Il Capacity Building per costruire competenze e creare opportunità: l’esperienza di Fondazione Adecco con Differenza Donna
Dal 2017 Fondazione Adecco è implementing partner dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, con la quale realizza iniziative volte a migliorare l’occupabilità di persone rifugiate e richiedenti asilo. La collaborazione, rinnovata nel 2025, si evolve nel progetto WEC – Welcome Empowering Connections: bridges to refugee’s job inclusion, che include percorsi di Capacity Building sviluppati da Fondazione Adecco per gli operatori e le operatrici del Terzo Settore.
Capacity Building: generare valore per le persone e per la società
I percorsi di Capacity Building sono insiemi di attività finalizzati a rafforzare competenze, risorse e strumenti di persone e organizzazioni, con l’obiettivo di renderle più efficaci, sostenibili e capaci di generare impatto sociale nel tempo.
Questi percorsi, costruiti con un approccio partecipato (community-based approach) a partire dall’analisi dei bisogni e delle competenze esistenti, mirano a rafforzare le capacità dei professionisti e delle professioniste del Terzo Settore necessarie a guidare le persone vulnerabili nel percorso di inserimento lavorativo.
In questo modo, il Capacity Building si configura come un vero e proprio investimento strategico nel capitale umano, in grado di generare valore non solo per le singole persone coinvolte, ma per l’intero ecosistema sociale ed economico, contribuendo alla costruzione di comunità più inclusive, resilienti e sostenibili.
Un investimento che non si esaurisce nel breve periodo, ma che crea un impatto positivo e duraturo.
Dare voce, la storia e il contributo di Differenza Donna
All’interno del progetto WEC, Fondazione Adecco ha realizzato un percorso dedicato alle operatrici dei 25 Centri antiviolenza gestiti da Differenza Donna – una rete che include Centri antiviolenza, Case rifugio, Case di semiautonomia e Sportelli Codici Rosa per sostenere donne sopravvissute alla violenza di genere o di tratta, per le quali il lavoro e il riconoscimento di una professionalità diventano un mezzo concreto di autonomia economica e di ridefinizione identitaria.
Nel corso del tempo, Differenza Donna si è consolidata come punto di riferimento nazionale e internazionale nella tutela dei diritti delle donne, istituendo centri antiviolenza e sviluppando progetti e percorsi di empowerment che hanno restituito voce, dignità e futuro a migliaia di persone. Negli anni, il centro — definito da Elisa Ercoli, Presidente di Differenza Donna, come un “osservatorio meraviglioso”, capace di far emergere quegli ostacoli che bloccano la fuoriuscita dalla violenza e dalla discriminazione rendendole sistemiche — ha aperto le sue porte a un’intera umanità. Donne fragili e prive di mezzi, donne dell’alta borghesia, migranti dall’Est Europa, dall’Africa e dal Sud America, non solo analfabete, ma anche professioniste qualificate. Da ciascuna di loro il centro ha imparato a riconoscere le molteplici forme di oppressione, il peso dello stigma e l’importanza di “incontrare e valorizzare la diversità dei background culturali, teorici ed esperienziali”, trasformando ogni esperienza in conoscenza, consapevolezza e forza condivisa.
La testimonianza di Elisa Ercoli e Migena Lahi
Per approfondire quali siano i bisogni più comuni e gli strumenti più efficaci per le donne in condizioni di vulnerabilità che desiderano entrare o rientrare nel mondo del lavoro, e per capire in che modo la collaborazione con Fondazione Adecco abbia contribuito a rafforzare questo cammino, abbiamo chiesto a Elisa Ercoli e Migena Lahi, Responsabile del Centro Antiviolenza e Antitratta e partecipante al percorso di Capacity Building, di raccontarci il loro preziosissimo lavoro quotidiano contro la violenza di genere e a favore dell’emancipazione femminile.
“Le donne che arrivano ai nostri centri hanno situazioni complesse, che devono essere tutte considerate quando si affronta il tema del lavoro”, spiega Elisa Ercoli. “Ognuna ha alle spalle il proprio background, ma ad accomunarle c’è la violenza subita e anche il grande desiderio di autonomia ed emancipazione. Per questo il percorso di avvicinamento al lavoro deve essere flessibile e convivere con esigenze differenti, che variano da persona a persona. Ma superati questi primi ostacoli le donne dimostrano enormi potenzialità e desiderio di mettersi in gioco ed essere parte attiva della collettività.”
