Il 2022 è stato un anno di ripresa per il lavoro, ma diverse nubi si stagliano all’orizzonte
Posti di lavoro in ripresa, dopo lo stop dovuto alla pandemia. Ma con parecchie nubi che si stagliano all’orizzonte, tra l’impennata dell’inflazione e il rischio recessione. È questa la fotografia che emerge dal mercato del lavoro italiano del 2022, attraversato da grandi cambiamenti e accelerazioni dopo il crash test del Covid 19.
Il report di Istat sul mercato del lavoro relativo al secondo trimestre del 2022 mostra uno scenario positivo in confronto ai mesi precedenti. Rispetto al primo trimestre, gli occupati sono 175mila in più, diminuisce anche il livello di disoccupati e quello degli inattivi. In particolare, il Mezzogiorno si caratterizza per un aumento più marcato del tasso di occupazione con +2,6 punti in un anno, rispetto ai +2,3 del Centro e ai +1,8 punti del Nord.
«Il mercato del lavoro nel 2022 è stato marcatamente positivo, di fatto proseguendo il rimbalzo iniziato nel 2021 dopo le misure di chiusura. Nel 2022 questo rimbalzo è continuato soprattutto nei primi mesi per poi mostrare un lieve e progressivo ridimensionamento nel resto dell’anno», spiega l’economista dell’Ocse Andrea Garnero. «I dati di settembre sono positivi dopo dati estivi che erano stati in parte deludenti. I primi segnali che abbiamo su ottobre sono di nuovo più timidi, indicano un possibile segnale di rallentamento, ma non per forza di crisi».
Il mercato del lavoro nel 2022 è stato marcatamente positivo, di fatto proseguendo il rimbalzo iniziato nel 2021 dopo le misure di chiusura.
Andrea Garnero, economista Ocse
«Potremmo dividere il 2022 in due fasi», secondo Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione ADAPT. «La prima è quella di ripresa post Covid, che si situa in continuazione con il 2021 e che vede una crescita degli occupati a tempo indeterminato», anche se in questi dati potrebbe essere compreso anche chi è rientrato dalla cassa integrazione. Il nuovo metodo di misurazione dell’Istat considera infatti non più occupati i lavoratori in cassa integrazione oltre i tre mesi. Per cui la valutazione sui numeri cambia a seconda che si tratti di nuovi occupati o cassa integrati che non lo sono più. «La seconda fase invece non è ancora ben chiara. Quello che è sicuro è che a luglio e agosto ci sono stati rallentamenti, come ci si aspettava», aggiunge Seghezzi.
Rilevante è il trend positivo giovanile nella fascia dai 25 ai 34 anni, tra cui cresce il tasso di occupazione (+3,5 punti) e diminuisce il tasso di disoccupazione (-4,2 punti) e di inattività (-1,6 punti). In generale, «l’occupazione temporanea è cresciuta tanto. Ma c’è una tendenza positiva perché le imprese tendono a confermare i determinati», dice Seghezzi. Un trend confermato anche dai numeri diffusi dall’Inps: nei primi otto mesi del 2022, si registra una crescita significativa di tutti i contratti, con oltre 5,4 milioni di assunzioni da parte di datori di lavoro privati. Nel dettaglio, sono stati registrati 937.000 nuovi contratti a tempo indeterminato (+31% rispetto allo stesso periodo del 2021) e 2,3 milioni assunzioni a tempo determinato (+19%). E le trasformazioni da contratti precari a quelli a tempo indeterminato nei primi otto mesi del 2022 sono risultate 489.000 (+65%).
L’unica tipologia di occupati che risente ancora della crisi pandemica è quella dei lavoratori autonomi, che attualmente è «altalenante tendente al negativo».
L’occupazione temporanea è cresciuta tanto. Ma c’è una tendenza positiva perché le imprese tendono a confermare i determinati.
Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione ADAPT
Ma i numeri evidenziano anche un aumento del divario di genere in seguito a una crescita del tasso di occupazione maschile (+2,5 punti) maggiore rispetto a quello femminile (+2,0 punti). «Le donne sono tra i gruppi che più hanno pagato la crisi Covid nella fase iniziale», spiega Garnero, tanto che si è parlato di “Shecession”, intendendo con questo termine il fenomeno secondo cui la recessione ha colpito in misura maggiore l’occupazione femminile rispetto a quella maschile. Anche gli uomini hanno subito un calo, ma «è stato principalmente causato da disoccupazione o cassa integrazione prolungata».
Il lavoro è «poco amico» delle donne perché manca quell’infrastruttura di servizi che riguarda la gestione dei carichi familiari e dei tempi di lavoro, dice Garnero. «L’occupazione femminile resta un fattore prioritario in un’economia che invecchia. Sprecare qualunque risorsa è un delitto, tanto più qui dove ancora solo poco più di una donna su due lavora, quando più di 20 anni fa con la strategia di Lisbona (approvata a livello europeo a Lisbona nel 2000) avevamo stabilito l’obiettivo del 60%».
Ma i numeri attuali sono ben lontani da quel 60%, assestandosi intorno a un 50-52%. Una crescita, ma non abbastanza. «Resta un ritardo notevole. Per un Paese che vuole crescere, questa è una zavorra importante e sicuramente una priorità da affrontare che richiede interventi sul piano del lavoro, ma anche tanti altri interventi sul tipo di lavoro che offriamo, sul tipo di supporto che diamo alle persone che lavorano, all’organizzazione del lavoro e agli orari».
Secondo Francesco Seghezzi, «il divario lavorativo di genere è dovuto anche al fatto che permane debolezza nel settore dei servizi, che è quello in cui le donne sono più impiegate. L’occupazione femminile è più vulnerabile e soggetta alle piccole oscillazioni di mercato, risente delle situazioni di crisi. Però il fenomeno non è da vedere in modo totalmente negativo perché in generale si colloca all’interno di un trend positivo».
Il divario lavorativo di genere è dovuto anche al fatto che permane debolezza nel settore dei servizi, che è quello in cui le donne sono più impiegate. L’occupazione femminile è più vulnerabile e soggetta alle piccole oscillazioni di mercato.
Francesco Seghezzi
Nonostante l’andamento generale sia positivo, si intravedono già elementi di preoccupazione. Tra questi, Andrea Garnero elenca le tensioni continue sulle catene del valore, la difficoltà ad approvvigionarsi, la politica zero Covid in Cina, che rende la situazione cinese – e di conseguenza mondiale – sempre tesa, il conflitto in Ucraina e le tensioni geopolitiche in generale. A tutto ciò, si aggiunge la questione energetica con le difficoltà possibili che riguardano l’inverno in arrivo e le difficoltà certe, a meno di cambiamenti radicali nei prossimi mesi, per l’inverno futuro del 2023-2024 che costringeranno le imprese a cambiare metodi di produzione. «Elementi di preoccupazione ce ne sono tanti», conferma l’economista. «L’incertezza rimane, non fosse altro che negli scorsi anni abbiamo vissuto una crisi dietro l’altra. Dopo la lenta uscita dalla crisi del 2008-2009, nel 2018 scontavamo ancora alcune ferite al riguardo, poi la pandemia e la guerra in Europa».
Per quanto riguarda il futuro, è difficile fare previsioni. Ma peserà anche l’andamento demografico, con l’invecchiamento della popolazione italiana che già si fa sentire sul mercato del lavoro.
«Fino a fine anno non ci saranno boom particolari. Non ci sarà un’impennata fortissima», secondo Seghezzi. «Sicuramente dobbiamo aspettarci mesi di tensioni che dal politico e dal geopolitico si scaricano sull’economico e, di conseguenza, sul mercato del lavoro», afferma Garnero. «La prima sfida in molti ambiti è arrivare fino alla fine dell’inverno. Continuerà il processo di invecchiamento con quello che poi ne consegue sui conti pubblici. Il numero di persone in età da lavoro peggiora di anno in anno in Italia. Guardando al futuro, sicuramente ci sono le sfide a cui deve in parte rispondere il governo, ma solo in parte, perché le sfide sono internazionali e globali».