Come dovrà cambiare la relazione tra imprese e lavoratori dopo il Coronavirus
La crisi sanitaria ha riportato alla luce molte incongruenze e ritardi dell’Italia sul fronte del lavoro: smartworking, digitalizzazione, questioni di produttività, divario Nord-Sud e non solo. Molti sono i nodi da sciogliere, ma alla ripartenza sembra che siano più le vecchie logiche a dettare le linee della ripresa, più che vere svolte rivoluzionarie.
Per questo l’editore Franco Angeli ha raccolto le voci di diversi esperti nel volume “Basta chiacchiere! Un nuovo mondo del lavoro”, per individuare le questioni centrali e capire le direzioni di sviluppo del mondo del lavoro del futuro. Tra i capitoli si trovano per esempio il focus di Marco Bentivogli su sindacati “smart” e digitalizzazione, il tema dell’occupazione femminile affrontato da Paola Profeta, il contributo fondamentale dei giovani nelle parole di Alessandro Rosina, le imprese familiari come “spina dorsale dell’Italia” raccontate da Elena Zambon e l’economia e il lavoro verde descritti da Ermete Realacci.
La premessa fondamentale è che quella posta dal Covid-19 è sicuramente una sfida complicata, ma costituisce anche l’apertura di un nuovo terreno di gioco. «Abbiamo voluto pubblicare questo libro per sfuggire alle semplificazioni di chi sostiene che il lavoro nel mondo si sta riducendo, che è una maledizione o che è addirittura morto, corrompendo i significati e le parole usate da coloro che hanno teorizzato un’improbabile “fine del lavoro”. Il lavoro c’è, nel mondo, cambia le forme, il valore e la qualità e si sta trasformando, e rappresenta la vera priorità per le sfide dei governi e delle classi dirigenti in tutto il mondo», ha scritto il curatore Walter Passerini nella sua introduzione.
Centrale per ridisegnare il futuro, il capitolo curato da Luca Solari, docente di organizzazione aziendale all’Università degli Studi di Milano, sul tema della relazione in evoluzione tra lavoratore e impresa. Il capitolo si incentra su quattro proposizioni, quattro grandi verità con cui bisogna fare i conti. La prima è che “le distinzioni tra strategia deliberata ed emergente e quella tra strategia e tattica sono inutili”: standardizzazione e strutturazione non rappresentano più la base del successo delle aziende, scrive il professore, piuttosto in un mondo sempre più liquido e mobile i manager devono «cercare soluzioni più semplici e aumentare il livello interno di delega non solo operativa», «rendendo sempre più trasparente il mercato del lavoro».
Con la pandemia abbiamo visto che ci si può gestire tramite un coordinamento orizzontale. Bisognerà farci i conti, perché sarà difficile dire alle persone che bisogna tornare indietro
Questo è evidente soprattutto per temi come lo smartworking, che la pandemia ha accelerato fortemente. «Questo periodo, con tutti i limiti che ha, ci ha evidenziato alcuni elementi di messa in discussione degli elementi classici del management: nel 2019 sembrava impossibile mandare a lavorare a distanza un lavoratore, ma oggi gran parte dei dati evidenziano che la produttività delle organizzazioni è confermata», spiega Solari. «L’organizzazione che avevamo conosciuto come qualcosa che avveniva in un luogo oggi è messa in discussione. E poi c’è la questione del potere: a lungo abbiamo vissuto secondo una visione implicita per cui le persone non possono far funzionare un’organizzazione e lavorare a meno che non ci sia qualcuno che effettua un coordinamento, un controllo e una supervisione. Con la pandemia invece abbiamo visto che ci si può gestire tramite un coordinamento orizzontale. Con queste novità bisognerà farci i conti, perché sarà difficile dire alle persone che bisogna tornare indietro».
La seconda proposizione, infatti, è che “le organizzazioni diventeranno architetture organizzative di attori indipendenti, coordinati da assetti contrattuali molteplici”. Secondo Solari, la nuova configurazione della relazione tra persone e imprese non sarà più caratterizzata dal potere gerarchico e dal controllo, ma costruita «attorno alle abilità di collegamento di persone e risorse tramite azioni di innovazione continua». In questo senso, i manager «saranno figure molto aperte a ciò che circonda le organizzazioni e opereranno come perni attorno ai quali costruire organizzazioni mutevoli e flessibili».
Al momento, a fronte di qualche grande innovatore, questo è un futuro che per larga misura è ancora da costruire. Basti pensare alle difficoltà poste dal Coronavirus: se da un lato la pandemia ha portato molte grandi aziende a rinunciare agli uffici anche molto oltre la fine del lockdown, d’altra parte strumenti come il lavoro da remoto hanno dato ai lavoratori un empowerment solo relativo, sollevando piuttosto altre difficoltà, come l’annullamento dei confini tra il tempo di vita e il tempo di lavoro.
È agghiacciante che alcuni manager oggi si preoccupino che le persone lavorino da casa: questo succede perché esiste ancora l’idea che far lavorare le persone voglia dire possederne il tempo
Per Solari, per evitare che queste distorsioni proseguano bisogna cambiare proprio i termini del discorso. «Quella attuale è una transizione non dissimile da quella dell’industrializzazione, che anche in quel caso aveva avuto conseguenze drammatiche, passando da un lavoro artigianale a un modello di lavoro non regolato. Finché l’interpretazione viene lasciata a chi ha costruito questo assetto, però, è difficile che si possa interpretare in modo diverso. Oggi abbiamo bisogno di nuove modalità, a partire da dibattiti come quello sul diritto di disconnessione, che dovrà diventare un elemento determinante tra i diritti fondamentali delle persone», spiega Solari. «La distribuzione geografica del lavoro ha i suoi risvolti negativi in termini di anonimizzazione, ma d’altra parte apre un varco per altre forme di socializzazione, riposizionando i baricentri delle persone. È agghiacciante che alcuni manager oggi si preoccupino che le persone lavorino da casa: questo succede perché esiste ancora l’idea che far lavorare le persone voglia dire possederne il tempo. Se questo è stato vero in passato, però, è difficile che possa continuare a esserlo anche in futuro».
