“Industria 4.0? Chi ha investito, adesso assume. E se l’Europa fa sistema compete con Cina e Usa”
Che la sia chiami Quarta Rivoluzione Industriale, Smart Factory o Industria 4.0, il concetto non cambia: per competere nel mercato globale le fabbriche hanno bisogno di integrare alte tecnologie nel processo produttivo. È l'internet delle cose, l'estensione della rete agli oggetti, in modo che possano comunicare ed interagire tra di loro. Non solo da qualche anno non è più fantascienza, ma anche l'industria italiana sta recuperando il ritardo sul fronte del'innovazione. "In una ricerca pubblicata lo scorso 23 giugno – spiega Marco Taisch, Professore di Sistemi di Produzione Automatizzati e Tecnologie Industriali al Politecnico di Milano – l'Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico ha rilevato come solo l'8% dei proprietari di impresa non conosce l'espressione Industria 4.0".
Un dato positivo, Professor Taisch?
Sì, se si pensa che un anno fa il dato era del 38%. Significa che il lavoro svolto a partire da allora, sia con il Piano Nazionale Industria 4.0 – un insieme di misure volute dal Governo per facilitare la diffusione della manifattura digitale – sia da parte di associazioni, ha dato i suoi frutti.
L'Italia, quindi, non rimane al palo?
Il solito tormentone per cui siamo sempre più lenti ad accoglierel e novità è in parte vero e ci sono dei dati negativi che non si possono discutere, come quello relativo alla bassa produttività. Vorrei però andare controcorrente e sottolineare come, nonostante tutto, siamo ancora la seconda manifattura d'Europa. A ciò si aggiunga che le stime del Pil sono state viste al rialzo, dal +0,9% iniziale al +1,4%, segno che ci sono segnali di un'evidente ripresa.
Cos'è cambiato con il pacchetto di misure inserito nell'ultima Legge di Bilancio?
Il Piano Nazionale italiano è molto più articolato rispetto a quello di altri Paesi e ha messo a disposizione delle imprese un budget notevole. Senza dubbio l'iper ammortamento e il super ammortamento sono agevolazioni efficaci per chi investe, così come il credito di imposta per ricerca e sviluppo al 50%. Sono stato a diversi incontri su Industria 4.0 a Bruxelles e ho ricevuto parecchi apprezzamenti per i nostri programmi.
Quando si dice che i robot porteranno via posti di lavoro non si pensa che in realtà, nell'ambito di un mercato mondiale, se non si innova si sarà costretti a chiudere e dunque i posti di lavoro andranno in fumo non per colpa dei robot, ma per un deficit tecnologico e di competitività
Da soli, però, è difficile competere. È possibile una cooperazione europea o anche su questo tema ci sono scontri?
Già da tempo i Ministeri dello Sviluppo Economico di Italia, Germania e Francia coordinano un confronto che comprende anche le imprese. Ci si concentra soprattutto su tre temi: standard tecnologici comuni, engagement delle piccole e medie imprese e, infine, una serie di policy condivise.
Dunque il dialogo con la Germania, leader della manifattura digitale, è possibile?
I grandi produttori di tecnologia 4.0 sono in Germania – si pensi solo a Siemens, Bosch e Saap- ma in Italia catturiamo nicchie importanti. L'Europa, potenzialmente, è il primo mercato del mondo, fare politiche comuni ci rafforza. Io credo che questo la Germania lo abbia capito, non può pensare di competere da sola con la Cina o gli Stati Uniti.
Abbiamo fatto cenno alle Pmi. Esiste un gap di innovazione tra le piccole e le grandi imprese. Come colmarlo?
Che il gap esista è evidente, ma ci sono esempi di pmi che hanno fatto ottimi progetti di manifattura digitale e che stanno crescendo, e dunque assumendo. Questo è molto indicativo: chi ha fatto investimenti nel 4.0 non solo ha aumentato il valore aggiunto, ma anche la produttività, e questo è avvenuto anche in aziende di piccole dimensioni.
Il cambiamento dovrà essere anche culturale?
Quando si dice che i robot porteranno via posti di lavoro non si pensa che in realtà, nell'ambito di un mercato mondiale, se non si innova si sarà costretti a chiudere e dunque i posti di lavoro andranno in fumo non per colpa dei robot, ma per un deficit tecnologico edi competitività. Se la produttività aumenta, anche grazie ai robot, è chiaro che il numero di dipendenti per prodotto diminuisce, ma l'azienda, e insieme il sistema industriale del Paese, sarà in grado di competere e quindi di creare posti di lavoro.
Eppure, per il momento, prevale l'allarmismo.
Le tre precedenti Rivoluzioni Industriali sono state molto meno rapide rispetto a questa. Mano a mano che le persone smettevano di lavorare, entravano giovani con competenze aggiornate e dunque il sistema rimaneva in piedi. Oggi noi non possiamo aspettare che chi ha 50 anni vada in pensione, tra 15 o 20 anni, prima di far entrare personale specializzato. Dobbiamo allora lavorare su due fronti.
Sarebbero?
Da una parte la formazione permanente di chi è già dentro, perché competenze già obsolete non possono rimanere ferme per altri anni. E poi è fondamentale la questione dei nostri giovani, che spesso hanno anche ottime qualifiche che però non sono richieste dal mercato del lavoro. Si deve intervenire già in fase d'orientamento alle scuole medie e superiori, per cercare di indirizzare i ragazzi verso studi di cui c'è assoluta necessità.