Come si organizza un festival musicale? Ce lo raccontano i fondatori del Mi Ami
«Devono arrivare con il camion bilico da parcheggiare o si presenta uno solo con la chiavetta Usb, attacca, e fa il dj set e basta? Cioè, sono in 20 in crew, per cui bisogna prendere dieci stanze d’albergo, o è una sola persona? Quanta gente ci porteranno? Come facciamo a rendere sostenibile tutta quanta l’operazione?».
Queste, e molte altre, sono le domande che si pongono tutti gli anni, cinque mesi prima dell’inizio del Mi Ami Festival, Carlo Pastore e Stefano Bottura, rispettivamente il cuore e la mente del più famoso festival milanese di musica indipendente e non.
Organizzato dal Rockit, il famoso sito web di musica italiana, l’evento ha conquistato il cuore degli amanti della musica sin dal suo esordio nel 2005. Ogni anno, durante l’ultimo fine settimana di maggio, l’Idroscalo di Milano si trasforma in un vero e proprio paradiso musicale, ospitando un festival unico ormai divenuto appuntamento fisso per gli appassionati di musica. Il Mi Ami si distingue per la sua dedica esclusiva agli artisti italiani, offrendo una vetrina interessante alla scena indipendente e alternativa, senza restrizioni di genere musicale ma con un’attenta selezione che unisce musica e cultura.
Il festival è il più intensivo e anche il più appagante dei progetti, perché è veramente un incubatore di mille dimensioni di contenuto.
Carlo Pastore, direttore artistico del Mi Ami
Ora, freschissimi del successo dell’edizione 2023, in cui hanno staccato più di 23mila biglietti, i due organizzatori fanno un bilancio dell’esperienza ripercorrendo le tappe che li portano ogni anno a organizzare i tre giorni del festival: a partire dagli aspetti burocratici, fino ad arrivare alla scelta degli artisti, passando attraverso tutte le sfide della logistica e dell’organizzazione.
«Il festival è il più intensivo e anche il più appagante dei progetti», spiega Carlo Pastore, direttore artistico del Mi Ami, «perché è veramente un incubatore di mille dimensioni di contenuto. Ti occupi della gestione dei flussi del pubblico fino al dettaglio della logistica di un singolo artista».
In mezzo a tutto questo, però, c’è tutto un mondo di persone che ballano, cantano, che devono mangiare, che devono bere, che devono entrare e uscire e che devono divertirsi in sicurezza. Insomma, la gestione è davvero complessa.
Non si tratta poi solo del numero di partecipanti, ma anche della qualità generale dell’offerta. «Durante il processo di progettazione per l’evento di quest’anno, sono stati presi in considerazione diversi fattori, come l’aumento del numero di palchi, il miglioramento delle strutture e l’implementazione di un sistema di pagamento cashless tramite braccialetti. Queste scelte sono state coraggiose e rischiose, ma si sono rivelate vincenti, contribuendo a creare un’esperienza unica e innovativa per il pubblico», dice Stefano Bottura, direttore e responsabile della parte produttiva del festival.
Inoltre, la selezione degli artisti è stata una parte cruciale del processo progettuale. La programmazione musicale è stata curata con attenzione da Pastore, tenendo conto delle tendenze musicali, della ricerca di nuovi talenti e dell’interesse del pubblico. In questo senso, il festival ha creato un ambiente in cui la gente può sperimentare la magia della scoperta. Non si tratta solo di vedere gli artisti preferiti, ma di esplorare nuovi orizzonti musicali.
«Più che parlare con le categorie, parliamo con la musica», ricorda Pastore, perché il festival «non ha mai avuto paura di provocare anche la propria community: tipo l’idea di portare Rondo da Susa quest’anno. Qualcosa che la Bibbia dell’indie avrebbe impedito di fare».
Il puzzle di professionisti che danno vita a un festival
Alla guida di questa grande macchina che è il Mi Ami ci sono ovviamente Carlo e Stefano, i due organizzatori, ma per far funzionare il complesso meccanismo si avvalgono della professionalità di molte figure.
La produzione del Festival coinvolge diverse aree, tra cui la logistica, l’ospitalità, la direzione tecnica e la comunicazione con gli artisti. Ci sono varie branche, come la produzione artistica, la produzione tecnica e la produzione strutturale, che si occupano rispettivamente del montaggio dei palchi, degli impianti e delle strutture.
La logistica comprende la gestione del personale sul posto, mentre l’amministrazione si occupa dei contratti e della parte burocratica. La biglietteria, invece, gestisce l’ingresso del pubblico, inclusi i pagamenti, ma si occupa anche di indicare dove mangiare, bere e utilizzare i servizi igienici. La sicurezza e le eventuali problematiche, altro aspetto fondamentale, sono gestite, insieme alla parte amministrativa e ai fornitori. Inoltre, ogni anno viene selezionato un illustratore da Bottura, di formazione designer, per creare il tema grafico del festival, che di solito viene discusso a novembre.
La ricerca di un equilibrio tra rischio imprenditoriale e aspettative del pubblico è sempre una sfida importante.
Stefano Bottura, direttore e responsabile della parte produttiva del Mi Ami Festival
Durante il processo progettuale, sono state affrontate diverse sfide e prese decisioni strategiche. Un esercizio mentale di proiezione nel futuro è fondamentale per immaginare come sarebbe stato il festival dopo mesi, considerando il numero di partecipanti e la sostenibilità dell’intera operazione. «Ciò ha comportato l’elaborazione di previsioni, ipotesi e analisi finanziarie dettagliate», spiega Bottura. Non bisogna infatti sottostimare l’importanza della creazione di grafici e tabelle in fogli di calcolo che tengono conto dei flussi di persone, uno strumento utile per comprendere l’andamento delle entrate e delle spese e per prendere decisioni informate. «La ricerca di un equilibrio tra rischio imprenditoriale e aspettative del pubblico è sempre una sfida importante», ricorda Stefano Bottura.
«Non abbiamo finanziamenti pubblici», spiega Stefano Bottura, «quindi tutto quello che facciamo è sulle nostre spalle, anzitutto come rischio. Il successo o meno dell’evento è in mano a chi compra il biglietto».
Mentre gli sponsor «non arrivano a coprire il 15% del bilancio finale del Festival», spiega Pastore. «Non cerchiamo di realizzare cifre straordinarie o di vendere grandi numeri, è una questione quasi sartoriale e di posizionamento. Nessuno sponsor desidera semplicemente apporre il proprio nome sul festival. Con ogni marchio creiamo iniziative ad hoc».
Un mix da inventare e reinventare ogni anno, dialogando con le realtà che alimentano l’energia della line-up da un lato e del pubblico dall’altro. Senza dimenticare la sostenibilità economica.