Arresi alla greenflation? Le comunità energetiche provano a rispondere
C’è chi lo considera un effetto collaterale, necessario se davvero si vorranno raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2030. Eppure quello che sta accadendo ai prezzi che dopo lunghi anni nei quali sono rimasti fermi, persino in calo, hanno ricominciato a salire, non può essere legato soltanto alla transizione ecologica ed energetica. In Europa l’inflazione media a dicembre 2021 ha toccato il record del 5%. Per avere un’idea, nei suoi obiettivi di politica monetaria, la Banca Centrale Europea (BCE) solo pochi anni fa, faceva fatica a raggiungere l’obiettivo del 2 per cento. Un aumento dei prezzi spinto in gran parte dall’energia, che da sola è cresciuta del 26%. Un quadro che la guerra in Ucraina ha ovviamente aggravato. La ricerca del colpevole per l’inflazione, prima del conflitto, aveva messo sotto accusa la transizione tanto che, per indicare questo fenomeno, era stato coniato anche un termine: greenflation.
Greenflation e pandemia
Per “greenflation” si intende: inflazione generata dalla transizione ecologica. Prima di andare avanti occorre fare un passo indietro, al periodo che precede la pandemia. Nei Paesi avanzati, tra cui l’Italia che è l’ottava economia planetaria, tra la fine degli anni ’80 e gli anni Duemila si è verificato un aumento del risparmio accompagnato da una riduzione degli investimenti pubblici. Poi, in misura quasi paritaria, di quelli privati. Questo ha portato a una stagnazione. Con la crisi finanziaria globale del 2008, la situazione si è trasformata in una quasi-deflazione che da più di un decennio tiene i tassi d’interesse a zero o negativi. Per anni le banche centrali hanno provato invano a far risalire l’inflazione verso l’obiettivo del 2%.
Se il balzo dei prezzi attuale è spinto in buona parte dall’energia, come rendere più equi i costi della transizione? Per la BCE la strada è contro-intuitiva rispetto a come si genera la greenflation: occorre infatti accelerare l’investimento nelle rinnovabili e in altre tecnologie verdi. Sta succedendo quello che alcuni esperti chiamano “effetto Tesla”. L’auto elettrica di Elon Musk costa molto di più dei modelli tradizionali alimentati a gasolio, dunque il ragionamento è questo: se si vuole essere ecologici bisogna aspettarsi che i prezzi salgano. Su questo meccanismo si è innestata la pandemia, che ha scosso l’economia sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta, scardinando questo quadro di tendenza alla greenflation. Secondo BCE si supera questa situazione in modo semplice: investendo in modo massiccio e guidando la domanda, non solo gestendo l’offerta di energia green.
La transizione avviene per la crisi climatica in corso
Su questo contesto – a sua volta – si è innestata un’accelerazione delle conseguenze del cambiamento climatico in corso, e per cui è necessaria la transizione ecologica. Sono diversi i canali attraverso i quali il cambiamento climatico sta influenzando i prezzi dell’energia. Ogni anno aumenta la frequenza – e la potenza distruttiva – di eventi climatici estremi come le siccità, le inondazioni, gli incendi e le variazioni estreme della temperatura che stanno avendo un impatto significativo sui prezzi dei generi alimentari e dell’energia. Si pensi al contributo che, nel 2021, un inverno particolarmente rigido e un’estate particolarmente calda hanno dato all’aumento di domanda di energia.
Il clima sempre più estremo, oltre a influenzare i costi di produzione, porta a interruzioni nelle catene del valore, premi assicurativi più alti e via di seguito. L’aumento delle temperature e delle malattie legate all’inquinamento, inoltre, deteriora il capitale umano e porta a una riduzione di produttività ed efficienza. Alcuni ricercatori della BCE hanno recentemente evidenziato come l’inerzia nel combattere il cambiamento climatico potrebbe portare a un’inflazione strutturalmente più alta: fino a mezzo punto percentuale annuo. Insomma, che la greenflaction diventi endemica.
Prezzi alti…ma quanto più alti?
C’è altro: i costi della mitigazione del cambiamento climatico sono e saranno comunque elevati, ed è naturale che si riflettano almeno in parte nei prezzi. Secondo lo studio della BCE, durante la transizione è probabile che la domanda di alcune fonti di energia come il gas naturale aumenti in modo considerevole, soprattutto se, come è auspicabile, i Paesi emergenti accelereranno la transizione dal carbone. Ma anche in Paesi come la Germania viene proposta dal Governo una transizione intermedia dal carbone al gas prima di arrivare alle rinnovabili. Infine, la produzione di energie rinnovabili è ancora volatile – dipende da sole e vento, per solare ed eolico, ad esempio – e anche se nelle tecnologie di stoccaggio i progressi sono fenomenali, per qualche anno ancora potremmo vedere una significativa variabilità del costo dell’energia.
