Ragazzi intraprendenti a bordo del Titanic


Cuochi e chef, camerieri e ragazzi di sala. Sono un team. Il team messo insieme da Luigi Gatti, un intraprendente giovanotto di Montalto Pavese, dove era nato trentasette anni prima. Il tempo: siamo nell’aprile del 1912. Il luogo: il Titanic, che pochi giorni dopo affonderà.

La storia di Gatti e dei suo collaboratori la racconta Luigi Ballerini, in Un sogno sull'oceano (San Paolo, 2019). Ed è una storia che intreccia vicende di emigrazione e di lavoro, di impresa e di integrazione, di intelligenza e di sfida.

[legacy-picture caption=”” image=”8fe48b45-b3b4-47c1-a057-8bcdda8eee13″ align=””]

Gatti entrò giovanissimo nel settore della ristorazione. Dalla Lombardia si era trasferito a Londra, prima come lavapiatti, poi gestendo due ristoranti della catena Ritz. Il suo successo lo porta prima nel settore della ristorazione dei Giochi Olimpici, infine sul transatlantico che trascinerà sul fondo dell’oceano 1500 vite, tra cui la sua.

Che cosa ci dice, oggi, la vicenda di Gatti? Psicoterapeuta, scrittore, autore fra i più apprezzati nel mondo della letteratura per ragazzi, Ballerini ce lo spiega così:

[legacy-picture caption=”Un disegno del Titanic” image=”58897dec-9893-42e0-8b43-402bfc23dd00″ align=”right”]

«Gatti è un immigrato italiano, si è dato da fare col suo lavoro per raggiungere una posizione. Raggiunta, Gatti non si ferma e non si gode il traguardo, ma letteralmente restituisce agli altri quello che ha avuto. Come lo fa? Assume altri giovani italiani, preparatissimi, bravissimi, desiderosi di costruirsi un futuro. Ma di costruirlo assieme, con una squadra. Oltre ad essere una storia straordinaria in sé, quella di Fabrizio Gatti è una storia esemplare per tanti motivi».

La vicenda del Titanic è stata scritta e riscritta mille volte…
Ma si può scrivere una storia con un punto di vista diverso. Non avrei mai pensato di narrare anche io una storia del Titanic se non avessi incontrato la storia di Luigi Gatti. Lui mi ha offerto la possibilità di raccontare quella vicenda da un punto di vista diverso. Italiano, partito con una valigia di cartone, Gatti arriva a Londra e trova un impiego come lavapiatti. Cresce, divente così potente e ricco da essere il proprietario dei due ristoranti più rinomati di Londra…

Diventa una celebrità…
Proprio come gli chef di oggi. E gli americani lo vogliono come maître del ristorante sul Titanic. Pensiamo a un fatto per renderci conto dell'importanza: il biglietto per la traversata inaugurale costava un equivalente in euro 89mila euro. Anche tra i viaggiatori c'erano differenze e, per i viaggiatori super vip c'era un ristorante super esclusivo a pagamento. Era il ristorante di Gatti. Gatti era così potente e rinomato che per accettare l'incarico dettò due condizioni. Prima condizione: decidere il menù. E il menù era davvero particolare, prevedeva prodotti italiani (pasta di Gragnano, forme di gorgonzola, olii locali) e trenta forme di parmigiano reggiano, assicurate con American Express…

E la seconda condizione dettata da Gatti?
Gatti doveva scegliere direttamente il personale.

Andrebbe studiato nei corsi di leadership…
Esattamente. Gatti scelse essenzialmente italiani e qualche spagnolo. Mi sono imbattuto così nella storia di Ugo Banfi, 24 anni, per il quale Gatti ha fatto letteralmente carte false pur di averlo a bordo. Consideriamo che per lavorare come maître in un ristorante bisognava aver compiuto 25 anni. Gatti allora va al consolato italiano a Londra e gli procura un falso certificato di nascita.

Nei primi del Novecento, tanti giovani italiani si spostavano, emigravano, viaggiavano. Non viaggiavano per viaggiare. Non si muovevano da sprovveduti. Si muovevano da competenti e da protagonisti. Conoscevano due, tre, cinque, sette lingue. Le avevano studiate cogliendo l'occasione, imparando mentre lavoravano. Quei giovani erano intraprendenti. Possiamo e dobbiamo imparare da loro

Perché ha voluto un ragazzo di 24 anni a capo di un'impresa tanto carica di responsabilità?
Perché questo ventiquattrenne parlava sette lingue. L'intraprendenza di questi ragazzi, sulla carta poco più che analfabeti, nella realtà dotati di quelle che oggi chiameremmo soft skills, è una storia che andava e va raccontata…

Raccontando il Titanic dalle cucine, ossia partendo dal lavoro…
Un lavoro che era intrapresa e capacità di creare futuro. Nel 1912 ci si muoveva, ci si spostava, ci si dava da fare. La storia di un altro giovane, Italo, è illuminante. Italo aveva sentito che a Londra facevano un colloquio di lavoro per assumere camerieri su una nuova nave, e andò. Partire dall'Italia per andare a Londra – senza i mezzi di comunicazione perché girava la voce che c'era possibilità di lavoro significava crederci. Crederci davvero.

[legacy-picture caption=”” image=”86ceacad-1275-4fce-8014-7b55f2db5e63″ align=”left”]

Sorge un dubbio: Gatti scelse quei giovani, solo perché erano suoi connazionali?
No, li ha voluti perché erano bravi e avevano, secondo lui, il desiderio di diventare ancora più bravi. C'era un'idea di crescita, di scuola, di carriera dietro la sua scelta. Sapeva che volevano imparare e lui voleva farli imparare.

Come si conclude la vicenda?
A Gatti venne data la possibilità di salvarsi, salendo su una scialuppa di salvataggio. Non salì. Un uomo partito come lavapiatti, diventato un grande imprenditore della ristorazione, sceglie di non salire. Doveva restare con i suoi ragazzi. Insieme fino alla fine. Se volessimo trarre una morale, oggi, partendo da questa vicenda direi che dovremmo riflettere su come questi ragazzi si spostavano, emigravano, viaggiavano. Non viaggiavano per viaggiare. Non si muovevano da sprovveduti. Si muovevano da competenti e da protagonisti. Conoscevano due, tre, cinque, sette lingue. Le avevano studiate cogliendo l'occasione, imparando mentre lavoravano. Quei giovani erano intraprendenti. Possiamo e dobbiamo imparare da loro.

Di |2024-07-15T10:05:40+01:00Ottobre 18th, 2019|Human Capital, MF|0 Commenti
Torna in cima