L’impresa responsabile del premier Conte
Da una parte: «Chi assume su di sé tutti i complessi rischi connessi allo svolgimento di un’attività economica e decide di fare impresa non agisce perché animato da spirito di benevolenza verso il prossimo o perché mosso da slanci solidaristici verso la comunità in cui vive». Ma dall’altra: «È altrettanto vero che chi sperimenta un’attività di impresa è presto costretto a misurarsi con una realtà (…) ben complessa e articolata, dove la medesima prospettiva del tornaconto economico, che certo non può finire negletta, si sovrappone e commistiona con molte altre prospettive e istanze, alcune delle quali non attengono al piano meramente economico».
È lunga questa apparente contraddizione che si muove nel saggio “L’impresa responsabile” firmato dall’attuale presidente Giuseppe Conte per Giuffré editore (gennaio 2018, 350 pagine). Sempre nella prefazione Conte indica il perimetro all’interno del quale si muove il suo lavoro: «I saggi segnalano, pur attraverso lo studio prevalente delle regole giuridiche, un nuovo orizzonte di operatività nel mondo delle imprese e raccontano il significato della nuova progettazione comunitaria di valori che è in atto – da qualche lustro a questa parte – nel mondo delle attività economiche». Il professore pugliese richiama esplicitamente Emmanuel Lèvinas parlando dei tanti “doppi movimenti” della responsabilità dell’imprenditore: «Responsabilità verso l’attività economica, certo; ma anche responsabilità giuridica, sociale, morale nei confronti «dei propri dipendenti, consulenti, fornitori, consumatori, utenti, della comunità in cui l’azienda opera».
È necessario un dialogo, molto più intenso rispetto al passato, tra diritto, etica ed economia.
Ma cos’è in concreto il “doppio movimento” della responsabilità? Risponde l’autore: «La forte convinzione di chi scrive (…) è che per comprendere questo complesso fenomeno sia necessario un dialogo, molto più intenso rispetto al passato, tra diritto, etica ed economia». In sostanza, tornando a Levinas, «la responsabilità rivela sempre un doppio movimento: colui del quale devo rispondere è anche colui al quale devo rispondere; devo rendere conto a colui del quale rendo conto. Responsabilità di fronte a colui di cui sono responsabile: responsabile di un volto che mi ri-guarda, di una libertà».
Secondo gli studi di Conte «l’etica sta conquistando spazi sempre più ampi nell’ambito delle relazioni economiche e delle medesime regolamentazioni giuridiche. Il dato è innegabile e attestato a vari livelli». Lo dimostra la dotazione sempre più imponente di bilanci sociali e di sostenibilità, codici e comitati etici che “entrano” nella governance imprenditoriale. Una dotazione che risponde anche a una richiesta di etica che arriva dai consumatori che il premier definisce “politicizzati”. «Un’impresa che mira a conquistare successi nel medio e lungo periodo e quote stabili di mercato non può trascurare il rispetto delle best practices e l’adozione di comportamenti giudicati virtuosi dalla collettività in cui opera». Da qui la definizione contiana della corporate social responsability: «Un’impresa socialmente responsabile è un’impresa che svolge attività economiche e persegue finalità lucrative tenendo sempre consapevolmente presente l’impatto che queste sue iniziative producono sul piano sociale e ambientale e, di conseguenza, si adopera per prevenire i pericoli e i danni che dalle proprie iniziative potrebbero derivare alla collettività e alle generazioni future».
Nel corso degli ultimi lustri, si sono valorizzare sempre più le istanze sociali e gli interessi dei vari stakeholders nello svolgimento dell’attività di impresa.
Tracciato il perimetro, Conte si sofferma su due tipologie innovative di imprese socialmente responsabili: le nuove imprese sociali e le benefit corporation. Alle prime dedica il capitolo V, alle seconde il capitolo successivo.
La disciplina dell’impresa sociale è stata rivista dal decreto legislativo del 3 luglio 2017, n. 112, mentre le società benefit sono state introdotte dalla legge del 28 dicembre 2015, n.208. Si tratta di due formule, la prima che parte dal mondo non profit, la seconda da quello profit più tradizionale; entrambe però ibridano il paradigma classico che prevede la distinzione netta fra imprese orientate al profitto e organizzazioni del Terzo settore digiune di attività commerciali. Ragiona Conte: «La disciplina dettata in tema di impresa sociale (…) appare chiaramente orientata a confermare tutti i tratti tipologici propri della fattispecie “impresa”, anche se contribuisce a delineare un regime speciale caratterizzato in funzione dei valori sociali di cui tale imprese si fa portatrice». A specchio il modello della società benefit «si inserisce a pieno titolo nell’ambito del lento e graduale processo che, nel corso degli ultimi lustri, ha portato a valorizzare sempre più le istanze sociali e gli interessi dei vari stakeholders nello svolgimento dell’attività di impresa».