Jack Dorsey: il cattivo ragazzo della Silicon Valley che fa volare Twitter


Arrivista, arrogante e nemmeno troppo geniale. Di Jack Dorsey, 41enne fondatore di Twitter, si è detto e scritto di tutto. Per molti è lui il cattivo ragazzo della Silicon Valley. Primo tra tutti a descriverlo così, l’affidabilissimo New York Times. È nel 2013 che Nick Bilton, uno dei reporter di punta del quotidiano, oggi diventato inviato speciale per Vanity Fair, pubblica un libro sulla creazione del social network e ciò che emerge dalla sua ricostruzione è una storia di tradimenti, opportunismo e violente coltellate alla schiena, inferte per lo più proprio da Dorsey ai tre soci: Evan Williams, Biz Stone e Noah Glass, che avrebbe letteralmente estromesso dalla società.

E in effetti la reputazione del CEO di Twitter non è delle più limpide. Leggenda vuole che al party di lancio della società, si fosse ubriacato così tanto da cadere e fratturarsi la testa, mentre, diverse fonti, tra cui sempre il libro-inchiesta di Bilton affermano che nel 2008, il board della startup avesse licenziato Dorsey, perché troppo indisciplinato: avrebbe fatto orari di lavoro troppo brevi, per uscire dall’ufficio e andare a fare yoga e frequentare un corso di design per la moda (una delle sue grandi passioni è proprio il fashion).

Sul tram ho visto la crescita di Instagram, quella di Vine e di Snapchat e ho constatato che sempre più persone usavano Facebook che Twitter. È incredibile, insomma, nessuno legge più giornali o libri?

Jack Dorsey, CEO di Twitter

Quella del festaiolo d’altra parte è un’immagine che il giovane multimiliardario fa fatica a scrollarsi di dosso. Mentre il resto dei colleghi della sua generazione, dal creatore di Facebook, Mark Zuckerberg, al fondatore di Reddit, Alexis Ohanian, hanno passato gli ultimi anni a pubblicare foto di famiglia e promuovere le proprie iniziative filantropiche, Dorsey è rimasto quello che viene immortalato ai party più esclusivi, sul suo yacht da svariati milioni di dollari, sempre curatissimo nell’abbigliamento e sempre di fianco ad una top model diversa. Non un esempio di sobrietà insomma, anche se, a guardare bene, il suo profilo Instagram descrive una personalità molto differente da quella che dipingono i giornali. Molti ritratti di famiglia, il battesimo del figlioccio e diverse foto di mezzi pubblici perché, ha spiegato, a lui servono per fare ricerca di mercato: «Sul tram ho visto la crescita di Instagram, quella di Vine e di Snapchat e ho constatato che sempre più persone usavano più Facebook che Twitter. È incredibile, insomma, nessuno legge più giornali o libri?»
Una quotidianità, quella dipinta dai suoi account social, più normale di quella che mai ci si aspetterebbe da lui, come se volesse dire: «Non sono cattivo, è che mi dipingono così».
Chi è quindi Jack Dorsey? L’arrivista spregiudicato che ha cacciato gli amici a costo di riprendersi la guida della società, o il ragazzo della porta accanto che tiene a battesimo il figlio del migliore amico?

https://www.instagram.com/p/JJUuPngQ3O/?hl=it&taken-by=jack

Una storia da sogno americano

Voci dicono che, in realtà, tra i founders di Twitter, non fosse Dorsey il vero genio del gruppo, «lui è solo stato fortunato», ha lasciato intendere in modo nemmeno troppo velato Bilton, nel suo libro, Hatching Twitter.

Eppure Dorsey non ha una storia da persona “solo fortunata”. Nato a Saint Louis, in una famiglia fervente cattolica della working class americana, papà operaio e mamma casalinga, Dorsey frequenta il liceo cattolico della città e, ad appena 14 anni, inizia a nutrire una passione precocissima per la programmazione e i sistemi logistici dei taxi. Un interesse che si porta dietro fino all’università, prima alla University of Missouri–Rolla, poi alla New York University, dove si trasferisce e che però lascia ad appena un semestre dalla laurea. È proprio come sviluppatore di software open source per la logistica dei trasporti che trova lavoro dopo l’abbandono degli studi e la cosa gli riesce così bene, che alcuni di questi sono ancora oggi utilizzati da diverse società.

