Green economy: 2,2 milioni di posti di lavoro ad alta qualità
La creazione di nuovi posti di lavoro è uno dei jolly della green economy a livello mondiale. L’Unep (United Nation Environment Programme), il programma delle Nazioni Unite sull’Ambiente definisce infatti la green economy un “generatore netto di posti di lavoro decorosi, salari adeguati, condizioni di lavoro sicure, sicurezza del posto di lavoro, ragionevoli prospettive di carriera e diritti per i lavoratori”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Unfcc (Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – in inglese United Nations Framework Convention on Climate Change) e l’Ilo per i quali le azioni per mitigare i cambiamenti climatici creano occupazione di alta qualità. Ma quanti potrebbero essere, per esempio in Italia i nuovi occupati grazie ai green job? Una risposta è arrivata dalla relazione che ha aperto gli Stati generali della Green Economy in occasione della ventiduesima edizione di Ecomondo, la fiera dedicata all’economia circolare e alle energie rinnovabili.
[legacy-picture caption=”Fonte IRENA” image=”5026a838-1aea-4bb0-961e-11fc62c97dc5″ align=””]La relazione, elaborata dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ha presentato uno studio sugli effetti economici e occupazionali, nei prossimi cinque anni, di un pacchetto di misure di green economy che per ogni euro di investimento pubblico ne attiverebbero altri tre privati, con un rilevante incremento di unità di lavoro cumulate, pari a ben 2,2 milioni che, con l’indotto, arriverebbero a 3,3 milioni di posti.
Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile spiega che servirebbero «tra i 7 e gli 8 miliardi di investimenti pubblici annui per i prossimi cinque anni, che attiverebbero 21,4 miliardi di investimenti privati annui, generando un valore di produzione di 74 miliardi e in media 440mila nuovi posti di lavoro green ogni anno che, tenendo conto dell’indotto, arriverebbero a oltre 660mila». Con un’avvertenza: «Accanto allo stanziamento delle risorse servirebbero anche delle misure normative».
I vantaggi economici degli investimenti green sono molteplici e il primo riguarda i costi evitati dell’inquinamento e di altri impatti ambientali.
Agli Stati generali della Green economy sono state presentate i dieci interventi che aiuterebbero sia la ripresa sia la nuova occupazione: il raddoppio delle fonti rinnovabili; azioni di riqualificazione profonda degli edifici privati e pubblici, il conseguimento dei nuovi target europei di riciclo dei rifiuti; la realizzazione di un grande Programma di rigenerazione urbana; il raddoppio degli investimenti nell’eco-innovazione, misure per la mobilità urbana sostenibile e per l’agricoltura ecologica e di qualità; la riqualificazione del sistema idrico nazionale; il rafforzamento della prevenzione del rischio idrogeologico fino al completamento delle bonifiche dei siti contaminati.
[legacy-picture caption=”” image=”68d01f9a-254d-40b4-90f6-6c88ffb2e4ff” align=””]I settori a più alto coefficiente occupazionale, considerando i 5 anni, sono le fonti rinnovabili con il 32% del totale degli occupati (circa 702.000 posti di lavoro diretti e indiretti), seguiti dall’agricoltura biologica e di qualità con il 18% del totale degli occupati (circa 393.000 posti di lavoro, in questo caso solo diretti), dalla rigenerazione urbana con il 12% (circa 255.000 posti di lavoro), dall’efficientamento degli edifici con il 9% (oltre 197.000 occupati); dalla riqualificazione del sistema idrico con l’8% (circa 178.000 posti di lavoro), dalla bonifica dei siti contaminati con il 5% (circa 117.000 posti di lavoro). Completano il quadro, il settore rifiuti incentrato sul passaggio dall’economia lineare a quella circolare con il 5% degli occupati, la mobilità sostenibile e l’eco-innovazione entrambe con il 2% di posti di lavoro e infine la prevenzione del rischio idrogeologico con lo 0,7% degli occupati.
