Rachel Botsman: La Sharing economy? Più della tecnologia conta la fiducia
Un master ad Harvard, milioni di visualizzazioni su Youtube e un libro best-seller considerato la Bibbia dell’economia collaborativa.
Il titolo di vero e proprio guru della condivisione, Rachel Botsman se l’è guadagnato tutto, da quando, alla fine del 2009, molto prima dell’esplosione di Airbnb e Blablacar, aveva già intuito che la recentissima crisi finanziaria, partita dai piani alti di Wall Street e arrivata a stravolgere la quotidianità di normali cittadini dall’altra parte del mondo, avrebbe lasciato un segno profondissimo, destinato non solo a trasformare l’economia globale per sempre, ma anche il comportamento dei consumatori.
Il suo libro, “What’s mine is yours, the rise of collaborative economy”, letteralmente “Ciò che è mio, è tuo, la crescita dell’economia collaborativa” (edito in Italia da Franco Angeli con il titolo Il consumo collaborativo) esce negli Stati Uniti a settembre 2010 e in poco tempo scala tutte le classifiche.
Considerato da molti un vero e proprio manifesto profetico di come, di lì a poco, la condivisione avrebbe rivoluzionato il mondo dei consumi, “What’s mine is yours” coglie lo zeitgeist degli anni dieci di questo secolo, descrivendo, per la prima volta in modo completo, i trend di consumo che avrebbero caratterizzato la generazione millennials, quella dei nati tra il 1981 e il 2000, cresciuti insieme ad internet, abituati a muoversi in un universo globale ma entrati nel mondo del lavoro proprio nel bel mezzo della crisi. E Rachel Botsman, classe 1978, che solo per pochissimo non rientra a far parte di quella generazione, capisce che saranno proprio i millennials, in media più istruiti delle generazioni precedenti, ma con situazioni lavorative molto più precarie, i giovani ambasciatori di una rivoluzione dei consumi che, in pochi anni, ha raggiunto tutti, anche gli ultrasettantenni.
Per le generazioni più vecchie, i cellulari sono uno strumento di comunicazione, mentre per i millennials sono un vero e proprio telecomando per il mondo reale
«Prima di tutto i millennials hanno un approccio molto diverso alla condivisione e all’interazione con gli sconosciuti. Tendono ad avere uno sguardo aperto verso il mondo, sono abituati a pubblicare foto e pensieri sui social e condividono un passaggio in macchina con uno sconosciuto, proprio come condividono una foto online», ha spiegato Botsman, sottolineando anche il rapporto completamente diverso con la tecnologia rispetto ai loro genitori.
«Per le generazioni più vecchie, i cellulari sono uno strumento di comunicazione, mentre per i millennials sono un vero e proprio telecomando per il mondo reale. Guardano il loro smartphone come uno mezzo per avere accesso a ciò di cui hanno bisogno, sia questa la necessità di trovare una stanza su Airbnb o una biciletta disponibile per il bike sharing. Questo tipo di approccio, basato sulla “gratificazione istantanea a richiesta” è molto in linea con l’idea dell’accesso a prodotti e ai servizi che, nell’economia della condivisione, si sostituisce perfettamente all’idea del possesso». Sì, perché, come ha notato Botsman, per questa generazione il consumo non ha più un carattere identitario, come se la crisi globale avesse in qualche modo calato definitivamente il sipario sull’epoca del possesso, celebrando il compimento definitivo di quell’ “Era dell’accesso” di cui Jeremy Rifkin aveva delineato le caratteristiche nel suo omonimo best-seller del 2000, parlando proprio della crescita dell’economia della rete e delle reti.
E infatti a giocare un ruolo chiave nell’adozione della sharing economy da parte dei millennials è, secondo Botsman, una vera e propria avversione al consumismo: «Se pensiamo agli anni ’80, ’90 e ai primi duemila, c’era una generazione che si definiva attraverso i propri consumi. Era una generazione costruita intorno al concetto di “Io, me e me stesso”. Oggi invece c’è una crescita del noi, una rinnovata fiducia nella comunità. Vediamo un’intera generazione che vuole far parte di brand ed esperienze che vanno molto oltre l’individuo».
Oggi c’è una crescita del noi, una rinnovata fiducia nella comunità. Vediamo un’intera generazione che vuole far parte di brand ed esperienze che vanno molto oltre l’individuo.
Secondo Rachel Botsman, la chiave è proprio il concetto di fiducia, che lei stessa definisce come “collante sociale”, tanto che, proprio su questo, la mamma del concetto di economia collaborativa, ha scritto il suo secondo libro, “Who can you trust?”, letteralmente, “Di chi ti puoi fidare?”, definito dal Washington Post, “un tempestivo e accessibile quadro per comprendere cos’è la fiducia, come funziona, perché è importante e come sta evolvendo”.
