Piano nazionale di riforma: ecco i progetti del governo in tema di lavoro


Centosettantasette volte. La parola lavoro è sempre presente nel Piano Nazionale di Riforma (Pnr) presentato a inizio luglio dal governo. Il testo, che di solito accompagna il Documento di economia e finanza (Def), ha cercato di recepire le indicazioni riportate da Bruxelles nel suo Country Report, pubblicato a febbraio 2020 poco prima della pandemia, dove si imputava all’Italia un alto debito pubblico e una scarsa produttività del lavoro. Poiché riporta le azioni che il governo intende portare avanti in materia economica nel prossimo triennio, il Piano sarà uno step fondamentale sulla via delle riforme a cui Bruxelles farà molta attenzione prima di staccare l’assegno da 209 miliardi del Recovery Fund.

Il lavoro è uno dei punti principali su cui l’esecutivo intende agire e, non a caso, è una delle cinque priorità indicate. A preoccupare è soprattutto la mancanza di produttività, attribuibile «a una carenza di competenze e a una discrasia fra qualifiche disponibili ed esigenze delle imprese», secondo il documento del governo. Non è solo una questione di “skill mismatch”: l’Italia, infatti, presenta un alto livello di disoccupazione giovanile, pari al 20,3%, aggravato da una delle più alte quote europee di Neet, giovani che non studiano né lavorano. Un problema a cui si aggiunge un’irrisolta questione di genere che vede troppo spesso le donne ancora penalizzate rispetto agli uomini.

Su questo fronte l’opera del governo è soprattutto tesa a rafforzare gli ammortizzatori sociali e le politiche attive del lavoro, partendo dai centri per l’impiego. Un’urgenza raccontata dai numeri: ad aprile 2020 l’occupazione è giunta al 57,9%, registrando un calo dell’1,1% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, mentre gli inattivi hanno raggiunto il 38,1%, in crescita del 4% rispetto ad aprile 2019. Per rispondere a questi dati, il governo intende potenziare i centri per l’impiego, assumendo nuovo personale (previste 11.600 assunzioni nel triennio) e migliorando le sedi a livello infrastrutturale e di servizi.

Ai centri per l’impiego si lega inevitabilmente anche la questione del reddito di cittadinanza. Secondo i dati del governo, soltanto 65mila percettori, su oltre 1 milione, hanno trovato un posto di lavoro: un punto su cui il governo intende ripartire, rafforzando le politiche attive del lavoro.

A preoccupare è la mancanza di produttività, attribuibile a una carenza di competenze e a una discrasia fra qualifiche disponibili ed esigenze delle imprese

Al di là dell’impatto che il Covid-19 ha inevitabilmente avuto sull’occupazione, il governo si propone di valutare in futuro se e come migliorare il reddito, che ha come fine originario quello di migliorare lo status del percettore e il processo di reinserimento lavorativo. Un’analisi futura che si farà anche su quota 100: la sperimentazione dell’attuale sistema di riforma delle pensioni scadrà nel 2021 e potrebbe subire qualche aggiustamento che lo renda più sostenibile.

Altra questione cruciale per il governo è la disparità nel mercato del lavoro, sia di competenze tra domanda e offerta sia di retribuzione e mansioni tra uomo e donna. Secondo l’esecutivo la differenza di competenze si può superare agendo sul fronte scolastico e allineando l’istruzione a quello che richiede l’economia, soprattutto nell'ambito dell’educazione digitale e finanziaria e della conoscenza dell’inglese. Per quanto riguarda la disparità tra uomo e donna, che l’Europa ha chiesto di ridurre, il governo si è impegnato ad agevolare gli sgravi contributivi a favore delle donne, potenziandoli lì dove c’è una maggiore differenza tra i due sessi. L’intenzione dell’esecutivo poi è quella di favorire per legge la rappresentazione femminile, con un’equa ripartizione degli amministratori e dei membri degli organi di controllo nelle società.

Ad essere analizzate all’interno del Piano Nazionale di Riforma sono anche le condizioni generali di lavoro, in particolare la contrattazione collettiva. Allo studio del governo c’è un salario minimo garantito che aiuti tutti i lavoratori a mantenere un determinato potere d’acquisto, anche in caso di assenza o di bassa rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda in cui operano. Una volontà di proseguire il dialogo con le parti sociali che il governo vorrebbe incentivare anche attraverso una possibile riforma della rappresentanza sindacale.

Il Covid-19 ha cambiato inoltre anche ambienti e abitudini consolidate di lavoro. Per questo l’esecutivo ha promosso un tavolo di discussione tra le parti che agevoli la riapertura delle varie attività in totale sicurezza. In più, per coloro che operano in smart working, il governo si è fatto promotore nel decreto rilancio della creazione del “Fondo nuove competenze” che permetta ai lavoratori di continuare il loro processo formativo in orario di lavoro, con i carichi contribuitivi e previdenziali a carico dello Stato.

Di |2024-07-15T10:06:04+01:00Agosto 3rd, 2020|futuro del lavoro, MF, Smart Working|0 Commenti