«I vantaggi economici degli investimenti green sono molteplici e il primo riguarda i costi evitati dell’inquinamento e di altri impatti ambientali» sottolinea ancora Ronchi. Per il presidente della Fondazione per esempio, per quanto riguarda il raddoppio delle rinnovabili «una volta stabiliti gli obiettivi occorrerà agire o con incentivi, o sulle tariffe dell’energia. Si potrebbe inoltre dar vita a un fondo per la transizione energetica. Il problema resta quello di darsi un obiettivo e poi agire sulle norme di dettaglio». Sul fronte del settore rifiuti per Ronchi un appuntamento importante riguarda il recepimento di quattro nuove direttive europee indirizzate verso una circular economy più spinta. Un settore in cui l’Italia comunque è prima tra i cinque principali Paesi europei con il 18,5% in tasso di circolarità e per quanto riguarda la produttività delle risorse (misurata in euro di Pil per kg di risorse consumate) è al secondo posto.
Riciclo dei rifiuti urbani (%) in Europa, 2016
[legacy-picture caption=”” image=”41dabdf1-6225-45ce-9e3b-4c7156e8b81f” align=””] [legacy-picture caption=”” image=”7bb747f5-0a9b-44d8-9a88-c4c9912e7af2″ align=”right”]«Sono tanti i campi in cui possiamo migliorare per ridurre il consumo di materiali: bisogna prolungare l’uso dei prodotti, renderli più facilmente riparabili», commenta Ronchi che ricorda che per le diverse misure presentate occorre pensare a nuove professionalità «servono le competenze giuste e se pensiamo che un terzo dei nostri giovani sono disoccupati, occorrerà investire anche nella formazione. Per qualche professionalità innovativa servirà più tempo, ma la strada è questa».
Nel campo della green economy tutto è collegato «per questo dobbiamo recuperare tutti i ritardi e capire che le politiche green richiedono anche delle imprese che lavorino nell’innovazione» chiosa Ronchi pensando per esempio al fatto che sebbene l’Italia sia il Paese con il più elevato numero di auto, 613 ogni mille abitanti, siamo sempre più importatori di veicoli. A fronte di 10 nuove vetture immatricolate se ne producono circa 4, in Francia 8, in Germania 17 e in Spagna 20. Non solo, anche sul fronte delle auto circolanti per quanto riguarda i nuovi veicoli ecologici non va molto bene: nella top ten delle vendite del 2017 né nella categoria dei veicoli ibridi, né di quelli ibridi plug-in né in quelli elettrici figura un’auto prodotta in Italia.
Scenario di crescita delle immatricolazioni di veicoli elettrici (Bev) in Italia 2018-2023
[legacy-picture caption=”” image=”988a3af8-da74-42b5-890c-2a17f30b82a3″ align=””]«Ora il problema è svegliarsi perché se il gap sui veicoli tradizionali non è più colmabile, bisogna evitare che questo si riproduca anche per i nuovi mezzi ecologici: negli stabilimenti italiani vengono prodotti solo veicoli a gas (la flotta a gas – Gpl/metano-, con 3,16 milioni di veicoli rappresenta il 53% della flotta a gas europea), mentre la quota delle auto elettriche si limita a piccole produzioni di nicchia. Dobbiamo iniziare a produrre, favorire la transizione verso le nuove produzioni» spiega Ronchi che ricorda come in occasione degli Stati generali della Green economy siano state fatte delle proposte a governo e parlamento: sette priorità programmatiche definite dal Consiglio nazionale della Green economy (composto da 66 organizzazioni di imprese).
- Rilancio delle rinnovabili e rinnovo del sistema energetico
- Economia circolare
- Promozione della qualità ecologica delle imprese italiane
- Sviluppo dell’agricoltura sostenibile
- Cambiamento di direzione della mobilità urbana
- Attivazione di un Programma nazionale di rigenerazione urbana
- Tutela e valorizzazione del capitale naturale
«I commenti sono stati positivi. Ora occorre che queste misure entrino nelle priorità dell’agenda politica» conclude.