbe entrare nelle scuole. Qui a Fico ci sono 120 aziende che fanno didattica per insegnare la tradizione e l’innovazione dell’agroalimentare italiano».
Oltre agli spazi espositivi-dimostrativi delle imprese, si aggiungono sei aule didattiche, sei “giostre” educative con supporti interattivi, un teatro, un cinema, un centro congressi modulabile da 200 fino a 1.000 posti.
Ma cos’è veramente Fico? «Un parco che vuole anche essere un modello per il mondo del lavoro», chiarisce Milvo, «perché occupa circa 700 addetti, in buona parte giovani, che diventano quasi 3mila con l’indotto. È una piattaforma imprenditoriale che unisce Nord e Sud Italia, piccole e grandi imprese per promuovere il made in Italy».
Ed è qui la vera novità che Fico e il suo successo sottolineano: non si tratta semplicemente di creare nuova occupazione e di cavalcare l’onda di un’industria, quella del food, in grande espansione. Ma di intercettare un grande cambiamento che, grazie all’innovazione, sta delineando e vedendo nascere nuove professionalità. Una vera innovazione che riguarda l’intera filiera, cioè quel viaggio che gli alimenti affrontano dal momento in cui partono dai campi o dagli allevamenti per arrivare in tavola. Un viaggio che sta cambiando radicalmente e che richiede nuove competenze.
Dai sensori nei campi a quelli sui trattori, dai droni in campo alla logistica controllata, dallo smart packaging alle etichette intelligenti: sono oltre 300 le applicazioni di Smart AgriFood già diffuse in Italia tra produzione, trasformazione, distribuzione e consumo.
Fico vuole anche essere un modello per il mondo del lavoro perché occupa circa 700 addetti, in buona parte giovani, che diventano quasi 3mila con l’indotto.
A raccontarle e censirle è nato addirittura un pool di esperti dedicati della School of Management del Politecnico di Milano riuniti nell'Osservatorio Smart AgriFood. Il lavoro è stato studiare tutte queste nuove soluzioni che migliorano la competitività del settore agroalimentare italiano, garantendo più qualità ai prodotti e ottimizzazione delle filiere. E che, grazie al digitale, possono contribuire a far partecipare il nostro Paese alla sfida della crescita alimentare globale.
L'Agricoltura 4.0 – l’utilizzo di diverse tecnologie per migliorare resa e sostenibilità delle coltivazioni, qualità produttiva e di trasformazione, nonché condizioni di lavoro – ha un mercato in Italia di circa 100 milioni di euro, il 2,5% di quello globale: nonostante i benefici in termini di riduzione dei costi, di qualità e resa del raccolto, la diffusione di queste soluzioni è ancora limitata e oggi meno dell’1% della superficie coltivata complessiva è gestito con questi sistemi. Molte PMI italiane si stanno attivando nella trasformazione digitale dell'agroalimentare, ma una forte spinta innovativa proviene dalle nuove imprese, con 481 start up internazionali Smart AgriFood nate dal 2011 ad oggi, di cui 60, ben il 12%, italiane.
Per Chiara Corbo, ricercatrice dell'Osservatorio, «le nuove aziende, quelle che si avvicinano a questo mondo, sono in grado di portare innovazione e modelli gestionali particolari per cui riescono a sviluppare proposte molto interessanti, il panorama degli attori storici vive un gap tecnologico da colmare. Ma di certo c'è che il digitale sta cambiando l'intero settore. Da una parte crea nuovi lavori in tutte le fasi, dal campo alla tavola. Dall'altra aiuta a integrare le competenze dell'imprenditore agricolo».
Agricoltura, allevamento e movimentazione dei prodotti si faranno processando, analizzando e comprendendo i dati. Il vero lavoro del futuro sarà il data analyst. Che avrà poi declinazioni specifiche per ogni ambito.
Se sul campo attraverso sensori e droni è possibile migliorare qualità, produttività e trasparenza delle colture, anche per quello che riguarda spostamenti e trattamenti delle materie prime l'innovazione la fa da padrona. «Basti pensare alla mole di informazioni che abbiamo su certi prodotti grazie a e-commerce e food delivery», sottolinea Corbo. Nell'allevamento si comincia ad avere veterinari in telemedicina che monitorano gli animali da remoto e intervengono attraverso un portale indicando terapie e medicinali. Il tutto essendo online è tracciato e trasparente.
Cosa hanno in comune tutte queste novità? «I dati», sottolinea Corbo, «già oggi, e sempre più domani, agricoltura, allevamento e movimentazione dei prodotti si faranno processando, analizzando e comprendendo i dati. Il vero lavoro del futuro sarà il data analyst. Che avrà poi declinazioni specifiche per ogni ambito».
Una scelta, quella tecnologica, che non si spiega solo con una volontà di innovare da parte degli attori della filiera del food. No, il punto è che a fronte di questi cambiamenti c'è il business. Oggi il consumatore, la persona comune che fa la spesa o va al ristorante, è più informata e consapevole. «Il mercato del food si orienta in questa direzione perché chi spende sa cosa vuole comprare e sa come reperire le informazioni. Anche qui una questioni di dati. Le scelte dei consumatori spingono la filiera a darsi regole e una trasparenza che va oltre gli obblighi di legge».