Lasciata l’università, Dorsey si trasferisce sulla Costa Ovest, in California e prende l’abilitazione per diventare massaggiatore professionista, perché una delle cose che di questo giovane multi-miliardario continua a lasciare spiazzati sono le scelte, mai prevedibili, forse è proprio questo il fattore che non riesce a ispirare fiducia. Il massaggiatore in realtà Jack Dorsey non lo farà mai perché in California inizia a collaborare con una media company che produce podcast e la sua vita cambia per sempre.

La nascita di Twitter

Nessuno direbbe che una storia di successo planetario come quella di questo social network potrebbe nascere da un fallimento e invece è proprio così. È il 2000 quando Jack Dorsey si trasferisce a Oakland, la città dall’altra parte della Baia di San Francisco. È qui che, ancora ventitreenne, fonda la sua prima società di comunicazione per taxi e servizi di emergenza online, e da questa esperienza, sfruttando proprio l’idea dell’instant messaging, inizia a pensare ad un servizio che permetta agli utenti di condividere il proprio status con gli amici. Una forma embrionale di social network prima ancora che questi esistessero insomma. Con questa proposta si presenta a Odeo e qui incontra quelli che diventeranno i suoi futuri soci. La società infatti è interessata a sviluppare un sistema di creazione e gestione dei podcast dal funzionamento molto simile a quello di una casella vocale personalizzata.

Di lì a poco esce il primo I-Phone con il nuovo I-Tunes, che ripulisce la piazza da qualsiasi altro potenziale competitor, incluso Odeo. La società chiude, i quattro ragazzi, si buttano in una nuova avventura, rielaborano il lavoro di ricerca e sviluppo fatto per Odeo e in due settimane lanciano un prototipo di quello che sarebbe diventato Twitter. Acquistano il dominio per 7mila dollari: è il 21 marzo 2006 quando l’uccellino blu inizia a cinguettare.

L’unico capace di far volare Twitter

Dorsey viene nominato CEO, ha trent’anni e per risultare più credibile nella nuova posizione da businessman, si toglie il piercing al naso. La piattaforma ha subito successo, piace agli utenti e attrae immediatamente l’attenzione dei grandi investitori della Silicon Valley. La svolta arriva nel 2007 al South by Southwest, uno dei più importanti festival creativi degli Stati Uniti: nei giorni dell’evento l’uso del social network viene triplicato, passando da 20.000 ad oltre 60.000 Tweet al giorno.

Per due anni Jack Dorsey è il leader indiscusso del gruppo, il volto del social network, fino all’ottobre 2008 quando viene sostituito improvvisamente. La causa è proprio la mancanza di focus sulla strategia aziendale, secondo il libro di Nick Bilton, il board gli contesta di dedicare poco tempo al lavoro. Al suo posto viene messo il socio, Evan Williams, uno smacco che Dorsey non perdona, nemmeno quando gli viene affidato il ruolo di presidente del board, una posizione più di rappresentanza che strategica. È in questo periodo di lontananza dall’operatività aziendale che Dorsey lancia una nuova startup: Square, un sistema di pagamento che permette ai piccoli commercianti di accettare pagamenti via carta di credito. Iniziativa che avrà un successo crescente, l’imprenditore assume il ruolo di CEO e, nel frattempo, cerca di riprendere le redini dell’altra sua creatura.
A marzo 2011 ritorna alla guida di Twitter, questa volta come Executive Chairman, dopo che Williams è stato sostituito come CEO da Dick Costolo, una manovra che, secondo Bilton è frutto di una strategia di Dorsey per riprendere il comando, cosa che però lui non ha mai confermato. «Se pensavo di fregare Ev?», ha riflettuto durante un’intervista rilasciata al New Yorker. «Se me lo chiedevo emotivamente? Non lo so, forse». Il risultato però è inequivocabile. Con Williams fuori dai giochi, Dorsey riesce a riprendere il controllo. È il 2015 quando ottiene nuovamente l’incarico di CEO e questo non fa che risollevare un trend negativo che continuava già da tempo. A due anni di distanza dalla sua ripresa di comando, le azioni sono schizzate a +30% e oggi l’uccellino blu vale 33,97 miliardi di dollari.

Dorsey non è forse quello con la reputazione più trasparente della Silicon Valley, le opinioni su di lui restano discordi ma, fino ad ora, una cosa è chiara a tutti: l’unico che sa far volare il canarino blu davvero in alto rimane lui.

Di |2024-07-15T10:05:08+01:00Settembre 14th, 2018|Innovazione, MF|0 Commenti
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