In questo senso, anche per i lavoratori autonomi e i freelance della gig economy, che secondo Solari sono destinati ad aumentare e anzi ad affermarsi sempre di più anche all’interno delle stesse aziende, passando dall’essere “dipendenti” al diventare “collaboratori”, bisognerà inevitabilmente trovare nuovi modelli per rendere il nuovo mondo del lavoro sostenibile ed evitare una deriva di atomizzazione, in cui le persone sono formalmente libere e a capo di se stesse, ma al contempo soggette a una mancanza di tutele sempre più inaccettabile.
Per Solari, sempre più fondamentale sarà dunque sia il superamento dell’opacità delle società sul trattamento dei lavoratori, sia l’adozione da parte dei cittadini e degli utilizzatori dei servizi di un consumo etico: se il prezzo di un prodotto o servizio è troppo basso, bisogna essere consapevoli che lì si nascondono forme di sfruttamento. «Il modello di lavoro tradizionale protetto che abbiamo visto fino ad oggi ha prodotto un dualismo tra il lavoratore riconosciuto e tutelato e quello che queste protezioni non ce le ha», dice Solari. «Nel nuovo modello in cui ci accingiamo a entrare dovremo quindi trovare nuovi modi per risolvere questi dualismi, per arrivare a un modello di diritti di base riconosciuti a tutti. Nel 2020, per esempio, è inaccettabile che l’accesso alla protezione per infortuni sia lasciato alla natura del rapporto di lavoro».
La responsabilità sociale e l’apertura verso l’esterno sono destinate anche a cambiare il set valoriale delle organizzazioni
La terza proposizione illustrata da Solari è che “le organizzazioni si configureranno come assetti relativamente stabili di rapporti molteplici, nei quali il ruolo tradizionale della proprietà formale sarà sempre meno rilevante”: il dinamismo e il coinvolgimento di un maggior numero di stakeholder porterà le imprese a essere sempre più orizzontali e sempre meno verticali, con il risultato che gli stessi assetti di proprietà saranno rimessi in discussione, rendendo i processi decisionali molto più complessi ma anche equi.
Nel contesto della pandemia, nel nostro Paese la ripresa del lavoro è andata molto nella direzione di una tutela differenziata: da un lato il contributo di 600 euro alle partite Iva, dall’altro il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione per mesi ai dipendenti delle aziende. «Sarebbe ingeneroso dire che il blocco dei licenziamenti è stato del tutto sbagliato, visti i tempi, ma bisognerà vedere cosa succederà quando il blocco verrà rimosso», dice Solari. «Le organizzazioni prenderanno le decisioni che avrebbero preso subito, e noi non possiamo pensare con i soldi del Next Generation EU di mantenere lo status quo. Qualcuno però sa qual è la stima di disoccupazione indotta quando questa protezione verrà tolta? Sa come verrà distribuita in termini geografici e professionali? Ha soluzioni per quelli che verranno espulsi dal mercato del lavoro? La risposta è sempre la stessa: non esistono dati puntuali, e quando esistono non rientrano nelle politiche pubbliche».
Sebbene le conseguenze del coronavirus sul mondo del lavoro siano ancora per buona parte imprevedibili, una visione per il futuro dovrà comunque prevedere le aziende come attori fondamentali del cambiamento. L’ultima proposizione di Solari è che “le organizzazioni dovranno integrare la funzione sociale nel loro sistema di obiettivi”. «La crescente importanza dei movimenti sociali condizionerà ulteriormente sia i modelli di corporate governance sia il ruolo manageriale», spiega il professore, rendendo «sempre più difficile quell’azione di scudo e di isolamento dall’ambiente esterno, che è stata una delle proprietà che ha assicurato stabilità alle imprese di stampo taylor-fordista». La responsabilità sociale e l’apertura verso l’esterno, insomma, sono destinate anche a cambiare il set valoriale delle organizzazioni.
L’esempio della Business roundtable, il manifesto di oltre cento capi d’azienda che hanno dichiarato la necessità di perseguire altri fini prima del profitto, è un esempio topico. «Si tratta di una dichiarazione dal valore simbolico più che pratico, perché ancora oggi gran parte dei meccanismi di investimento dipendono dal profitto. Ma quanto più le persone saranno coscienti e avranno un diritto di informazione più pieno sulle condizioni di ciò che utilizzano, tanto più velocemente le cose cambieranno», dice Solari.
Infine, se le aziende saranno attori primari di questo cambiamento, anche gli stessi studenti e lavoratori hanno la responsabilità di cavalcare il cambiamento: «Mentre in passato il tema era "cosa voglio fare", adesso è più efficace chiedersi che cosa ho di unico e che cosa mi può rendere più felice. Alcune competenze iperspecialistiche alcuni le conosceranno molto bene, ma per tutti si tratta di sviluppare la propria modalità di gestione delle comunicazioni e delle relazioni. Infine, il terzo elemento è pensare sempre al fatto che ogni passaggio di carriera può essere diverso, nella traccia di una boundaryless career. Ovvero una carriera non eterodiretta, ma costruita direttamente dal singolo».