Il desiderio di autonomia, il bisogno di autodeterminarsi, di definirsi come individuo, passa necessariamente anche attraverso l’indipendenza economica. La possibilità di avere un reddito proprio, di gestire risorse e prendere decisioni autonome sul proprio futuro è fondamentale per permettere a una donna di sottrarsi a dinamiche di violenza e dipendenza.
La violenza economica non riguarda solo il controllo diretto del denaro da parte di partner o familiari, ma ha a che fare con l’impossibilità di accedere a un lavoro dignitoso, di costruire competenze spendibili o di avere pari opportunità nel mercato del lavoro. Per questo i percorsi di inclusione lavorativa e di Capacity Building rivolti al Terzo Settore sono fondamentali: perché danno strumenti concreti a chi accompagna queste donne, creando ponti verso l’autonomia e rompendo i meccanismi di dipendenza e abuso che alimentano la violenza.
Le donne che hanno subito gravi violazioni dei diritti umani hanno bisogno di interventi di eccellenza, di strumenti e metodologie efficaci. Per questo, per rafforzare le competenze delle operatrici nell’orientare le beneficiarie verso il percorso professionale più adatto, il programma prevede strumenti pratici come simulazioni di colloqui, lavori di gruppo, giochi di ruolo, mentoring e laboratori esperienziali.
A questo proposito Migena Lahi sottolinea come, tra gli strumenti più importanti sviluppati con Fondazione Adecco, vada annoverato il bilancio delle competenze, adattato al contesto specifico delle donne rifugiate e richiedenti asilo.
“Un aspetto molto importante, secondo me, è stata la valorizzazione delle competenze soft, quelle che di solito non vengono riconosciute e che, per le donne richiedenti asilo e rifugiate, rischiano di perdersi nei percorsi standard, quelli più ordinari. Spesso, infatti, questi percorsi non sono pensati per le specificità delle donne rifugiate, che hanno vissuto violenze di genere o tratta. Per questo, prima di arrivare a un lavoro mirato sull’inserimento lavorativo, è fondamentale rafforzarle, aiutarle a elaborare i traumi, sistemare la documentazione e costruire basi solide.”
Il dialogo costante e la visione condivisa tra Fondazione Adecco e Differenza Donna sono stati e continuano a essere essenziali per sviluppare soluzioni innovative e durature, capaci di creare veri welfare generativi di prossimità. Particolare attenzione viene riservata anche all’intersezionalità, cioè alla consapevolezza che privilegi e discriminazioni – e di conseguenza anche le opportunità di accesso al lavoro – non dipendono da un unico fattore, ma dall’intreccio di molteplici dimensioni della vita di una persona — una realtà spesso sottovalutata da molte aziende. Etnia, status socioeconomico, genere, condizione di salute, età, orientamento sessuale possono sovrapporsi e amplificare le barriere che ostacolano l’inclusione lavorativa. Riconoscere questa complessità significa non limitarsi a offrire soluzioni standardizzate, ma sviluppare percorsi personalizzati, capaci di tenere conto delle specifiche vulnerabilità e potenzialità di ciascuna donna.
Ad attendere donne e operatrici c’è ora l’ultimo step: il rapporto con le aziende e l’inserimento. Per Migena Lahi, proprio il rapporto con le aziende e i processi di selezione restano gli aspetti più complessi del percorso. “Anche su questo abbiamo lavorato molto, grazie alla formazione con Fondazione Adecco: abbiamo avuto testimonianze di aziende in aula e noi stesse ci siamo esercitate in colloqui. Gli inserimenti protetti e mirati sono l’obiettivo a cui aspiriamo, ma ci vuole tempo.”
Una complessità, dunque, che non riguarda solo l’ingresso nel mondo del lavoro, ma anche la capacità di restarvi e consolidarsi, perché come ricorda Michaela Imperatori, DE&I Project Manager di Fondazione Adecco, “l’occupabilità è composta da due fattori: la capacità di entrare e quella di stare in azienda, che sono ugualmente importanti per la buona riuscita di un inserimento”.