Jago, il «nuovo Michelangelo» italiano valorizza il fallimento e la manualità
Il Guardian l’ha definito «il nuovo Michelangelo», ma lui dice di essere rimasto la stessa persona che era da bambino, «curioso e mosso da grande entusiasmo». Parliamo di Jacopo Cardillo, 36 anni, conosciuto in tutto il mondo per le sue sculture con il nome di Jago.
Il suo talento però è stato notato molto prima. Quando aveva 24 anni è stato invitato alla sua prima Biennale di Venezia. Quell’anno si chiamava “Lo stato dell’arte” ed era diretta dal critico d’arte Vittorio Sgarbi. Jago partecipò con un’opera che gli è valsa la medaglia pontificia: la rappresentazione di quello che allora era Papa Benedetto XVI.
Ma l’arte è anche cambiamento, evoluzione. E quando, nel 2013, Benedetto XVI abdica, Jago, colpo dopo colpo gli toglie la mantellina. Quello che rimane è un umano, anziano, rugoso e iperrealistico corpo di Joseph Ratzinger e l’opera prende il nome di Habemus Hominem.
«Sono stato invitato alla Biennale quando frequentavo l’accademia, ma il docente di ruolo non apprezzò, perché voleva essere lui a decidere se fossi in grado, se valessi abbastanza per partecipare. Ma io cosa potevo fare? Avevo il mare di fronte e mi sono tuffato, non ho aspettato che qualcuno mi dicesse di farlo», racconta Jago. Presto è arrivata anche la decisione di abbandonare l’ambiente accademico per motivi economici. «Non sono nato con il privilegio di poter perdere tempo e quindi ho deciso di fare un percorso diverso. Dovevo ottimizzare, dare un senso reale alla mia predisposizione naturale, quella del fare, occuparmi di scultura. Fin da bambino sapevo quello che avrei voluto essere».
Non sono nato con il privilegio di poter perdere tempo e quindi ho deciso di fare un percorso diverso. Dovevo ottimizzare, dare un senso reale alla mia predisposizione naturale, quella del fare, occuparmi di scultura.
Nonostante il talento, quella di Jago non è stata una strada sempre in discesa. A volte si sono presentate sul percorso frenate e difficoltà. «Non ho mai potuto fermarmi, perché avrebbe significato morire. Ma la via che porta al raggiungimento di un obiettivo è fatta anche di cadute. Per me il fallimento non è qualcosa di negativo, è la certificazione di aver provato, è il risultato dell’agire», dice.
Fallire però non sempre è ammesso, in particolare nel nostro contesto culturale lo sbaglio è visto in un’accezione unicamente negativa. «Io invece ammiro chi nella vita ha fallito e si è rialzato, anche se a volte può essere traumatico», commenta lo scultore. «Per questo mi circondo di persone che hanno fallito, anche nel mio team, perché so che cadrò ancora e cadremo insieme».

(Credits: Jago)
Jago è uno scultore, ma è anche un imprenditore: produce, vende e crea opportunità di lavoro, una prerogativa indispensabile per un artista che si vuole aprire al mondo internazionale. «Secondo me, tutti gli imprenditori sono creativi perché fanno cose che prima non esistevano. Essere un artista imprenditore è bellissimo perché posso dare un significato al mio agire e sono indipendente, sono l’unico motore dei miei risultati. Devo tener sempre in conto, però, che a fine mese devo garantire ad altri uno stipendio» spiega.
I social in questo senso potrebbero avere un ruolo, ma per Jago rappresentano unicamente un modo per comunicare e instaurare un rapporto con il pubblico. «Mi fanno vedere con quasi un milione di occhi il mio lavoro».
Per me il fallimento non è qualcosa di negativo, è la certificazione di aver provato, è il risultato dell’agire.
Un uomo disperato, una nuova Pietà dei nostri tempi, che tiene in braccio il corpo inerme di una donna. In sottofondo dolore, urla, pianti. Poi il buio. Questo è uno degli ultimi post pubblicati sul profilo Instagram. E il riferimento alla disperazione causata dalla guerra è evidente. «Migranti, conflitti. Come posso sentirmi lontano? Partecipo a tutto questo e questo partecipa al mio lavoro», spiega. «L’arte, non solo quella che faccio io, ha la capacità di poter sintetizzare, essere trasversale, arrivare a tutti senza bisogno di spiegazioni. L’arte può fare questo perché è più forte di mille parole. Il suono di un bambino che piange. Cosa va spiegato rispetto a questo?»
La creatività rimane, insieme all’entusiasmo, la base del meccanismo creativo. Ma, se per molti lavori, l’intelligenza artificiale diventa o potrà diventare pericolosa, nella scultura questo rischio secondo Jago non esiste. «Anzi», dice, «io potrei avere un vantaggio perché quello che faccio diventerà ancora più raro. La scarsa capacità di produrre unicamente con l’apporto dell’uomo mi mette in una posizione molto positiva perché ciò che produco acquista sempre più valore essendo unico».
E se domani si spegne la luce che fai? A chi chiedi aiuto? Ormai la maggior parte delle azioni è diventata passiva e senza interazione. Bisogna tornare a fare cose.
Diverso, però, potrebbe essere il ragionamento per chi si approccia a questo mondo solo oggi perché è abituato fin da subito a delegare alcune attività all’intelligenza artificiale. Secondo lo scultore, chi studia nelle scuole in questi anni si può trovare a fare un percorso che in parte lo allontana dallo sviluppare una capacità manuale. In tal senso può essere pericoloso, perché si rinuncia all’opportunità di fare esperienza diretta e si diventa dipendenti da qualcosa che è esterno alla libera scelta dell’uomo. Si rischia di instaurare un rapporto di subordinazione con la tecnologia, abbandonando i benefici dell’apprendimento. «E se domani si spegne la luce che fai? A chi chiedi aiuto? Ormai la maggior parte delle azioni è diventata passiva e senza interazione. Bisogna tornare a fare cose».
Ma la vera forza della scultura e, in generale, dell’arte sta nel continuare a trasmettere emozioni, nella capacità di restare attuale, di muovere le coscienze anche dopo quattrocento anni. «Non so se ci riuscirò mai, probabilmente no. Ma riconosco il valore dei tanti maestri della tradizione che ci hanno lasciato opere d’arte che riescono a superare la prova del tempo. Si può trattare dell’oggi anche sapendo che si può continuare a parlare alle generazioni che verranno», dice l’artista.