Come insegnare ai bambini a riconoscere le fake news
In un mondo affetto da infodemia, ovvero dalla diffusione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta anche inaccurate, che rendono difficile orientarsi, è sempre più importante dotarsi degli strumenti giusti per riconoscere le notizie false da quelle di cui ci si può fidare. Ed è importante imparare a farlo sin da piccoli per sviluppare un pensiero critico rispetto alle informazioni che passano sotto i nostri occhi.
Con un approccio chiaro e divertente ma rigoroso, il libro “Chi ha rubato la marmellata?” (Corraini Edizioni) offre esercizi, esempi e dati destinati ai più piccoli per imparare a navigare nel caotico mondo della comunicazione e dell’informazione. Il risultato finale del libro è a metà strada tra un manuale e un fumetto per non fermarsi all’apparenza, ricercando le fonti e districandosi tra notizie e fake news.
«Il libro nasce dall’idea che sono cambiate tutte le regole d’ingaggio dell’informazione, soprattutto quantità e velocità, e bisognava iniziare a dare ai più giovani degli strumenti indispensabili», dice Andrea Coccia, co-fondatore del progetto giornalistico Slow News e autore dei testi di “Chi ha rubato la marmellata?”, che ha collaborato con Maicol&Mirco, autore invece delle illustrazioni del testo. «Io mi occupo da tanti anni di informazione e, visto che con gli adulti si fa una fatica del diavolo, ci siamo detti: proviamo a prenderli da piccoli».
Nonostante sia destinato a lettori giovanissimi, tra i 10 e i 12 anni, il libro non teme di affrontare concetti che potrebbero sembrare difficili. Coccia ha provato a rispondere a domande come “cosa vuol dire infodemia?”, “quante verità esistono?”, “come provare a individuare le informazioni fuorvianti, se non proprio inventate di sana pianta?”.
Un lavoro certosino e meticoloso, tra scelta del linguaggio, quantità di nozioni da fornire, necessità di mescolare tutto con esercizi e interazione, con l’aiuto indispensabile delle immagini e dei disegni che aiutano a memorizzare e a capire.
Anche chi pensa di avere tutti gli strumenti per leggere le informazioni a disposizione può essere vulnerabile.
«La sfida è stata raccontare una cosa complessa senza banalizzare, semmai semplificandola. Raccontiamo cos’è un’infodemia, o in quanti modi si può dire una menzogna, o come si fa a verificare un’informazione, ma anche cosa siano le fonti e come trattarle. Questo per stimolare i giovanissimi ad abituarsi alla complessità», spiega Coccia, aggiungendo però che il destinatario non sono solo i bambini.
«Il libro è pensato come un percorso da fare con i genitori, in modo da trasmettere qualcosa anche a loro mentre giocano con i figli, perché non ci dimentichiamo che anche chi pensa di avere tutti gli strumenti per leggere le informazioni a disposizione può essere vulnerabile», spiega il giornalista.
L’obiettivo finale però non è fornire risposte giuste, verità indiscutibili, certezze assolute. Semmai è aumentare le domande, stimolare la curiosità, aiutare a mettere in discussione tutto ciò che si può, con la consapevolezza che la realtà che abbiamo davanti ai nostri occhi può essere vista sempre con angolazioni diverse.
«La parte più complicata è stata capire da dove partire», racconta Coccia. «Quando si parla ai bambini non si può dare per scontato quasi nulla. Ho immaginato questo lavoro come una costruzione, aggiungendo un mattoncino dietro l’altro: era indispensabile che ogni pezzo nuovo avesse basi solide su cui reggersi per essere davvero comprensibile. A questo va aggiunto l’uso di un linguaggio accessibile, ma che non rendesse banali concetti in realtà molto complessi».
Il concetto che deve passare è che una cosa vera dieci anni fa, o a tremila chilometri da qui, magari non è altrettanto vera qui e ora.
In ogni momento, su ogni argomento, possono convivere molte verità diverse: la verità storica, la verità scientifica, la verità giornalistica. Questa stessa parola, “verità”, va intesa non come uno stato delle cose, ma un processo, un flusso in costante movimento che può cambiare nel tempo e nei luoghi.
«Il concetto che deve passare è che una cosa vera dieci anni fa, o a tremila chilometri da qui, magari non è altrettanto vera qui e ora», dice Coccia. «Nel libro, ad esempio, abbiamo raccontato la parabola che ha vissuto il concetto di verità nei secoli: quindi il passaggio da una verità oggettiva e assoluta, indiscutibile, quella pre-scientifica, a una verità oggettiva, che è quella della scienza, che è sempre e comunque relativa. Fino al passaggio ultimo in cui la verità è rimasta relativa ma è diventata soggettiva: se la scienza usava strumenti in qualche modo condivisi dalla comunità scientifica, quindi oggettivi, nel nostro presente cambia da persona a persona, e questo fa in modo che possano coesistere più verità».
Lavorare a un progetto di questo tipo, per un giornalista abituato a scrivere e a raccontare la realtà per gli adulti, è stato fonte di apprendimento. È lo stesso Andrea Coccia a dire che questo libro gli ha dato molto: «Ho imparato e cristallizzato cose che già sapevo o pensavo di sapere: ho dovuto dare a quella conoscenza un ordine più naturale e più semplice. Mi è stato utile anche per sintetizzare una grande mole di nozioni, conoscenze e informazioni che avevo accumulato in anni di lavoro e mi ha insegnato a spiegarle meglio, a sintetizzarle meglio e a maneggiare con più accuratezza le basi dell’informazione».