Dal cachemire alle moto: mappa delle corporate university d’Italia
La prima fu General Electrics, che nel 1956 aprì il John Werch Leadership Development Centre. Poi vennero Walt Disney e Motorola: era il 1981 quando aprirono le prime vere Corporate University della storia. Da allora i campus dentro le aziende sono cresciuti, al punto che negli Sati Uniti nel 2015 se ne contavano più di 4mila. In Europa sono 218, fra cui la storica McDonald’s Hamburger University, fondata nel 1961 in Illinois e poi diffusasi anche a Londra e a Monaco di Baviera. E in Italia? Anche da noi le Academy aziendali hanno preso piede, cambiando pelle negli anni: il loro obiettivo oggi non è tanto quello di insegnare il lavoro ai giovani o ai neo-assunti, quanto quello di creare le condizioni per la diffusione delle conoscenze proprie dell’azienda e di affrontare la sfida quotidiana dell’innovazione.
Petrolio e rammendo
Il Rapporto sul mercato delle Corporate University in Italia, realizzato nel 2015 da Assoknowledge e Università La Sapienza, contava 40 Corporate University in Italia, dalla A di Angelini alla V di Vodafone, con una prevalenza nel settore assicurativo e bancario: il 67% di esse è stato fondato dopo il 2005, in sostanza in anni di crisi, come a dire che la formazione tailor made è la risposta per soddisfare le nuove esigenze del mercato.
La più nota delle Corporate University italiane è la Eni Corporate University (ECU), costituita nell’ottobre del 2001 accorpando le varie strutture aziendali dedicate alla formazione: i contenuti spaziano dalla perforazione alla negoziazione internazionale, dalle energie rinnovabili alla leadership. Il suo embrione è la storica Scuola Enrico Mattei, nata nel 1957 come Scuola di Studi Superiori sugli Idrocarburi, una business school assolutamente originale per l'epoca, che negli anni si è trasformata in un Master in Management ed Economia dell’Energia e dell’Ambiente: in 60 anni ha formato circa 2.900 studenti provenienti da 110 Paesi di tutti e cinque i continenti. Negli ultimi anni, in considerazione del fatto che le persone dell'azienda sono distribuite worldwide, si è molto puntato sul distance-learning, tanto che il MIP – la business school del Politecnico di Milano – nel 2016 ha assegnato a ECU l'HR Innovation Award nell'ambito della formazione. In più c'è una Corporate Coaching Academy che eroga fino a un centinaio di interventi di coaching l'anno.
Ma abbiamo anche l’Università del Caffè di Illy, fondata nel 1999, il Wellness Institute di Technogym, la Mediolanum Corporate University, il Ferrero Learning Lab, il Barilla Laboratory for Knowledge & Innovation, la HerAcademy del Gruppo Hera, nonché l’affascinante Scuola dei Mestieri di Solomeo ideata da Brunello Cucinelli: in questo piccolo borgo di 500 abitanti, in provincia di Perugia, i giovani imparano dai maestri artigiani l’arte della sartoria, del rimaglio e del rammendo. L’ultima nata è quella di Poste Italiane, nel 2014.
Le Corporate University erogano una media di 160 ore di formazione superiore pro capite, con un budget che nel 43% dei casi sta fra 1 e 5 milioni di euro. Tutti dati che dicono della volontà delle aziende italiane di investire nella formazione come scelta strategica, strutturandosi per garantire una soluzione che duri nel tempo.
Knowledge sharing
Enrico Cerni è Head of Faculty and Mandatory Training presso Generali Italia e nel 2015 ha curato il volume “Le Academy Aziendali” (Franco Angeli), un viaggio nelle imprese formativa delle aziende che racconta di esperienze iniziate «come una sorta di first aid volto a colmare gap di conoscenza, ma in cui la formazione non era considerata un elemento strategico» e diventate poi «opportunità di confronto e crescita, secondo una logica partecipata». In sostanza il campus in azienda oggi non serve più tanto a colmare i nostri noti problemi di mismatching, ma per «innovare e irrobustire il patrimonio di conoscenza dell’impresa».
La funzione delle Academy Aziendali? Garantire l’innovazione e la salvaguardia del patrimonio di conoscenze in essere.
La definizione di “academy” è più larga di quella di “university”, ma forse meglio si adatta al nostro tessuto di PMI: «Una Corporate University è legata alla grande azienda, l’Academy è accessibile anche alle medie imprese, si tratta di identificare chi può farsi carico della diffusione delle conoscenze, se si possiede il modello, l’investimento è minimo», afferma Cerni, citando le best practice di Schüco, Fisher e Baxi, tre aziende del Veneto. Per lui la funzione delle Academy Aziendali oggi è «garantire l’innovazione costantemente, il posizionarsi sui bordi più avanzati di ciò che è innovazione e garantire la salvaguardia del patrimonio di conoscenze in essere. Le corporate academy garantiscono due elementi: da un lato la condivisione delle competenze già presenti nell’azienda, la loro diffusione e radicamento, e dall’altro l’essere aperti rispetto al grande mercato delle conoscenze, l’essere innovativi. Tutto questo si fa valorizzando le competenze interne dei dipendenti e valorizzando gli apporti esterni che derivano dai rapporti con istituti di ricerca e università».
