Mercati, AD di Aboca: “L’impresa è un sistema vivente che genera valore”
Seguendo i valori, spiegava Adriano Olivetti, i beni materiali verranno da sé. Lontano dall’idealismo, animato dall’idea concreta che organizzazione, profitto e impatto sociale si implichino a vicenda, Massimo Mercati, AD di Aboca, propone un’idea innovativa: considerare l’azienda alla stregua di un sistema vivente. Un sistema capace di generare e preservare valore, seguendo lo schema dominante in natura: quello dell’organizzazione a rete.
[legacy-picture caption=”” image=”9f9c67e4-ed71-402d-bb73-e389e1ab508f” align=”right”]Ma che cosa significa, per un’impresa, generare valore? Amministratore delegato di un gruppo con oltre millecinquecento dipendenti, Mercati ha inoltre fondato Farmacie Apoteca Natura ed è presidente delle Farmacie Comunali di Firenze. Per rispondere a questa e altre domande ha scritto un libro: L’impresa come sistema vivente (Aboca edizioni, 2020). Un lavoro che affronta i temi della leadership, dell’organizzazione, della sostenibilità della responsabilità sociale all’interno di una riflessione complessiva sui temi delle reti e dei processi generativi.
In un mondo e in una società che hanno raggiunto un elevato grado di maturità, spiega nel suo libro Mercati, «la percezione del valore cambia, si affermano bisogni diversi e più raffinati del “consumo”, valori come la soddisfazione personale e sul lavoro, la felicità, la fiducia: questi sono i nuovi driver del valore». Ma questi driver sfuggono alle metriche consuete e sono difficilmente misurabili. Anche se proprio queste «sono le reali determinanti che incidono sulla qualità della nostra vita e sulla sopravvivenza stessa delle nostre imprese». Ecco allora che, nella lettura di Mercati, l’impresa del futuro, l’impresa che vuole crescere nel tempo, non potrà che essere quella che si pone il problema dell’effettiva creazione di valore in questa nuova prospettiva, «che va ben al di là dei profitti degli shareholder, facendosi carico del suo impatto su tutti gli stakeholder, quindi sull’ambiente e le comunità in cui si inserisce».
L’impresa del futuro va ben al di là dei profitti degli shareholder, facendosi carico del suo impatto su tutti gli stakeholder
Non è dunque il profitto – pur necessario – che crea valore, ma è la creazione di valore che genera il profitto. Non si tratterà di vendere per creare valore, ma di creare valore per vendere. Un nuovo modello di impresa, un’impresa al passo con questa prospettiva, dovrà dunque riallinerare i suoi presupposti valoriali e sociali ibridandosi in forme giuridiche innovative.
È il caso del movimento delle Benefit Corporation, nato negli Stati Uniti nel 2006 proprio per dare consistenza a un nuovo modo di fare impresa attraverso la certificazione d’impatto secondo lo schema di pensiero della Triple Bottom Line di John Elkington.
[legacy-picture caption=”” image=”14e5c704-8e48-4583-9445-6657308c0f31″ align=”left”]Le B-corp, ricorda Mercati, accettano che il loro impatto su ambiente e società «venga misurato e valorizzato su una scala numerica che va da 0 a 200». Per ottenere la certificazione devono superare il punteggio di 80, che segna il limite sotto il quale l’impresa resta “estrattiva”, ovvero prende più di quanto restituisce. Punteggi oltre quella soglia riconoscono invece all’azienda la capacità di generare, oltre al profitto, un contributo al bene comune. Un valore. Sull’onda del movimento delle B-corp, in Italia è stata approvata nel 2015 la legislazione sulle Società Benefit. Un primo passo verso un nuovo paradigma organizzativo e di sistema. Un passo importante perché l’azienda, una volta effettuata la trasformazione a Società Benefit, «non solo potrà, ma dovrà perseguire il bene comune».
Nonostante rimanga ai margini della normativa d’impresa, figurando ancora come norma di diritto speciale che permette di derogare all’impianto normativo di base, quello delle Società Benefit è un percorso da sollecitare, trasformandolo da eccezione in regola. Sono sempre più i consumatori, spiega attentamente Mercati, che «stanchi di essere definiti come tali, sono alla ricerca di modelli di utilizzo dei beni capaci di garantire, al tempo stesso, l’utilità privata e la sostenibilità ambientale e sociale». Il mercato si sta lentamente muovendo in questa direzione.
Proprio per questo, conclude Mercati, un nuovo modello di impresa diventa essenziale: «perché il nostro successo economico dipenderà dalle risposte che sapremo dare agli interrogativi sollevati da quei consumatori e dalle giovani generazioni in termini di partecipazione, responsabilità, sostenibilità e capacità di generare valore..
In questo modo, «la discussione sui fini dell’impresa e la dignità del lavoro non resterà confinata in un libro di management, ma diventerà momento di riflessione sui fini del nostro agire, sulle ragioni per cui vale la pena sviluppare una comunità, sui reali presupposti che ogni giorno determinano la felicità o l’infelicità» intesi come parte immateriale di quel valore che le imprese sanno e possono generare.
Come imprenditori e come lavoratori e come imprese – considerate sistemi viventi in quanto interconnesse con comunità e ambiente – «saremo allora chiamati a fornire il nostro contributo, una grande opportunità per tornare a dare un senso alle nostre aziende e alla nostra vita».