Il futuro dei social e la “lezione di Elon”
I segni di un destino incerto per i social, nella forma con cui li abbiamo conosciuti e abitati finora, sono sempre più numerosi, tra ragioni contingenti e tendenze strutturali: «Questa evoluzione è paradigmatica nella parabola di Twitter, che ha visto diminuire drasticamente il numero complessivo degli iscritti, la percentuale di utenti attivi e il numero di imprese disposte a investire da quando Elon Musk, il 28 ottobre 2022, lo ha acquistato e si è affrettato a modificare le regole del gioco. L’ondata di licenziamenti avviata dal nuovo proprietario ha colpito in misura massiccia tutta la struttura interna che si occupava della moderazione di contenuti, dando il via libera alla propagazione di messaggi “ad alto tasso di disinformazione” e discriminazione», spiega Maria Francesca Murru, docente di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi all’Università di Bergamo. Anche Meta – il colosso che dal 2021 dirige Facebook e Instagram – negli ultimi mesi ha fatto migliaia di licenziamenti e ha ridotto le assunzioni. A gennaio 2023 l’azienda è stata inoltre multata per 390 milioni di euro per aver violato il regolamento sulla privacy dell’Unione Europea.
«Al di là dei singoli eventi e delle differenze tra un social l’altro, è probabile che non si tratti di un declino irreversibile, ma di una transizione che condurrà verso un’ importante ridefinizione tanto degli interessi economici, quanto dei significati culturali e dei valori politici che si addensano attorno alle piattaforme. Una mutazione altrettanto profonda non potrà non verificarsi anche sul piano tecnologico, vista l’incalzante evoluzione dei sistemi di intelligenza artificiale e la sperimentazione attualmente in corso sulle loro ricadute applicative», aggiunge Murru.
In questo contesto sono particolarmente emblematiche le vicende che sta attraversando Twitter, con la singolare e a tratti provocatoria gestione di Elon Musk: «La lunga successione di spiazzanti dichiarazioni rilasciate dall’imprenditore statunitense – chiosa la docente dell’ateneo bergamasco – sembra avere l’obiettivo di trasformare la piattaforma in uno spazio privato, unicamente modellato dal temperamento incostante e dalle sensibilità politiche del suo proprietario. A raccontare bene la combinazione di arroganza e cinismo che caratterizza il nuovo corso è la pretesa che qualche mese fa Elon Musk ha avanzato ai suoi ingegneri affinché modificassero l’algoritmo in modo tale da potenziare la visibilità globale dei suoi tweet. Qualche ora dopo, sul suo profilo, Musk stesso ha pubblicato un meme raffigurante una donna (con la scritta “tweet di Elon”) che ne obbliga un’altra (che rappresenta Twitter) a bere da una bottiglia di latte mentre le tira i capelli. Una simile manipolazione della visibilità dei contenuti preoccupa soprattutto per gli effetti secondari di amplificazione che genera rispetto alla rete di interazioni tessuta dal suo profilo […]».
A questo proposito, Nandini Jammi, cofondatrice dell’istituto Check My Ads, un’organizzazione non profit che fa monitoraggio sulla pubblicità online, ha definito la tradizione di Twitter a opera di Musk – ma anche quanto sottotraccia ha fatto Zuckerberg su Facebook – “rage baiting”, ovvero un sistema che capitalizza sulla rabbia, che riesce cioè a generare rapidi e ingenti introiti pubblicitari potenziando la visibilità di contenuti aggressivi, divisivi e polarizzanti in grado di stimolare un coinvolgimento prevalentemente emotivo e conflittuale.
Le dinamiche innescate dalla nuova gestione della piattaforma dell’uccellino sono quindi abbastanza inquietanti, ma in fondo non del tutto inedite. «Se è vero che le strategie di Musk continuano ad avere qualcosa di insondabile, di sicuro l’intreccio di dichiarazioni e di azioni di cui si rende costantemente protagonista sortisce l’effetto di una esasperazione parossistica di un peccato originale: le piattaforme di social media sono contemporaneamente spazi privati di natura commerciale, soggetti alla libertà d’impresa e all’imperativo del profitto, e contesti di discussione pubblica in cui si articola l’intersoggettività che consente od ostacola la politica e l’esercizio della cittadinanza. Che la circolazione di disinformazione e di discorsi d’odio costituisca una materia prima di valore per il modello di business delle piattaforme di social media è chiaro da parecchio tempo. Che questo ecosistema informativo si sia rivelato particolarmente fertile per la propaganda politica dei partiti populisti […] è diventato manifesto sia con la Brexit sia con le due campagne presidenziali di Trump. L’infrastruttura algoritmica che regola la visibilità dei contenuti (e di conseguenza le traiettorie di attenzione degli utenti) è un sistema che assegna maggiore visibilità a quei post che si dimostrano in grado di suscitare un coinvolgimento rapido, esteso, facilmente quantificabile e quindi immediatamente spendibile nel mercato pubblicitario contemporaneo, basato sulle tecniche di profilazione di massa», spiega la professoressa Murru.
I rischi del paradigma dell’influenza
In questo ambiente, spesso, proliferano la violenza verbale, i discorsi d’odio (hate speech), linguaggi ostili e aggressivi verso le minoranze. Si moltiplicano gli attacchi di doxxing (tentativi diffamatori che fanno leva sull’esposizione di informazioni personali), così come forme di violenza denominate gendered disinformation, attuate ai danni di giornaliste, intellettuali e politiche volte a screditarne il lavoro e silenziarne la voce.