Cerni nel panorana italiano non vede novità sostanziali nei numeri in questi ultimi due anni, piuttosto un radicamento dei trend già individuati: «La formazione è sempre più blending, cioè multiforme, in grado di essere coinvolgente e di attraversare i domini cognitivi da punti di vista diversi: l’online, l’aula, il mentoring, il tutoring, la formazione a distanza, i webinar… Al centro c’è la persona, il soggetto che apprende, chi insegna è solo un facilitatore, perché oggi il possesso della conoscenza è distribuito fra tantissimi soggetti. La formazione è un attraversamento e riattraversamento continuo, i corsi formativi sono una cosa che appartiene al passato, oggi la formazione punta sui percorsi: dall’aula al confronto tra pari, dal mentoring alle piattaforme Mooc, è tornare sulle stesse tematiche da punti di vista diversi, così si apprende. Un altro trend molto forte è la valorizzazione delle competenze interne, per garantire il knowledge sharing».
La Motor Valley dell’Emilia Romagna
Nel 2016 l'Istituto Nomisma, su commissione della Regione Emilia Romagna, ha studiato le 120 imprese emiliano-romagnole più grandi in termini di fatturato e vi ha individuato 29 Corporate Academy, da Amadori a Carpigiani, da Tetrapack a Cremonini, da Coop a Toyota. Secondo i curatori sono qui, in Emilia Romagna, più della metà di tutte le Corporate Academy d'Italia. Un modello recentissimo e molto innovativo, proprio in questa regione, è quello di MUNER-Motorvehicle University of Emilia-Romagna, che nel 2018 avvierà due corsi di laurea magistrali legati ai motori (Advanced Automotive Engineering e Advanced Automotive Electronic Engineering), internazionali e rigorosamente in inglese, per 150 studenti all’anno e sei indirizzi di specializzazione (le domande di ammissione possono essere inviate fino al 22 dicembre 2017). Nove prestigiose aziende della Motor Valley (Automobili Lamborghini, Dallara, Ducati, Ferrari, Haas F1 Team, HPE Coxa, Magneti Marelli, Maserati e Toro Rosso) si sono unite con quattro università (Università di Bologna, Università di Ferrara, Università di Modena e Reggio Emilia, Università di Parma) per ideare un percorso di formazione d’eccellenza unico al mondo: i docenti vengono dalle quattro università e dalle aziende, con laboratori e strumentazioni di ultima generazione, gli stessi delle aziende partner, fra cui una galleria del vento.
Andrea Pontremoli, AD e direttore generale di Dallara Automobili, nonché presidente di Muner, spiega che «abbiamo pensato a una filiera di formazione e a un sistema fortemente integrato, che vedesse gli atenei come punto di incontro e di convergenza di esperienze maturate sia in azienda che all'interno dei laboratori scientifici. I percorsi sono divisi in quattro semestri, durante i quali gli studenti frequenteranno almeno due atenei con la possibilità di utilizzare le migliori competenze legate al territorio, ai docenti, ai laboratori e ai visiting professor che potranno convergere all'interno delle varie università. Superando il modello tradizionale di Corporate Academy, ogni ateneo mette a disposizione le proprie competenze e i propri docenti migliori per andare a costruire dei corsi di laurea d'eccellenza, facendo squadra in nome della ricerca, dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico. In un mondo globale come quello in cui ci troviamo, la competizione non è più tra singole imprese ma tra sistemi territoriali e Muner si presenta come sistema territoriale, che è composto sia dalle imprese, sia dal sistema formativo. L'obiettivo finale è agevolare la crescita e incrementare l'occupazione».
Superando il modello tradizionale di Corporate Academy, ogni ateneo mette a disposizione i docenti migliori, facendo squadra in nome della ricerca, dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico.
L'offerta formativa definita in stretta sintonia con le aziende punta a formare profili professionali che saranno indispensabili per lo sviluppo delle tecnologie nel settore automotive, richiamando sul territorio i migliori studenti del mondo, perché alcuni prodotti possono essere fatti solo in un determinato territorio: «La regione Emilia-Romagna per storia e tradizione è considerata la "terra dei motori" e possiede una straordinaria vocazione che coniuga design industriale, perfezione del prodotto artigianale e frontiera dell’innovazione tecnologica. Lavorare insieme è la risposta alla complessità della globalizzazione e alle sfide che essa pone», riflette Pontremoli, «i territori possono svolgere un ruolo nel nuovo assetto se sapranno diventare hub di quelle innovazioni, anche nella formazione del capitale umano, di cui si nutre l’integrazione delle economie. Il fare rete – la scelta che abbiamo fatto in Regione con il Patto per il Lavoro sottoscritto insieme da imprese, sindacati, atenei, associazioni, con l’obiettivo primario di favorire lo sviluppo e creare occupazione – si sta rivelando vincente. Muner è un progetto importante per la regione ma anche per tutto il Paese, che deve saper valorizzare le sue eccellenze e metterle in rete per ricucire le fratture e tornare a crescere e competere».
