La nuova iperidentità tra reale e virtuale
C’è chi l’ha definita «on life». Una vita in virtuale, connessa al mondo digitale: secondo lo studio Digital del 2019, trascorriamo in media 6 ore e 42 minuti connessi alla rete, di cui 2 ore e 15 minuti attraverso dispositivi mobili. In un anno sono quasi 100 i giorni che passiamo davanti allo schermo di un computer o dello smartphone, quasi il 27 per cento del tempo a nostra disposizione. E a sfruttare maggiormente la connessione sono soprattutto i più giovani, come Millennial e Gen-Z, che mediamente passano al telefono circa 4 ore al giorno e, a scendere, tutti gli altri. La Gen X, quelli nati tra il 1965 e il 1980, trascorrono circa 3 ore davanti a uno schermo mentre i Boomers poco più di 2 ore.
The New Normal
Non deve perciò sorprendere che ormai sia quasi diventata un’abitudine consolidata quella di cercare legami nel mondo virtuale, dove ormai vige una sorta di universo parallelo. Lo evidenziano in parte i numeri delle applicazioni di dating che, soltanto negli Stati Uniti, hanno registrato un balzo del 12,6 per cento di utenti attivi nel quarto trimestre 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un segnale di come ormai il mondo, e anche noi stessi, sia decisamente mutato.
«Ormai tutti noi abbiamo un’identità digitale, un’iperidentità. È la nostra espressione immateriale che vive in un altro mondo, quello tecnologico, dove la nostra personalità si compone di like e di condivisioni», dichiara Elena Croci, esperta in comunicazione e marketing culturale, imprenditrice, docente universitaria, capitano dell’Esercito Italiano e scrittrice. È suo il libro “Iperidentità. Tra reale e virtuale: i gesti e il nuovo marketing della contemporaneità”, edito da Franco Angeli e uscito a marzo 2021.
Come si legge nel volume, secondo la professoressa Croci l’utilizzo compulsivo di Internet ha un suo perché. «Ormai il concetto di famiglia tradizionale si sta sfaldando e le persone tendono a cercare sempre più legami nel mondo virtuale, dove sopravvive un’altra parte di noi. Con lo scomparire delle buone relazioni, dal vivo l’individuo diventa difatti responsabile di se stesso e delle sue idee, che poi riporta su Internet». Il rischio però è che si abusi del mondo virtuale, perdendo così di vista il mondo reale. «Non dobbiamo nasconderci: c’è il rischio di una grande bulimia di tecnologia. In fondo si parla tanto di transizione economica e di transizione digitale ma c’è anche una trasformazione virtuale che non si può trascurare e che la pandemia ha sicuramente aggravato», rimarca Croci.
Il Covid e i suoi effetti
In un panorama in profondo mutamento, ha certamente inciso anche la pandemia da Covid-19 che ha profondamente cambiato le nostre interazioni sociali. Secondo lo studio Digital 2021, pubblicato a gennaio, sono incrementate di 4 punti percentuali le persone che dichiarano di aver partecipato attivamente al dialogo online, passando dall’81 per cento del 2020 all’85 di quest’anno.
«È certamente vero, la pandemia ha bloccato le interazioni sociali dal vivo, ma in un certo senso ci ha permesso di riscoprire altro», rimarca Croci. Un esempio è il rapporto con la natura. «Pensiamo a quanta gente ha riscoperto il proprio pollice verde e ha iniziato a curare le piante nel proprio balcone o giardino o a quanti hanno colto l’occasione per lasciare la città e trasferirsi magari in una casa in campagna. Questo riscoperto legame con la natura è un modo di reagire alla pandemia, un segno che ciò che ci mancava di più era il senso di bellezza inteso come richiamo antico verso la natura. In fondo il verde ci dà un equilibrio interiore che nessuna macchina, nessuna tecnologia ci può dare», sostiene Croci. E probabilmente la pandemia può essere anche un modo per riscoprire il nostro modo di relazionarci. «Nel libro c’è una metafora che utilizzo, quella del rizoma. In natura questo fusto delle piante erbacee, dotato di serbatoio di acqua, tende ad allungarsi in orizzontale, cercando affinità nelle sue vicinanze, anziché in verticale. Ecco, questo può essere un modello di sviluppo per le nostre relazioni di domani».
Tanto benessere, poca felicità
Quali sono perciò i cambiamenti che dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro? «Le tendenze che osserviamo oggi sono probabilmente irreversibili. Tuttavia, un dettaglio si può rilevare: l’uomo continuerà sempre a cercare il benessere, che è una cosa ben diversa dalla felicità. Se quest’ultima implica scelte soggettive, la prima invece sembra quasi generalizzata. Bisogna fare attenzione a cercare il benessere dentro la tecnologia perché in realtà viene da dentro di noi», dichiara Croci.
Un errore che pregiudica anche la ricerca della felicità. «La tendenza al benessere rende quasi più timide le persone nella loro ricerca verso la felicità, che spesso si raggiunge solo attraverso momenti di profonda consapevolezza», sottolinea Croci. Ciò che colpisce è soprattutto l’approccio dei più giovani. «È innegabile il loro atteggiamento più apatico, molto legato però alla razionalità. Loro, infatti, sono quelli che usano maggiormente la neurocorteccia, la parte più analitica del nostro cervello costituita da pura razionalità; per questo hanno spesso anche una soglia del sentimento molto resistente. Resistente alle sofferenze. Sono loro che ci mostrano come siamo destinati a cambiare ancora, a evolverci insieme alla tecnologia: le soglie del nostro futuro sono ancora tutte da scoprire».