Che ci sia un legame tra gli abusi online e la violazione dei diritti umani è stato riconosciuto dalla stesso Meta in un caso: «Nel 2018, tramite una valutazione indipendente affidata a una ong, ha ammesso di non aver adottato tutte le misure necessarie a frenare la campagna d’odio condotta in Myanmar da parte dei leader militari e nazionalisti buddisti su Facebook, poi sfociata in una vera e propria pulizia etnica ai danni della minoranza musulmana Rohingya. Da quel momento, la piattaforma di Zuckerberg si è impegnata nell’attivazione di forme più incisive di moderazione di contenuti. Nelle Content distribution guidelines pubblicate nel 2021, Meta ha dichiarato di aver adottato la strategia “remove, reduce and inform” in virtù della quale sono rimossi i contenuti in violazione degli standard di comunità, ne viene ridotta la capacità di diffusione nel feed di notizie degli utenti, mentre si promuove la visibilità di contenuti verificati per migliorare la qualità dell’informazione», ricorda la docente dell’ateneo orobico.
Il dilagare dei discorsi d’odio sui social non rappresenta solamente una distorsione, «ma è forse il segno del prevalere di un paradigma comunicativo più generale in cui la comunicazione è intesa primariamente come esercizio strategico di una qualche forma di influenza. La logica della celebrità, la cultura degli influencer, che non è più confinata al mondo dello spettacolo, ma si estende a tutte le sfere dell’esistenza e ai diversi ambiti della vita sociale, conduce anche le persone comuni ad agire in senso performativo, a concepire cioè la propria presenza digitale come una messa in scena al servizio di un’audience sempre più monitorabile, quantificabile nelle sue reazioni e infine monetizzabile. In questo contesto, l’inciviltà, magari nella forma di rivendicazione di istanze divisive ed estremiste, può diventare facilmente il marcatore linguistico di una qualche forma di diversità esibita e utile al posizionamento nel mercato della popolarità», aggiunge la professoressa.
Diventa dunque chiaro come, all’origine del dilagare dei discorsi d’odio, non ci siano solo tendenze politiche e culturali di un certo tipo, ma anche precise “economie dell’attenzione” e culture affettive che sono nella loro essenza di tipo tecno-sociale, frutto cioè di quella peculiare intersezione che si viene a creare tra la logica “algoritmica” delle piattaforme e gli interessi, le competenze, le strategie dei soggetti che le abitano.
Al di là del tono provocatorio, le dichiarazioni di Elon Musk, si possono leggere come il tentativo di esercitare, amplificare e mettere alla prova la propria influenza personale. «Twitter sembrerebbe destinato così a diventare uno dei campi gravitazionali del suo personaggio pubblico, costruito come un brand esperienziale che polarizza il mondo tra chi è con lui e chi è contro di lui. Che il paradigma comunicativo dell’influenza sia ormai una costante trasversale a tutti i social media trova ulteriore conferma nelle ultime strategie approntate da TikTok, piattaforma cinese in crescita costante, a differenza di Facebook, Twitter e Instagram. L’azienda starebbe mettendo a punto un progetto che va nella direzione di una ulteriore professionalizzazione dei cosiddetti influencer mediante la creazione di un “Talent Management Portal”, ovvero un portale su cui i manager che rappresentano i creatori di contenuti possono mettersi direttamente in contatto con le aziende per stringere accordi pubblicitari», conclude Murru. Alla professoressa abbiamo in chiusura chiesto un serie – essenziale – delle azioni necessarie per rendere, tutti insieme, Internet e i social, un luogo sicuro e piacevole per ciascuno, a partire dai più giovani.
L’altra faccia della medaglia: i social costruiscono reti sociali e solidali
Eppure da anni – in particolare durante il lockdown – i social mostrano di porte aiutare a tessere reti sociali e solidali. E la città di Milano – dalla metà degli anni ’10 del ventunesimo secolo – è un caso di studio internazionale sul fenomeno: la spesa solidale a domicilio, le medicine agli anziani, le informazioni sui servizi nel quartiere. Poi lo svago: aperitivi o piccoli concerti in cortile, il ruolo delle social street a Milano e «la riscoperta dei rapporti di solidarietà tra vicini di casa, forse l’unico tesoro che la pandemia ci ha regalato. Uno studio che con l’Università Cattolica abbiamo condotto, chiarisce che il buon vicinato si traduce soprattutto in pragmatico utilitarismo inteso come mutuo aiuto», ricorda la sociologa della Cattolica, massima esperta in materia, Cristina Pasqualini.
Ci sono casi eclatanti come la social street di San Gottardo, nata nel 2013, che conta 15 mila iscritti e continua a crescere, e quelle più recenti come Nolo (creata nel 2016), con più di 50 post al giorno. «Subito dopo il lockdown gli studiosi discutevano sulla natura dell’avvicinamento ed erano dubbiosi sulla possibilità di conservare interazioni frequenti quando il bisogno fosse diventato meno pressante. Per ora si osserva che la conquista è invece duratura. Sono nati dei rapporti di amicizia o conoscenza stretta. Del resto uno dei vantaggi di queste reti è la flessibilità. Sono punto di riferimento quando servono e si ritirano se non c’è bisogno. Il loro funzionamento si misura sulla capacità di costruire un capitale di fiducia nelle relazioni con l’altro, in particolare il vicino. È una forza cui ci siamo abituati», ricorda Pasqualini mostrando come i social siano uno strumento che, di per sè, non è né positivo né negativo, ma riflette i comportamenti umani. E anche quelli disumani.