È importante notare che questi effetti saranno temporanei e che, vista la dinamica dei costi di produzione, la transizione verso un mix energetico con più rinnovabili e meno fossile porterà a prezzi dell’energia più bassi di quelli attuali.
Come gestire la greenflation? Redistribuendo i costi della transizione
In definitiva, l’inflazione climatica ha un solo modo di essere gestita: politicamente. Attraverso il bilancio e le politiche industriali. Per non perdere il controllo sulla greenflation i governi dovrebbero accelerare al massimo il processo di transizione ecologica. Poi, secondo lo studio della BCE per ovviare a squilibri settoriali e problemi temporanei di disallineamento tra domanda e offerta, si dovrebbe ricorrere a politiche che spaziano dall’investimento pubblico come incentivi, sussidi e tasse che supportino la domanda di energia, che più eterodosse come i controlli di prezzo (fin tanto che questi restano mirati e temporanei), che consentano di evitare rendite ed extraprofitti delle aziende del settore che rischierebbero di far naufragare la transizione.
Per i governi europei la riduzione dell’impatto sul pianeta non è in discussione: il problema è il percorso per arrivarci. Si veda quello che sta accadendo in Italia sulle bollette, i rincari potranno pesare per oltre mille euro, dunque il Governo ha messo in campo una strategia di contenimento, stanziando risorse proprio per evitare che lo choc pesi su famiglie e imprese.
Nuove condizioni: accelerare sulle rinnovabili e le comunità energetiche
Oggi quindi stiamo sempre più in un sistema in cui non c’è un’offerta di energia che segue la domanda, ma in cui domanda e offerta si inseguono reciprocamente anche durante la stessa giornata. Per questo è ancora più importante che in passato che i cittadini diventino essenziali, anzi di più, che siano il perno centrale: perché diventano attori partecipi della transizione riducendo il potere dei grandi potentati energetici, ovvero alcuni Stati come la Russia o gli Emirati arabi, o aziende.
Questo sistema può funzionare anche grazie alle comunità energetiche, che sono un’estensione del concetto di autoconsumo di energia rinnovabile. In Italia ad oggi ci sono circa un milione di impianti fotovoltaici, per la maggior parte realizzati su edifici privati al servizio delle utenze domestiche o delle aziende. Questa energia viene usata per fare la lavatrice, per caricare l’auto elettrica o il cellulare. Investire sulle comunità energetiche mitigherebbe la greenflation e accelererebbe la transizione energetica.
Non solo l’Europa, anche i territori sono “in missione energetica”…
Questa transizione energetica – e la collegata mitigazione della greenflation – ha bisogno di una visione politica, non può bastare un’azione dal basso. Le comunità energetiche infatti non sono la panacea di tutti i mali, ma rientrano in un percorso di ridefinizione del nostro sistema energetico nel suo complesso. Sistema energetico che non è solo l’energia elettrica, ma – ad esempio – il modo con cui riscaldiamo gli edifici, così come alimentiamo i mezzi di trasporto.
A fine 2021 è stato pubblicato il decreto di recepimento della direttiva europea “Renewable Energy Directive” sulle comunità energetiche. E si stanno aspettando ancora alcuni suoi decreti attuativi. In Italia la misura prevista dal PNRR riguarda il finanziamento a tasso agevolato – non a fondo perduto – nei comuni sotto i 5 mila abitanti per realizzare una comunità energetica. Con il Decreto Milleproroghe si concretizzano in Italia alcune delle indicazioni della direttiva europea che consente di creare comunità che producano e scambino energia al fine dell’autoconsumo collettivo, sia istantaneo che differito.
…a partire dalle Regioni
A livello locale a metà febbraio il Consiglio Regionale lombardo ha approvato la legge sulle comunità energetiche rinnovabili, riconoscendone le finalità mutualistiche e il ruolo della cooperazione energetica. Secondo uno studio del Politecnico di Milano, con questa leggein Lombardia potranno nascere nei prossimi anni dalle 3mila alle 6mila comunità energetiche e queste consentiranno di contribuire fino al 30% all’incremento previsto della produzione di energia da fonti rinnovabili.
Il Piemonte già dal 2018 ha una legge per incentivare le comunità energetiche, e non aspettava altro che una legge nazionale per meglio regolamentarle. Anche la regione Sardegna ha cominciato attivamente a promuovere tramite diversi bandi la realizzazione di aggregazioni e comunità energetiche, anche attraverso l’incentivo alla ricerca e sviluppo sperimentale di nuovi servizi nel settore energetico, tra cui le comunità energetiche, appunto.