Il lato umano del leader che nessuno racconta
Nel III secolo a. C. in Cina il re Ts’ao mandò suo figlio T’ai presso il maestro Pan Ku affinché imparasse da lui come diventare un buon governante alla successione del padre. Il maestro lo inviò nella foresta e, al suo ritorno, gli chiese cosa avesse sentito. Il principe riportò nel dettaglio tutti i suoni ascoltati, i versi degli animali, il rumore delle foglie mosse dal vento o dell’acqua che scorre. Tuttavia, il saggio non fu soddisfatto, gli chiese di tornare nella foresta e di ascoltare meglio, perché solo cogliendo l’“inaudito” nelle cose, andando oltre la loro superficie, poteva essere in grado di sentire davvero il proprio popolo, il dolore, la paura, i sentimenti inespressi. Questo fa un buon governante. Ascolta.
Quasi un secolo fa, in un’Italia che ricostruiva se stessa all’indomani della guerra, stretta fra due forze opposte, quella del comunismo e del capitalismo, un imprenditore illuminato, un umanista, Adriano Olivetti creava un’esperienza di fabbrica e un’organizzazione del lavoro uniche, non basate solamente sul profitto, ma sull’idea che fossero la felicità della collettività e una leadership empatica e pronta all’ascolto, come nella parabola cinese di Pan Ku, a rendere i processi produttivi più efficienti. Diceva spesso: “A volte, quando lavoro fino a tardi, vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza”. Era questa la sua vocazione, trovare un altro senso e ritmo nel sistema capitalistico.
Poi è arrivata l’ossessione per la performance, per il successo come unica metrica identitaria e il sacrificio come unica via per ottenerlo, e si è imposta sui media e nella società la narrazione del leader che non fallisce, in cui i limiti propri e degli altri vengono stigmatizzati, nascosti o dissimulati.
Come Jack Ma, presidente e fondatore della multinazionale cinese dell’e-commerce Alibaba, il cui modello di leadership si basa sull’imposizione della politica del 9-9-6: lavorare 12 ore al giorno per 6 giorni la settimana, riducendo al minimo il tempo dedicato allo svago o agli affetti. Il superlavoro è per Ma una benedizione, l’unica strada che conduce al successo è il sacrificio estremo. O come, seppur in modo diverso, Elon Musk, che in un’intervista per Recode Decode ha affermato con convinzione che “se sei un imprenditore i break di lavoro ti uccidono, altro che rilassarti”.
Oggi, però, si sta affermando anche un altro modo di fare impresa ed essere leader, si fa strada una narrazione nella quale il lavoro diventa mezzo e non più fine e, in cui, come nella storia del principe T’ai, sono l’ascolto e la comprensione dell’altro a condurre al successo.
Bisogna invece introdurre nuove tematiche, parlare di emotività, ad esempio, ma anche di fallimento e di tutti quegli aspetti che, più delle storie di successo, ci aiutano a crescere come persone e professionisti.
A questa leadership umana e gentile, PHYD ha dedicato un talk dal titolo “Il lato umano del leader (di cui nessuno parla)”, con Lorenzo Ferrari CEO & Founder @smarTalks, una digital marketing entreprise, e la giornalista Silvia Pagliuca.
Il volto umano del leader, un’altra storia
Come emerge da moltissime ricerche, tra cui lo studio global di The Adecco Group Resetting Normal 2021, i lavoratori chiedono di avere leader più empatici, collaborativi, capaci di ascoltare, in grado di aiutarli a recuperare un senso di appartenenza che da tempo hanno perduto. Per questo, mai come in questa fase storica, è importante parlare di “imprenditoria dal volto umano”.
«Secondo me oggi c’è una narrazione distorta e tossica attorno alla figura del leader, frutto anche di una certa retorica che gli stessi imprenditori contribuiscono a creare. Bisogna invece introdurre nuove tematiche, parlare di emotività, ad esempio, ma anche di fallimento e di tutti quegli aspetti che, più delle storie di successo, ci aiutano a crescere come persone e professionisti.»
Per Lorenzo Ferrari, che è anche l’under 25 più seguito su LinkedIn in Italia, il successo non è che un titolo, non vuol dire molto in termini pratici. La realtà, la sua come quella di chiunque altro, è molto più complessa, le delusioni sono spesso più delle soddisfazioni, le sconfitte delle vittorie, i no dei sì, ed è questo che bisogna iniziare a raccontare soprattutto a chi aspira a fare l’imprenditore.
«Si parla poco dei reali problemi di chi decide di aprire un’azienda, che non sono solo il fatturato, le competenze, la costruzione di team di lavoro, ma l’aspetto emotivo, il risvolto psicologico di chi sceglie questo tipo di carriera. Nessuno ti prepara al fatto che ti troverai da solo con enormi responsabilità, che non saprai di chi fidarti o come spiegare ciò che fai agli altri.»
