Istituti tecnici superiori: è qui che passa lo sviluppo italiano
Li chiamano ITS, Istituti Tecnici Superiori. E sono la prima esperienza italiana di offerta formativa terziaria professionalizzante. Un modello che segue sistemi già consolidati in altri Paesi europei, Germania in primis. Nati nel 2010, sono scuole di alta tecnologia legate al sistema produttivo, che in teoria dovrebbero preparare i quadri intermedi pronti per la svolta della quarta rivoluzione industriale (industria 4.0). Ma da noi non godono di buona salute, e restano un fenomeno ancora di nicchia. Visto che gli studenti iscritti sono solo poco più di 8.500, una goccia nel mare rispetto ai 760mila studenti iscritti negli istituti equivalenti tedeschi e ai 240mila francesi. Eppure, l’obiettivo è lo sbocco immediato nell’occupazione. Tant’è che i dati italiani dicono che queste scuole garantiscono un lavoro al 79,1% dei diplomati dopo un anno, per salire al 79,5% dopo tre anni (dati Indire).
Ad oggi in Italia esistono 93 ITS (18 solo in Lombardia), correlati a sei aree tecnologiche considerate strategiche per lo sviluppo del Paese: mobilità sostenibile, efficienza energetica, tecnologie innovative per la cultura e il turismo, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nuove tecnologie della vita, nuove tecnologie per il Made in Italy. Tutti settori centrali per la competitività italiana. Non a caso gli ITS sono realizzati secondo il modello organizzativo della fondazione in partecipazione, in collaborazione con le imprese, le università, le scuole e gli enti locali. La logica è quella di dare vita a una “comunità di filiera”, dove i giovani sono preparati alle esigenze dei distretti italiani.
Qualche esempio? Il Mita, Made in Italy Tuscany Academy di Scandicci (Firenze) forma figure per la filiera del fashion, con competenze nella progettazione del prodotto, valutazione dei materiali e gestione della supply chain. L’International academy of tourism and hospitality, sul lago di Como, educa invece all’«italian way of life» per carriere di alto livello nel turismo.
Agli ITS accede, a seguito di selezione, chi è in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore e coloro che siano in possesso di un diploma quadriennale di istruzione e formazione professionale e che abbiano frequentato un corso annuale integrativo di istruzione e formazione tecnica superiore. I percorsi hanno una durata biennale o triennale, con un piano di studi di duemila ore diviso quasi a metà tra lezioni e tirocini. Lo stage è obbligatorio per il 30% delle ore complessive e almeno il 50% dei docenti proviene dal mondo del lavoro.
Gli studenti iscritti sono solo poco più di 8.500, una goccia nel mare rispetto ai 760mila studenti iscritti negli istituti equivalenti tedeschi e ai 240mila francesi.
Nonostante siano in crescita, le iscrizioni però restano ancora basse. Eppure quelle che escono da questi istituti altamente specializzati sono figure richiestissime dal mercato del lavoro. Secondo un monitoraggio Excelsior Unioncamere, le dieci professioni con maggiore difficoltà di reperimento sono i tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione (63%) e gli operai metalmeccanici ed elettromeccanici (47%).
Guardando questi numeri, è evidente che emerge la necessità di puntare sulla formazione tecnica post diploma, che in Italia è svolta principalmente dagli ITS appunto. Il primo step potrebbe essere quello di lavorare sulla comunicazione per rendere più appetibili queste scuole per i giovani neodiplomati e le loro famiglie. Che devono poter capire cosa si fa negli ITS e quali sono le strade che aprono. Il sottosegretario del ministero dell’Istruzione Gabriele Toccafondi ha usato tre verbi per descrivere la didattica degli ITS: «Progettare, prototipare, valutare». Insomma, un connubio tra sapere e saper fare, che però va anche distinto dalle nuove lauree professionalizzanti triennali. E all’interno di questo sforzo comunicativo c’è bisogno di dare prestigio sociale e culturale a questi istituti, su cui si giocherà lo sviluppo del Paese. La realtà è che vengono visti ancora come scuole di serie B, e così anche gli sbocchi occupazionali che offrono.
Senza dimenticare gli investimenti. Gli ITS fanno da connessione tra la formazione e un mercato del lavoro che cambia sempre più in fretta. Quindi hanno bisogno di più attenzione, anche dal punto di vista economico. Nel Piano nazionale impresa 4.0 si punta a raddoppiare entro il 2020 il numero di studenti degli ITS. Ma le risorse da mettere sul tavolo nella legge di bilancio 2018 ora sono in bilico e potrebbero essere riviste al ribasso o addirittura azzerate. Eppure è nella formazione e nelle competenze che si giocherà il nostro posto nel futuro mondo del lavoro 4.0.