Istituti Tecnici Superiori: la scommessa dell’Italia per combattere la disoccupazione giovanile
Sono nati nel 2010 per formare tecnici in aree importanti per lo sviluppo economico. Sono gli Istituti Tecnici Superiori, Its, scuole di alta tecnologia strettamente legate al sistema produttivo. In Italia se ne contano 103, sparsi su tutto il territorio nazionale, e divisi in sei aree tecnologiche considerate “strategiche” per la competitività del Paese: efficienza energetica; mobilità sostenibile; nuove tecnologie della vita; nuove tecnologie per il made in Italy; tecnologia dell’informazione e della comunicazione e tecnologie innovative per i beni e le attività culturali.
Nel contesto della formazione terziaria professionalizzante, rappresentano una delle novità più significative perché sono caratterizzati da una integrazione con il mondo del lavoro, capace di intercettare l’innovazione e il cambiamento e di tradurla in azioni formative. Nella prospettiva della rivoluzione tecnologica 4.0 ormai in atto, gli Its stanno già sperimentando le competenze per i nuovi lavori, per le nuove professioni dei servizi a banda larga.
«Gli Its sono giovani e allo stesso tempo rappresentano il canale formativo che ha maggiore successo occupazionale del nostro Paese», dice Giovanni Biondi, presidente di Indire – l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa, il più antico ente di ricerca del Ministero dell’Istruzione – che su incarico del MIUR, realizza e gestisce la banca dati degli Its, contribuisce alla definizione dei criteri di monitoraggio e di valutazione dei percorsi.
[legacy-picture caption=”Giovanni Biondi, presidente di Indire” image=”1639a1f3-578e-4e51-a233-371284b95f97″ align=””]«È stato presentato», continua Biondi, «il monitoraggio sui risultati dei corsi Its conclusi nel 2017 e progettati quindi nel 2015. L’analisi tiene conto dei livelli occupazionali a 12 mesi dalla conclusione del corso. Gli occupati dopo un anno dalla fine continuano a superare l’80%, in quanto si collegano ad un bisogno reale delle imprese, riuscendo a cogliere le diverse tendenze dei lavori nelle diverse traiettorie della grande trasformazione. Inoltre il 90% degli occupati ha trovato lavoro in un’area coerente con il piano di studi intrapreso».
[legacy-picture caption=”Monitoraggio Indire” image=”094ee06f-ffb3-47c2-8f6b-fa9b1f1b8da3″ align=””]Quello degli Its è un sistema flessibile e che funziona perché implementa un modello organizzativo e didattico capace di dialogare con le imprese e di rinnovarsi nel tempo e nell’offerta: «Oltre il 70% dei docenti», spiega Biondi, «proviene dal mondo del lavoro. Quindi gli studenti non si interfacciano con un insegnante ma con un “tecnico” che lavora già in azienda. Non ha studiato pedagogia e probabilmente non conosce neppure specifiche metodologie didattiche ma evidentemente è riuscito a coinvolgere gli studenti e a trasmettere loro qualcosa che li ha appassionati. Certamente avrà proposto attività che lui stesso svolge in azienda, attività laboratoriali che richiedono di conoscere e quindi di studiare ma poi di mettere in pratica, di usare queste conoscenze. Ed è qui che scatta la motivazione. Se l’output dello studio è sempre e solo l’interrogazione o il compito in classe probabilmente l’intero percorso risulta per gli studenti un gigantesco esercizio astratto che usa anche un linguaggio solo scritto ed orale e che quindi risulta poco stimolante».
Accedono agli Its, a seguito di selezione, i giovani e gli adulti in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore e coloro che siano in possesso di un diploma quadriennale di istruzione e formazione professionale e che abbiano frequentato un corso annuale integrativo di istruzione e formazione tecnica superiore. Il 44,9% degli studenti che si iscrive ai corsi ha tra i 20 e i 24 anni, il 32,3% tra i 18 e 19. Sono in prevalenza maschi, il 72,6%, e il 62,3% proviene da istituti tecnici; circa 21,3%, invece, è la percentuale di iscritti con diploma liceale.
I percorsi hanno una durata biennale o triennale (4/6 semestri – per un totale di 1800/2000 ore), lo stage è obbligatorio per il 30% delle ore complessive di tutto il corso. Gli Its permettono di acquisire un Diploma Tecnico Superiore con la certificazione delle competenze corrispondenti al V livello del Quadro europeo delle qualifiche (European Qualification Framework).
Il tema del mismatch tra domanda ed offerta trova negli istituti tecnici superiori una soluzione efficace
Le regioni con le migliori performance rispetto al tasso di diplomati e al tasso di occupati sono Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Puglia. Al di sotto dei valori medi troviamo Sardegna, Calabria, Campania, Sicilia, Marche e Abruzzo.
[legacy-picture caption=”Monitoraggio Indire” image=”b68ff70b-e4b6-4e81-a84f-feee077e5346″ align=””]«Il tema del mismatch tra domanda ed offerta», dice Biondi, «che è alla base di molta disoccupazione giovanile, trova in questi percorsi formativi una soluzione efficace. Se togliessimo dal calcolo i corsi che il monitoraggio inserisce in fascia rossa e valutati come “critici”, i valori aumenterebbero ancora di altri 3-4 punti percentuali. E, in alcuni settori come quello della meccanica, il tasso di occupazione supera addirittura il 90%».
Numeri significativi «che hanno spinto», continua Biondi, «ad aumentare gli investimenti in questo settore ma che dovrebbero invogliare le Regioni a fare una manutenzione efficace del sistema che prevede giustamente la premialità per i migliori ma dovrebbe prevedere anche la chiusura per gli altri. Occorrerebbe fare una riflessione sugli ambiti ed analizzare i dati: se abbiamo occupati che oscillano tra 81 e 92% nelle aree di maggior successo ci dobbiamo chiedere perché alcuni ambiti sono invece al 57% ed altri non superano il 73%. Insomma il sistema per crescere ha bisogno, come una giovane pianticella, non solo di essere concimata ma anche delle forbici del giardiniere. Questo tra l’altro permetterebbe di far nascere Fondazioni magari meglio collegate alle imprese del territorio».