Lavoro di gruppo? Sì, ma a volte è meglio lavorare da soli
L’unione fa la forza, almeno in campo scientifico. Secondo diversi studi, le performance raggiungibili da un gruppo sono superiori rispetto a quelle toccate da un singolo individuo. Per dimostrarlo, un articolo apparso su Science ha preso in esame 9,9 milioni di pubblicazioni e 2,1 milioni di brevetti registrati negli ultimi cinque anni: i team di ricerca sono maggiormente citati e si citano più spesso fra loro impattando sull’intero settore di cui si occupano. Lecito quindi chiedersi che fine abbia fatto il ricercatore solitario. A rivalutare il suo approccio ci ha pensato un’analisi della Harvard Business School dal titolo Revisiting the Role of Collaboration in Creating Breakthrough Inventions.
Secondo i due autori della ricerca, Manuel Sosa e Jurgen Mihm, a determinare se il risultato raggiungibile da un team sia migliore di quello di un individuo è la struttura dell’invenzione, detto diversamente: la capacità del progetto stesso di essere scomposto in moduli separabili. Per avvalorare la propria teoria, i due ricercatori hanno analizzato 1.630.970 utility patent (consegnate per innovazioni di sostanza, come prodotti, processi o macchinari) e 198.265 design patent (che certificano un’innovazione di forma, come la configurazione visuale o l’ornamento di un prodotto) depositate, fra il 1985 e il 2009, nell’ufficio brevetti Usa. Da questi numeri è stata poi estrapolata la quota delle invenzioni più significative, ossia quelle che vengono citate fra il 5% delle migliori ricerche nella propria classe di appartenenza, e divise fra contributi di gruppo e contenuti individuali. Alla fine, similarmente ad altre precedenti ricerche, è emerso che le utility patent risultano più significative se realizzate da un team di sviluppatori. Un vantaggio che scompare totalmente quando si considerano le design patent, settore in cui gruppi e individui si pareggiano.
Immaginate un team intento a creare un nuovo dipinto. È possible, ma lo sforzo richiesto per coordinare e comunicare le idee a tutti i membri risulterebbe sempre più intensivo da un punto di vista di risorse e tempo piuttosto che l’approccio di un inventore solitario
Da dove deriva questa perdita di efficacia da parte dei team? Sostanzialmente dal "metodo" divide et impera con cui si approccia un lavoro di gruppo. Prodotti iconici come la bottiglia di Coca-Cola, l’iPhone o l’ultimo paio di occhiali colpiscono il pubblico e gli utenti per la loro natura olistica: sebbene composti da elementi singoli, quest’ultimi sono legati da una relazione di interdipendenza in cui il tutto è maggiore della somma delle parti. Dettaglio, quest’ultimo, che mal si adatta a una visione condivisa, allargata. «Immaginate un team intento a creare un nuovo dipinto. È possible, ma lo sforzo richiesto per coordinare e comunicare le idee a tutti i membri risulterebbe sempre più intensivo da un punto di vista di risorse e tempo piuttosto che l’approccio di un inventore solitario. Quest’ultimo può crearsi il suo schema mentale, vagliare e scartare possibilità con più agilità dal momento che non richiedono il supporto di altri», affermano gli autori dello studio.
L’esempio migliore, in questo senso, è quello del motore a scoppio di Karl Benz. Per comporlo ci sono sicuramente voluti dei pezzi singoli ma così interdipendenti l’uno dall’altro che trovavano senso solo nella complessa struttura immaginata dal suo stesso ideatore e non potevano essere scambiati o usati singolarmente.
Tutto questo, tuttavia, non significa che il lavoro di gruppo non sia fautore di progressi anche di fronte a progetti olistici. Piuttosto significa che la collaborazione rappresenta un acceleratore allo sviluppo delle conoscenze e delle capacità che il singolo può mettere in campo per risolvere un problema. Insomma, più che far parte di un gruppo, quello che conta ai fini di una scoperta o di un’invenzione è la circolazione delle informazioni che aumentano (e fanno lievitare i costi di gestione) al crescere della complessità del problema.