Occupabilità vs occupazione? Il dilemma del lavoro di domani


«Negli ultimi mesi sto girando l'Italia incontrando molte aziende. Recentemente ero nella bergamasca in un'azienda di automotive. E mentre parlavo al responsabile del personale di occupabilità, mi ha interrotto per dirmi che erano venti anni che anche lui affrontava questi temi, in particolare il protagonismo degli individui e della formazione continua che renda le competenze più performanti e corrispondenti con la domanda».

[legacy-picture caption=”Andrea Malacrida, ad di The Adecco Group ” image=”db5c282d-2801-4ab3-96ac-916129370160″ align=”right”]

Così Andrea Malacrida, Country Manager di The Adecco Group ha introdotto il tema dell’occupabilità al festival de Linkiesta nel panel dal titolo “Feed your work”. Uno dei core business dell’agenzia è anche uno dei temi più sentiti quando si parla di lavoro. «Rispetto a venti anni fa i tempi di reazione e aspettativa sono completamente cambiati. Il bisogno di aggiornare le proprie competenze oggi per chi vuole stare nel mondo del lavoro è vitale. Per questo necessariamente il concetto di occupabilità è al centro della nostra vision: ci rivolgiamo a tutte le fasce di età, dai giovani fino agli over 50 che ci chiedono come riqualificarsi», continua Malacrida. Che aggiunge: «La rivoluzione digitale sta impattando su linguaggi, sui sistemi, sul vocabolario e sull'organizzazione del lavoro. Come gruppo siamo sempre stati oggetti di aspettativa riguardo all'occupazione, ma la nostra preoccupazione è sensibilizzare queste persone e i nostri stakeholder sul fatto che il focus non può essere solo l'occupazione, ma soprattutto l'interpretazione dell'evoluzione dell'occupazione. Che vuol dire creare consapevolezza e ragionare di occupabilità».

Il bisogno di aggiornare le proprie competenze oggi per chi vuole stare nel mondo del lavoro è vitale.

Andrea Malacrida, Country Manager The Adecco Group Italia
[legacy-picture caption=”Andrea Sbarra, segretario generale della Cisl” image=”e1799f61-c577-44f0-9ae0-844d12e4b718″ align=”left”]

Una posizione che fa a pugni con la cronaca quotidiana e con il dibattito pubblico che si concentra esclusivamente sui dati generali, senza strategia e senza visione. «La politica fa i fuochi d'artificio e valorizza le rilevazioni trimestrali dell'Istat per qualche decimale in più o meno sull'occupazione», affonda Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto della Cisl, «la vera valutazione da fare è che negli anni della crisi abbiamo perso un numero impressionante di posti di lavoro. Stiamo recuperando piano piano. Ma l'analisi dimostra che abbiamo più teste nel mondo del lavoro ma meno ore lavorate. Ne mancano 600 milioni. Significa che il lavoro si sta impoverendo».

Per il segretario «La globalizzazione e il progresso tecnologico stanno imprimendo una forte accelerazione al cambiamento del mondo del lavoro che noi chiamiamo quarta rivoluzione industriale che ci pone di fronte questo bisogno di aggiornare le nostre lenti interpretative. Come sindacato, attraverso i nostri strumenti di rappresentanza, penso alle relazioni sindacali, alla contrattazione, al sistema bilaterale: dobbiamo porci dentro questo cambiamento forte e tumultuoso. Per ricordare un messaggio forte di Papa Francesco, «bisogna avere la capacità di stare dentro al cambiamento tenendo in equilibrio digitalizzazione e tecnologie con un nuovo umanesimo».

Ma cosa vuol dire rimettere la persona la centro? Per Sbarra «la vera grande sfida è quella di lavorare per la qualità e per la stabilità del lavoro. Per farlo serve fare un grande investimento sulle competenze, sul capitale umano. La formazione è lo strumento per dare stabilità e qualità del lavoro. Il vero art. 18, a 50 anni dallo statuto dei lavoratori, si chiama formazione. Senza miglioramento delle competenze e delle professionalità di chi lavora non riusciremo ad aiutare decine di migliaia di persone ad incrociare l'appuntamento con l'impiego. Prendiamo spunto dalla Germania, che lo sta facendo. In Italia invece si pensa di risolvere tutto con la legge. Non è così. Lo abbiamo vissuto con il jobs act e lo stiamo vivendo con gli effetti del Decreto Dignità. Sui temi della regolazione del lavoro la legge può fluidificare ma non giova quando non ci sono investimenti pubblici e privati e formazione. Vediamo un vuoto: non si parla di politiche attive per il lavoro, non si parla di formazione e non si parla di aiutare le persone nelle fasi di transizione e ricerca di lavoro».