Per affrontare questa emotività, che non è solo vulnerabilità ma è anche coraggio di mettersi in gioco e scardinare un modello di leadership oramai stantio e obsoleto, per aprire dunque ad altre possibili storie, occorre consapevolezza di sé e dei propri limiti.
«I problemi legati all’aspetto emotivo, alla solitudine, alla depressione, all’assenza di work-life balance, al fatto che se sei imprenditore stacchi più tardi di tutti e non smetti mai di lavorare, rimanendo spesso ingabbiato nella tua stessa azienda, nella tua stessa routine, lo risolvi solamente con la consapevolezza. Solo parlandone e mettendoci in discussione riusciamo a vedere le cose in modo diverso, in una maniera più sana.»
Il potere dei limiti
Lo scorso 19 gennaio, a sorpresa, Jacinda Ardern, giovane premier della Nuova Zelanda e capo del Partito laburista, ha annunciato le sue dimissioni:
«Credo che guidare un Paese sia il lavoro più privilegiato che si possa avere, ma anche uno dei più impegnativi. Non si può e non si deve fare se non si ha il serbatoio pieno, più un po’ di riserva per le sfide inaspettate. All’indomani di questa decisione si discuterà molto su quale fosse la cosiddetta “vera” ragione. L’unica prospettiva interessante che scoverete è che, dopo sei anni di grandi sfide, sono umana.»
Sebbene moltissimi hanno visto in questa decisione una scelta di “genere”, in quanto donna, madre e moglie, potremmo provare a leggerla, invece, come l’espressione di un potere che trascende il genere, capace di trovare nel senso del limite un nuovo significato e una diversa consapevolezza: il lavoro e il successo non sono per forza la misura della nostra essenza, un leader non è invincibile o inarrestabile.
Imporsi dei limiti, riconoscerli, imparare a rispettarli è importante per una vita più armonica, significa investire tempo ed energia nella qualità dei propri progetti, sogni, ambizioni, relazioni, vuol dire potere ascoltare se stessi e le persone con cui lavoriamo.
«Gli unici orari che ho imposto ai miei collaboratori sono quelli del riposo, è importante ritagliarsi del tempo. Per quanto riguarda me come imprenditore ho deciso di pormi dei paletti, di riconoscere i miei limiti, sforzarsi di rispettarli è una buona pratica» commenta Ferrari.
La solitudine dei numeri uno
Sergio Marchionne diceva che chi comanda un’azienda è sempre solo. Lo è come chiunque abbia sulle proprie spalle la responsabilità del potere. Tuttavia, la solitudine, di rado raccontata quando si parla di leadership, è uno di quegli elementi che meriterebbe maggiore visibilità proprio per capire come risolverla.
È importante circondarsi di persone che cerchino di ascoltarti e di darti consigli […]. È importante avere un mentore, un coach, come avere una spalla su cui contare, anche perché non siamo onniscienti o bravi in tutto.
Per Ferrari, occorre circondarsi di persone che siano davvero capaci di ascoltare, di guidare e consigliare, persone con cui dividere oneri e onori. La figura del coach, l’introduzione di percorsi strutturati di coaching all’interno delle aziende, potrebbero essere un valido strumento per supportare imprenditori e leader nel decision making, soprattutto in momenti di crisi, una leva per attenuare il senso di solitudine e migliorare la gestione delle relazioni umane sul lavoro.
«È importante circondarsi di persone che cerchino di ascoltarti e di darti consigli concreti, spesso si cade nella banalità dei consigli, perché c’è scarsa consapevolezza dei problemi e di come affrontarli. È importante avere un mentore, un coach, come avere una spalla su cui contare, anche perché non siamo onniscienti o bravi in tutto.»
Guido Stratta, Direttore People & Organitazion del Gruppo Enel, fondatore dell’Accademia della Gentilezza e autore, insieme a Bianca Straniero Sergio, del libro “RI-eVOLUZIONE: Il potere della leadership gentile” (Franco Angeli Editore), scrive che le persone non sono spicchi d’arancia, sono un’arancia intera. Non possiamo, cioè, considerare solo ciò che è utile, bello, piacevole, ignorando il resto, quei coni d’ombra che nascondono fragilità, paure e tutti quegli aspetti emotivi difficili da gestire. Il leader deve valorizzare la complessità delle sue persone a patto prima di riconoscere la sua, solo così, per parafrasare Stratta, sarà in grado di guidare la propria azienda in un “futuro che prima non c’era.”
Per riascoltare l’evento, è sufficiente registrarsi sul sito PHYD.