L'impresa che apre le porte alle scuole
Un’altra azienda che sta investendo moltissimo nella formazione è Loccioni, una media impresa marchigiana. Hanno programmi formativi per tutte le età: una Bluezone per avvicinare gli studenti al mondo dell’impresa, una Redzone per il “durante”, con il 65% dei collaboratori in formazione, e una Silverzone composta da ricercatori, consulenti, professori e manager di importanti realtà industriali che sostengono le iniziative formative del Gruppo. Loccioni è uno dei 16 campioni scelti dal MIUR come modelli di un’alternanza scuola lavoro di qualità, l'unica realtà di medie dimensioni nel gruppo. «Abbiamo aperto le porte agli studenti per costruire insieme a loro ciò che saremo nei prossimi cinquant'anni. C’è tanto lavoro da fare e vogliamo farlo con i giovani del territorio che hanno voglia di futuro e di giocare in anticipo», affermano.
Francesco De Stefano, responsabile Progetti Scuola Università del Gruppo, spiega che la scelta di investire sistematicamente nella formazione deriva dalla «centralità della persona: in Loccioni la conoscenza appresa a scuola e all’università viene trasformata e applicata in progetti sempre diversi che costituiscono vere e proprie sfide. Per questo il processo di formazione è cruciale nel percorso di ogni collaboratore, dalla formazione on the job a quella manageriale e gestionale attraverso momenti dedicati. Fondamentale è formare gli studenti mentre vanno a scuola o all’università, per prepararli con largo anticipo al loro futuro. Un maggiore coinvolgimento delle imprese e in generale del mondo del lavoro nella formazione dei giovani è sicuramente fondamentale per integrare e concretizzare l’approccio troppo spesso squisitamente teorico delle scuole e università e tuttavia va cercato il giusto equilibrio e la strada da percorrere è quella di una progettazione congiunta tra esponenti del mondo del lavoro e gli addetti ai lavori nel campo dell’istruzione».
L’approccio Loccioni è totalmente ad hoc. Tutto parte dalla volontà di aprire le porte a scuole e università e diventare noi stessi scuola di formazione continua
Rispetto alle Corporate Academy, «l’approccio Loccioni è totalmente ad hoc», continua De Stefano, non si rifà a modelli precostituiti perché il suo sviluppo è strettamente legato alla storia, ai valori e alla cultura d’impresa. Non esiste un vero e proprio modello di riferimento, tutto parte dalla volontà dell’impresa di aprire le porte alle scuole e alle università e di diventare essa stessa “scuola” di formazione continua».
Quelle 800 imprese dentro le scuole
Quello delle Corporate Academy non è tuttavia il solo modo in cui le imprese stanno riscoprendo il loro ruolo nella formazione dei giovani e nello strutturare una transizione fra la scuola e il lavoro tale per cui i neo assunti siano ready to go e le aziende non debbano investire mesi se non anni nella loro formazione iniziale. «Le Corporate University sono una strategia per curare la transizione fra la scuola e il lavoro, ma una strategia costosa, che nel panorama italiano di piccole e medie imprese risulta di nicchia», afferma Alessandro Mele, coordinatore della cabina di regia degli ITS. Gli Istituti Tecnici Superiori sono una novità relativa nel nostro panorama: nati nel 2011, rappresentano quella formazione terziaria professionalizzante che in Italia mancava, contano circa 9mila studenti e costituiscono il primo modello formativo di successo in Italia fortemente integrato con le imprese.
Le Corporate University per le PMI sono costose: perché non puntare sugli ITS? Coinvolgono già 800 imprese.
Gli ITS infatti hanno una governance partecipata, con quasi 800 imprese coinvolte nei 93 ITS esistenti (fonte Indire), il 65% dei docenti proviene dal mondo del lavoro, i percorsi formativi sono embedded, ideati e co-progettati insieme alle imprese e l’81,1% dei diplomati a dodici mesi dal diploma risulta occupato. Per Mele si tratta di una proposta «complementare a quella delle Corporate Academy, oggi i nostri numeri sono piccoli ma potenzialmente questa è una risposta su misura le PMI italiane. Abbiamo da poco ospitato Denise Amyot, presidente di Colleges and Institutes Canada (CICan): in Canada con la metà della popolazione italiana questo tipo di offerta formativa accoglie 1 milione di allievi, un numero che dice molto delle nostre possibilità di sviluppo».