[legacy-picture caption=”Irene Tinagli, eurodeputata del Pd” image=”ae5dd3b4-2a74-4ff1-88f8-f97a7c2de791″ align=”right”]

Se la politica nazionale latita è dall’Europa che si attendono alcune risposte. «L'idea di creare uno strumento europeo sulla disoccupazione vuole rispondere proprio a questo mondo del lavoro così frammentato. È uno strumento tutto da creare che però sta prendendo corpo. È una proposta dalla Commissaria Europea che ha dato mandato al nostro Paolo Gentiloni di immaginarlo», sottolinea l’europarlamentare del Partito Democratico, Irene Tinagli che però ci tiene a chiarire: «Non avrà i contorni di un sussidio europeo e non servirà per affrontare la disoccupazione strutturale. Ma sarà uno strumento pensato per momenti di shock occupazionali molto forti».

Quali saranno i contorni di questa nuova leva? Per Tinagli «l'idea è di creare uno strumento di politica economica con funzione anti ciclica. Questi sono i paletti entro cui si muoverà. Potrà avere una forma di prestito ai Paesi in difficoltà. Ma immagino che ci saranno delle condizioni. Come ad esempio l’obbligo di dotarsi di politiche attive di formazione. Ovviamente starà ai Paesi membri capire come usare questa possibilità».

Ma proprio le politiche nazionali sono un tasto dolente. «Ad un anno dall'entrata in vigore del Decreto Dignità, dopo il periodo transitorio e con l'introduzione del reddito di cittadinanza sono diminuite le ore lavorate, è aumentata la burocrazia e si è andati nella direzione opposta rispetto al trend dell'economia reale», attacca Malacrida senza usare giri di parole, «Nel concreto questa legislazione non legge i cambiamenti reali del mondo del lavoro. E si sono avverati quelli che erano gli effetti auspicabili di queste scelte. Oggi si è inasprita quella che doveva essere la riduzione della precarietà e cioè l'obiettivo del Governo. La situazione sta diventando paradossale».

Una bocciatura che trova il sostegno anche della Cisl. Per Sbarra «sul reddito di cittadinanza abbiamo sempre avuto una nostra posizione messa a disposizione del confronto, che non c'è stato. In un Paese civile è giusto e normale avere una misura di contrasto alla povertà, all'esclusione e alla marginalità. E avevamo per questo il reddito di inclusione. Noi immaginavamo un allargamento del Rei. L'esperienza del Rdc, come vediamo, dà qualche risultato su questo fronte, cioè quello della povertà. Ma non funziona assolutamente sul fronte delle politiche attive per il lavoro perché, come avevamo sottolineato, sbaglia il presupposto: prima di redistribuire il lavoro lo devi creare. Soprattutto al sud non c'è alcun posto di lavoro da redistribuire perché il lavoro semplicemente non c'è. Il messaggio del RdC sul lavoro è devastante: dal sapore assistenziale, una misura caritatevole e misericordiosa. Cioè l'esatto opposto di quello che cerca un giovane meridionale. È un'operazione propagandistica, demagogica e infruttuosa. Aspetteremo ancora un anno ma dovremo registrare tristemente e con amarezza che abbiamo impegnato delle risorse che potevano essere usate per fare un grande investimento sulla scuola, sull'alternanza, sulle infrastrutture, sulla formazione. Insomma avremmo potuto sostenere un grande piano di rilancio, in particolare del sud».

La conclusione? A condensarla in una sola parola è sempre Sbarra: «il futuro del lavoro passa attraverso una sola strada. La formazione». O detto altrimenti, attraverso l'occupabilità.

Di |2024-07-15T10:05:44+01:00Dicembre 2nd, 2019|Formazione, MF|0 Commenti