Creatività e coraggio per una città resiliente
L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite prevede 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, dall’energia pulita e accessibile alla parità di genere, dall’industrializzazione equa al consumo e produzione responsabili, dalla lotta al cambiamento climatico alle città e comunità sostenibili. Trasformare il mondo, così profondamente cambiato dalla pandemia, è un imperativo etico ed economico che non può più essere ignorato o sottovalutato. Cambiare passo è possibile solo percorrendo sentieri non battuti, provando a modificare la struttura stessa del pensiero, il modo in cui guardiamo ai problemi e alle loro soluzioni. L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ci ha mostrato tutta l’inadeguatezza dell’attuale modello economico capitalista, concedendoci la rara e preziosa opportunità di poter ricominciare daccapo. Da dove ripartire, allora? Innanzitutto, per compiere questo passo (ragionato!) verso il domani, occorrono creatività, pensiero laterale e coraggio. Ingredienti questi, di cui tutti – governi, imprese, cittadini – devono dotarsi per agire concretamente e dare nuova forma al nostro mondo.
Nasce da questa urgenza, il talk di PHYD, organizzato lo scorso 19 marzo in occasione della Milano Digital Week da The Bravery Store e ELIS, dal titolo The Bravery and The (Sustainable) City, con Annalisa Galardi, fondatrice di The Bravery Store, Paola Miglio, esperta di comunicazione e collaboratrice della società di consulenza milanese, e Luciano De Propris, ingegnere ambientale e responsabile della divisione Open Innovation e Sustainability del Consorzio ELIS. Focus dell’evento, la città sostenibile o, come la chiama De Propris, la città resiliente, luogo di elezione delle trasformazioni e terreno primario di sperimentazione e innovazione digitale. Per comprendere meglio come questo cambiamento potrà concretizzarsi già nel presente, durante il talk sono stati raccontati tre principali pillar su cui questo rinnovamento si fonda, analizzando case business nazionali e internazionali, esempi di aziende virtuose che, al profitto come unico principio organizzatore, hanno preferito una mission ben differente. Come ha scritto il Global Web Index:
È chiaro che affrontare la sostenibilità non è più un’opzione, ma un dovere per qualsiasi marchio che cerchi di salvaguardare la propria attività e soddisfare le aspettative dei consumatori
Economia circolare, l’uso contro il possesso. Una società che consuma in modo frenetico è una società che spreca in modo incontrollato. Per questo molti brand, soprattutto nel settore del fashion, hanno scelto di cogliere questa spinta sostenibile. Ne sono un esempio, il brand Patagonia che già nel 2012 invitava i propri clienti a non acquistare i loro capi, ma a utilizzare più a lungo quelli già acquistati o a scambiarli con altri consumatori, e Adolfo Dominguez che nel 2019 e nel 2020 lancia due campagne social di grande successo (che gli valgono un aumento del fatturato delle vendite online del 70%) con due slogan di forte impatto: «Sostenibilità è comprare una gonna che ti dura 10 anni» e «Pensa e poi compra». E non solo moda, negli esempi che Paola Miglio racconta, ci sono casi di startup che hanno fatto dell’economia circolare e della sharing economy il loro core business, come l’americana Tulu, il cui obiettivo è cambiare il modo in cui gli abitanti delle grandi città utilizzano e consumano i prodotti per la casa, come ad esempio aspirapolvere o stampanti, rendendoli fruibili su richiesta, riducendo così gli sprechi e ottimizzandone l’utilizzo.
[legacy-picture caption=”Esperta di comunicazione e collaboratrice di The Bravery Store” image=”e9f6a030-6cd5-40b5-b233-f2e0e6e05de8″ align=””]Co-creazione o eco co-design. Di questo secondo pillar parla Luciano De Propris, riportando l’esperienza positiva del Consorzio ELIS e del progetto per la mobilità sostenibile Green Hub, nato dalla collaborazione tra aziende con know-how e specializzazioni diverse, come Ferrovie dello Stato, Sirti e la startup Verde 21. Un esempio di eccellenza italiana e di collaborazione virtuosa per creare resilient city e migliorare la vita delle persone che la abitano. Nel futuro, per rispondere a un fabbisogno tangibile diventerà sempre più necessario affidarsi a un’intelligenza collettiva, a un disegno comune e comunitario multistakeholder.
Carbon footprint o impatto ambientale. Il terzo pilastro riguarda il controllo delle emissioni provocate dal processo produttivo e dai conseguenti comportamenti di acquisto e consumo. Secondo dati Symbola del 2019 sono 345mila le imprese italiane che investono nella cosìddetta green economy, 207mila, invece, hanno già investito su sostenibilità ed efficienza, con un impatto positivo sul business, soprattutto nell’export. E sono moltissime le organizzazioni che hanno deciso di assumersi la responsabilità di ridurre l’impatto negativo del proprio ciclo produttivo sull’ambiente. È il caso di Unilever che ha dichiarato che sarà a impatto zero entro il 2039 o Coca Cola, impegnata a ridurre le proprie emissioni del 25% entro il 2025. Non solo, ma sempre più aziende sono intenzionate a creare scelte di acquisto responsabili, incoraggiando in questo modo i propri consumatori ad adottare comportamenti più sostenibili ed etici.
Nella costruzione di un futuro inclusivo, equo e rispettoso dell’ambiente e delle persone, per citare Tom Szaky, CEO di TerraCycle, «tutti devono avere la possibilità di giocare».
Per approfondire il tema e per ascoltare il talk nella sua interezza, è sufficiente registrarsi sul sito PHYD.