«La mia ricerca si focalizza su come la tecnologia sta trasformando la fiducia tra le persone, ed è uno studio così affascinante, perché c’è ancora molto che non sappiamo. Gli esseri umani sono eccezionali nell’avere slanci di fiducia. Ricordate la prima volta che avete usato la vostra carta di credito in un sito internet? Quello è uno slancio di fiducia incredibile». E nessuno, secondo Botsman, è più incline a dare fiducia al prossimo della Generazione Y.
Abituati a viaggiare lontano, a vivere in posti diversi e a conoscere persone nuove, grazie a programmi di scambio come l’Erasmus, i millennials sono diventati adulti nell’era dei social network in cui la teoria di quei “sei gradi di separazione” secondo cui ogni persona dovrebbe essere collegata a qualunque altra con meno di 5 intermediari non potrebbe essere più evidente.
«Complici le nuove tecnologie e le risorse ridotte, sono stati loro i primi a cogliere il potenziale delle reti, andando spesso contro tutto ciò che ci insegnavano i nostri genitori: salire in macchina con gli sconosciuti, uscire con persone che si conoscono online, fino addirittura arrivare ad affittare un posto letto a casa di qualcuno che non si è mai visto prima». Una tendenza ad aprirsi verso l’altro, quella della generazione che si è fatta promotrice dell’economia collaborativa che si riconosce nei mantra costantemente presente a festival e concerti “se non parli con gli sconosciuti ne sarai sempre circondato”.
Davanti a noi si sta letteralmente aprendo una nuova era della fiducia
In technology we trust? AI, data hacks, blockchain & more covered in my podcast with @sandraapeter https://t.co/CSz7eBFncI
— Rachel Botsman (@rachelbotsman) December 21, 2017
«Molto spesso i media ci parlano di una mancanza di fiducia. In realtà questa è una narrativa sbagliata. Non è vero che non ci fidiamo più, è che la fiducia è cambiata», ha spiegato Botsman nella sua Ted Talk, il cui video è stato visualizzato oltre 4 milioni di volte. «Fino al diciannovesimo secolo la fiducia funzionava attraverso legami parentali e comunitari molto stretti. Ci si fidava di qualcuno a seconda della reputazione che si era costruito all’interno di una comunità. Poi, nella seconda metà dell’ottocento, con lo sviluppo di una società più complessa, abbiamo sempre più delegato questo concetto alla contrattualizzazione, che era lo strumento con cui si sanciva il nostro rapporto di fiducia con le istituzioni creditizie e le grandi società che stavano crescendo moltissimo proprio in quel periodo. Dall’avere una dimensione locale, la fiducia è arrivata ad avere una dimensione istituzionale».
Eppure, nel novecento e nei primi anni duemila abbiamo visto quanto l’affidabilità di molte istituzioni, dai governi, alle banche, fosse labile, un esempio da manuale: l’effetto domino della crisi del 2008. «È così che stiamo passando sempre di più ad un sistema di fiducia diffusa», spiega Botsman, «che ancora una volta è basata sulla responsabilità dell’individuo» e, ancora una volta, proprio come prima della rivoluzione industriale la sua garanzia è sancita dalla reputazione delle persone, in questo senso, il sistema di rating usato sulle piattaforme di condivisione, da Airbnb a Blablacar potrebbe essere la chiave di una rivoluzione globale.
«Il nostro comportamento è influenzato dalla prospettiva di essere giudicati» e la stessa Botsman ha dato un esempio molto personale: «In hotel, a volte, dopo la doccia, io lascio gli asciugamani per terra, ma da ospite di Airbnb non farei mai una cosa del genere. Questo, perché so che su Airbnb riceverò una recensione dai padroni di casa e se questa non è buona, potrebbe impedirmi di essere accettata in futuro in altre case», ha raccontato Botsman. «È un piccolo esempio, ma descrive molto bene un atteggiamento sempre più comune che è destinato a crescere ancora. La fiducia online cambierà i nostri comportamenti nel mondo reale, ci renderà più responsabili in modi che non possiamo nemmeno immaginare».
E Rachel Botsman è convinta che questo sia solo l’inizio: «Davanti a noi si sta letteralmente aprendo una nuova era della fiducia. Voglio aiutare la gente a capire meglio questo nuovo momento storico, perché tutti possiamo trarre il massimo. Questa può davvero essere l’opportunità per costruire una nuova società più trasparente, inclusiva e responsabile».